Quant'è moscia SuperSex, la serie tv Netflix su Rocco Siffredi

Non c’è un singolo aspetto convincente in Supersex: dalla scrittura alle interpretazioni, la serie Netflix non fa davvero giustizia a Rocco Siffredi.

Quantè moscia SuperSex la serie tv Netflix su Rocco Siffredi

Se volete farvi un’idea di Rocco Siffredi, della sua vita e di cosa sesso e amore abbiano rappresentato per lui, guardatevi l’intervista a Belve con Francesca Fagnani. Supersex a confronto è tempo perso.

Ho pensato che questo fosse il consiglio migliore da dare a inizio recensione già durante la proiezione dei primi tre episodi della serie Netflix. su cui si basa questo articolo. Supersex infatti è stata presentata nella sezione Berlinale Special a Festival di Berlino. Purtroppo, a differenza della riuscitissima miniserie Sky Dostoevskij dei fratelli D’innocenzo (sempre presentato qui qualche giorno fa), Supersex non fa fare una bella figura alla serialità italiana in terra teutonica. Considerando poi che ho fruito di la visione in sala, su grande schermo, che aiuta di molto l’impatto di un prodotto, ci si ritrova a certificare l’ennesimo fallimento dei progetti italiani made in Netflix.

E dire che dietro il progetto da regista e da produttore c’è Matteo Rovere con la sua Groenlandia, ovvero una delle poche firme in grado di portare a casa produzioni italiane dignitose dentro il catalogo della grande N rossa. Stavolta nemmeno lui ha potuto, o saputo, salvare la serie da quell’insieme di regia convenzionale e televisiva (nel senso peggiore del termine), di cattiva scrittura (decine di dialoghi francamente imbarazzanti) e di recitazione calcata e innaturale che compongono la serie media italiana su Netflix, che solitamente è brutta e sgraziata. Come Supersex.

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Non c’è verita dentro Supersex

A impensierire il recensore sospettoso, da subito, è la scritta nei titoli di testa e sulla locandina ufficiale: “una serie liberamente ispirata alla vita di Rocco Siffredi”, l’ex re del porno mondiale. Viene da chiedersi: perché liberamente? Il punto qui, più che mai, dovrebbe essere raccontare con fedeltà e rigore come un ragazzino di Ortona sia diventato una figura del porno nota a livello internazionale, l’icona stessa del cinema hard. Una vicenda che si svolge tra gli anni ‘70 e gli ‘80, in una stagione particolare per il costume italiano ed europeo. In un preciso momento svolte epocali per l’industria della pornografia cinematografica.

Di tutto questo, in Supersex, c’è pochissimo. Per ragioni per la sottoscritta inspiegabili, la serie sceglie un racconto che intreccia la mala corsa, madri italiane dolenti e vagamente ossessive, storie d’amore perse, si sarebbe detto un tempo, a cornice del coming of age di Rocco Tano, anni, anni prima di diventare Rocco Siffredi.

La scelta di virare un prodotto che dalle premesse ci si aspetterebbe pruriginoso su un taglio molto drammatico non è il problema, anzi. Il sesso al cinema è stato spesso raccontato come qualcosa di gelido, meccanico, che dà dipendenza nella sua reiterazione ma strappa orgasmi di tristezza e disperazione. Supersex però non è Shame di Steve McQueen e non è nemmeno un’ispirata fiction Rai biografica. È invece una miniserie che, per ragioni che si fatica a comprendere, spoglia il personaggio principale del suo naturale carisma. Rende convenzionale una sensibilità che il vero Rocco (occhio al cameo nel secondo episodio) non ha mai esitato a mostrare, nel passato e nel presente.

La combinazione di un approccio visivo davvero senza personalità a una scrittura innaturale e calcatissima nei suoi messaggi (”il cazzo è un pensiero” “le femmine ti mangiano il cuore e ti fanno sputare il male”) risulta letale già dall’avvio. Per arrivare al “cazzo-pensiero” di Rocco poi bisogna navigare un lunghissimo cappello introduttivo dedicato all’infanzia del personaggio, punteggiato dal racconto di una voce fuori campo che rende il tutto ancor più manieristico.

