Too Much è un Emily in Paris autoriale e irritante: la recensione della caustica ma confusa serie di Lena Dunham
Too Much, il ritorno di Lena Dunham dopo la serie generazionale Girls, è molto meno coeso e rifinito di quanto auspicabile, ma non lasci comunque indifferenti.
Nelle premesse Too Much è una sorta di commedia romantica alla Emily In Paris ma decisamente più autoriale, ruvida e dal tocco indie. Come nell’altra hit di Netflix, la protagonista Jessica è una giovane donna statunitense che si ritrova improvvisamente nel vecchio continente per questioni lavorative e viene colpita in pieno dal gap culturale tra le due sponde dell’Atlantico. A differenza di Emily Jessica però finisce a Londra anche per tentare di far ripartire la propria vita: poco prima di partire ha rotto con il ragazzo con cui stava insieme da ben sette anni e lo ha fatto in maniera traumatica. Non solo: nella sua bizzarra famiglia ebrea e matriarcale tre generazioni si ritrovano non troppo volontariamente sotto il tetto della nonna, più o meno tutte alle prese con una crisi personale e sentimentale.
Too Much è il ritorno dell’autrice di Girls
Così Jessica accetta un buon consiglio e finisce a Londra per seguire un progetto di lavoro (da produttrice) che è a sua volta un compromesso rispetto a quello che vorrebbe davvero fare (la regista) anche se non sembra esserne consapevole. Nonostante il titolo della serie faccia riferimento a quanto le due culture americana e inglese siano distanti pur condividendo la stessa lingua, il punto di Too Much non sta tanto nel trasferimento geografico, ma è un altro. Per capirlo bisogna guardare alla sua creatrice, la vulcanica e spesso controversa Lena Dunham, diventata una sceneggiatrice di riferimento per una generazione prima con Tiny Forniture, poi con il successo televisivo di Girls.
Negli anni dieci Girls è rapidamente divenuta l’erede naturale di Sex & the City, raccontando l’educazione sentimentale della generazione di donne successiva a Carrie & co con una voce onesta e spesso senza filtri e un prospettiva diretta, dato che c’era una giovane donna alle redini della produzione. Negli anni Girls non solo è rimasto uno show di riferimento per la generazione delle millennial (oltre che il titolo che ha lanciato la carriera di Adam Driver) ma è stato adottato nel tempo anche dalle più giovani zoomer. C’è qualcosa insomma in Girls che parla alle giovani donne di oggi.
Realizzato da Netflix, Too Much parte da presupposti simili e potrebbe esserne l’erede spirituale. Così come fatto dalle sue colleghe scrittrici in campo letterario, anzi forse anticipandole, Dunham ha spinto la scrittura dei suoi show allora come oggi in territorio così autobiografico da far sospettare di trovarsi talvolta davanti alla sua esperienza e non a quella della protagonista interpretata dall’attrice stand up comedian Megan Stalter, a sua volta scelta per quanto somigli caratterialmente di base al personaggio sopra le righe e chiassoso che interpreta. Co-scritto insieme al suo attuale compagno Luis Felber, Too Much mette in scena una protagonista che segue le orme di Dunham nei tredici anni di relativo silenzio seguiti al successo di Girls. Anche Dunham infatti qualche anno fa si è lasciata in maniera brusca con l’ex, anche lei ha abbandonato l’amatissima New York, trovando inaspettatamente l’amore a Londra e stabilendosi nel Regno Unito, pur percependo da subito un certo divario culturale con la popolazione autoctona.
Too Much è sospeso tra commedia romantica e autobiografia
Too Much dunque lasci gli spettatori più consapevoli a interrogarsi continuamente su dove finisca la fiction e Jessica e dove inizi l’esperienza personale di Lena Dunham trasformata in scrittura seriale. Questo perché nella lunghissima lista di guest star spesso davvero sorprendenti della serie (dall’ex Jon Snow Kit Harington all’attrice francese Adèle Exarchopoulos, passando per Naomi Watts e Jessica Alba) e nelle tantissime hit pop che costellano i dieci episodi della prima stagione ci sono molti interpreti legati da notori rapporti di amicizia con la showrunner. Dunham dunque attinge alla propria esperienza personale quando scrive questo nuovo inizio londinese per Jessica, che si innamora quasi istantaneamente di un musicista spiantato che sente suonare in un pub. Felix (Will Sharpe) è ugualmente attratto da lei, ma è anche lui ferito da molteplici situazioni personali che lo rendono il ragazzo inglese riservato e poco propenso a raccontare le sue emozioni che lo spettatore scoprirà pian piano insieme a Jessica.
Too Much quindi è una ruvida, esplicita, diretta commedia romantica che come Girls punta innanzitutto a guardare all’amore e al sesso senza alcuna patina di abbellimento estetico o narrativo. C’è l’imbarazzo e c’è l’angoscia vera nel modo in due persone che sembrano fatte l’una per l’altra come Jessica e Felix per stare insieme devono cercare di uscire dall’influenza delle relazioni e degli errori del recente passato. Come in Girls ci sono corpi perfettibili, un uso disinvolto di lessico volgare, droghe e attività ricreative solitamente sterilizzate o assenti nel genere e c’è anche la disperazione esistenziale vera, con innumerevoli sfumature di depressione che affliggono una bella fetta di personaggio.
Too Much non ha mai il coraggio di mettere la sua protagonista di fronte alle sue responsabilità
Intorno ai due protagonisti c’è un ricchissimo cast di personaggi ricorrenti, il più dei quali inglesi, che pur venendo spesso trascurati per dar spazio alle vicende personali di Jessica risultano ben più interessanti, perché non viene loro risparmiato l’ironia pungente e lo sguardo critico dell’autrice. Il limite di Too Much sta invece nella sua protagonista: pur commettendo spesso gli errori che poi rinfaccia all’ex, a Felix o ad altri personaggi, Jessica non viene mai sottoposta al giudizio della serie né tanto meno riesce mai nemmeno a mettere a fuoco i suoi limiti o sembra interessata a farlo, nonostante il punto della serie sembri essere farle superare i blocchi ereditati dal suo passato newyorkese. La sua esuberanza e la sua schiettezza - di continuo contrapposte al modo di fare più compassato ma tagliente dei personaggi inglesi - alla lunga la rendono persino odiosa, proprio perché la serie non la richiama mai alle sue responsabilità, sostenendola anzi in molti passaggi in cui si rifugia in un vuoto vittimismo.
Non c’è nulla di sbagliato nel ritrarre una protagonista egoista, che talvolta non vede oltre i suoi bisogni quando le persone intorno a lei avrebbero bisogno di essere ascoltate e capite per davvero, come anche lei desidera. Anzi, in un certo senso Too Much è un ritratto molto spietato e molto veritiero di un’epoca in cui tutti vogliamo essere amati e capiti,ma siamo davvero poco propensi a guardare ai nostri errori e a fare autocritica. Il problema è che questa autocritica, questa capacità di ammettere con sé stessi e gli altri di aver sbagliato, non manca solo alla protagonista, ma anche a chi scrive la serie. A differenza di due icone inglesi di “donne allo sbaraglio” come Bridget Jones e la protagonista di Fleabag, Jessica non viene mai messa di fronte ai suoi errori ed è un grave problema per una serie che sembra pronta a fare la morale solo a certi personaggi.
Lena Dunham sbaglia proprio questo in Too Much, alternando passaggi ficcanti, rivelatori e talvolta commoventi a svolte molto banali e poco coraggiose. La risoluzione finale è così rassicurante e salvifica, cala così all’improvviso risolvendo conflitti in maniera repentina da suonare come una resa. ****La chiusa, che segna un deciso passo indietro rispetto alle parti più spiazzanti e interessanti della parte centrale, quando ci viene rivelato cosa e chi esattamente hanno spezzato il cuore dei protagonisti e dei loro amici e colleghi. È come leggere una prima stesura, piena di figure e linee narrative che non vanno da nessuna parte, di personaggi che esistono solo per fare in modo di spostare Jessica geograficamente ed emotivamente dove necessario. Eppure Too Much è ricolmo di quella schiettezza che lo rende anni luce più palpitante di tante serie lontane dalla realtà che idealizzano per far divertire il pubblico senza mai metterlo in difficoltà. Il tocco di Lena Dunham insomma c’è, il suo essere più adulta come sceneggiatrice si sente particolarmente nei personaggi di contorno (per esempio in quello che interpreta in prima persona), ma paradossalmente era più distaccata e incisiva ai tempi di Girls, che aveva una scrittura tutta di cuore, con pochissimo distacco emotivo, irruenta e giovanile eppure a tratti più acuta, lucida.