Quant'è moscia SuperSex, la serie tv Netflix su Rocco Siffredi

Rocco e i suoi fratellastri

L’episodio 1 introduce le sventure “ferrantesche” della famiglia Tano e il rapporto tra Rocco e l’amato fratellastro Tommaso. Nell’episodio 2 ci spostiamo a Parigi, dove l’adolescente protagonista scopre le debolezze e il lato manipolatore del fratello assieme ai piaceri della carne. Finalmente, nell’episodio successivo, finisco i preliminari: Rocco assume stabilmente le fattezze di Alessandro Borghi ed entrano in scena altri personaggi chiave come Moana Pozzi e Gabriel Pontello.

La serie però non sa bene che dire, non ha un punto di vista forte, si limita a raccontare. A questo punto abbiamo chiarito quanto non sia interessata a un commentario sull’eros, sull’industria della pornografia, su Siffredi simbolo insieme a Moana del sesso vissuto sia come liberazione sia come consumo commerciale. Supersex insiste invece su un sotto trama criminale molto scadente per continuare a tenere in vita il personaggio di Tommaso, imponendoci ancora la visione di un Adriano Giannini con una parrucca e un trucco improponibili.

Alessandro Borghi stesso ne esce maluccio: da anni non lo si vedeva così poco ispirato. Non tanto per la somiglianza davvero vaga con Siffredi, quanto piuttosto per l’assurdo insistere su un certo tick dell’attore pornografico di aprire la bocca quando ride. L’intera performance di Borghi sembra basarsi su questo gesto, replicato di continuo e in maniera meccanica, tanto da diventare quasi un tormentone da cabaret, grottesco. Si salva giusto Jasmine Trinca nel ruolo della moglie di Tommaso, Lucia. Alle prese con un personaggio scritto male esattamente quanto gli altri, tira fuori una performance sentita e che umanizza la vicenda tragica della donna amata dai Tano.

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Supersex non ha idee degne di nota per raccontare il sesso

E il sesso? C’è, non c’è, vedo, non vedo. Sfortunatamente Supersex non s’inventa nulla nella narrazione visiva di quello che dovrebbe essere un punto importante della sua storia. È il solito miscuglio di scene in teoria esplicite ma guardinghe nel lasciarsi andare (tre episodi di Rocco si è visto appena il petto nudo, figuriamoci un full frontal per investigare il suo “super potere”), locali a luci rosse invariabilmente illuminati da luci rosse suadenti, con quel modo irritante di mostrare fetish, kink e amplessi sullo sfondo, di lato. Nel paradiso parigino di Rocco, il locale 106, quel che succede nei privé è quasi sempre l’equivalente di quei movimenti ai lati del campo visivo che l’occhio riesce a catturare ma non a mettere così chiaramente a fuoco. Interessante è invece la volontà del giovane Rocco di lasciarsi andare e guidare, sottomettersi, a guinzaglio, esplorare corpi maschili e femminili con la medesima curiosità. Non fosse che il tutto dura un paio di scene scarse.

Soprattutto non c’è mai il rush, l’eccitazione, il disgusto, sono assenti l’adrenalina e l’erotismo che il sesso, nella vita e su grande schermo, dovrebbero saper portare con sé. Il sesso è un compitino come un altro per Supersex.

Quant'è moscia SuperSex, la serie tv Netflix su Rocco Siffredi

Supersex

Nazione: Italia

4

Voto

Redazione

TISCALItestatapng

Supersex

Non all’altezza di Siffredi e della sua straordinaria vicenda lavorativa e umana, Supersex decide di banalizzarne all’estremo la sua storia. Utilizzando i linguaggi seriali più convenzionali e curandosi poco della componente erotica (svolta come un mero compitino), la serie è più vicina a una fiction Rai di seconda fascia che al biopic che un’icona della trasgressione italiana meriterebbe. Borghi e Giannini sono bocciati: si salva solo Jasmine Trinca.