Il rifugio atomico: la fine dell'umanità nel bunker dei segreti
Nella nuova serie spagnola Netflix, dai creatori de La casa di carta, un gruppo di ricconi si rifugia in un bunker sotterraneo allo scoppio della Terza Gurra Mondiale.
La Terza Guerra Mondiale, a lungo minacciata, sembra ormai alle porte, ineluttabile quanto il sorgere del sole l'indomani. Il mondo intero trattiene il fiato in attesa di quello che potrebbe essere il primo attacco nucleare, prossimo a cambiare la fisionomia del pianeta come lo conosciamo.
In questo clima di panico globale, alcuni tra gli uomini e donne più ricchi d'Europa decidono di trasferirsi momentaneamente nel cosiddetto "Kimbala", il bunker più esclusivo e sicuro mai realizzato, che avrà il compito di proteggerli qualora la situazione dovesse degenerare. Tra coloro che risiederanno in questo limitatissimo "resort sotterraneo", troviamo in particolare due nuclei familiari legati da una tragedia passata, ovvero la scomparsa tre anni prima di una ragazza in un incidente automobilistico.
A servire questi facoltosi ospiti, uno staff altamente qualificato pronto a eseguire ogni loro comando. Ma quando il conflitto scoppia per davvero e la superficie è inerme palcoscenico di devastanti esplosioni nucleari, il destino dei protagonisti si fa sempre più incerto. E come scopriranno ben presto, non tutto è quello che sembra.
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Il rifugio atomico: dentro o fuori
Che non tutto sia quello che sembra in realtà lo spettatore lo sa già alla fine della prima puntata, con il clamoroso cliffhanger che cambia tutte le coordinate in tavola. Se volete rimanere con la giusta dose di sorpresa, vi consigliamo di leggere questa o altre recensioni solo dopo averla vista, in quanto è pressapoco impossibile analizzare la serie senza fare i conti con suddetto, precoce, colpo di scena.

L'apocalisse è diventata, nell'immaginario audiovisivo contemporaneo, un mezzo privilegiato per esplorare le crepe morali della nostra società, sempre più sull'orlo dell'abisso. E se gli spettri di una nuova guerra mondiale aleggiano, più o meno fondati, anche nella realtà, è normale che il mondo della fiction sfrutti la tematica finché è calda, anche con un approccio ludico come in questa nuova serie spagnola dagli autori del cult La casa di carta. Sarà l'ennesima gallina dalle uova d'oro per Netflix? A giudicare dal numero di visualizzazioni nei primi giorni dalla sua uscita sembrerebbe una scommessa vinta, ma dopo aver visto gli otto episodi che compongono la prima stagione non siamo sicuri che tale successo potrà essere duraturo: l'operazione infatti, pur accattivante, ha più limiti che pregi.

Eppure la sceneggiatura sfruttava un territorio narrativo potenzialmente fertile e ricco di idee, una sorta di incrocio tra le derive post-atomiche di Fallout e il sadico gioco di Squid Game, dove la presunta fine del mondo esterno coincide con il collasso emotivo di chi è rimasto dentro quell'isolato rifugio, rivelando così la vera natura dell'essere umano messo in condizioni estreme.
A che ora è la fine del mondo?
La serie vorrebbe raccontare l'olocausto nucleare partendo non dalle macerie al di sopra, ma da quanto sta crollando lì sotto, con un approccio quanto meno morboso al nucleo di personaggi principali, per lo più appartenenti a due distinti gruppi familiari e ai membri di quello staff che nasconde tutto dietro a una facciata apparentemente impeccabile. E già da qui nascono le prime inverosimiglianze, giacché per allestire quella messa in scena che incatena gli inconsapevoli "prigionieri" sarebbero serviti una quantità di soldi tale da chiedersi perché chi, in possesso di simili somme, dovrebbe barcamenarsi in un'impresa truffaldina così assurda e rischiosa.

Il problema è che l'intero costrutto narrativo vive su una serie di forzature che vanno in un vero e proprio crescendo, con le ultime puntate nelle quali il racconto "svacca" definitivamente, mettendo in moto un'inarrestabile sequenza di brutture umane che non fanno ribrezzo in quanto tali, ma per via di soluzioni ardite e per nulla necessarie che mettono i vari personaggi gli uni contro gli altri. Segreti e tradimenti che emergono casualmente, nella ricerca continua di scioccare uno spettatore che viene sommerso da una serie di nefandezze, spesso legate alla sfera sessuale, che lasciano il tempo che trovano. Un esperimento di cinema del grottesco che vorrebbe sfruttare la satira come un bisturi per dissezionare l'arroganza e la vacuità delle élite, ma che sfodera invece una morale spiccia, gratuita e ingiustificata.

In bunker di lusso iper-tecnologico è concepito non tanto per la sopravvivenza, quanto per il mantenimento di uno stile di vita all'insegna dell'opulenza. All'interno di questa prigione dorata, dotata di spa, ristoranti, bar e personale di servizio, la fine del mondo è poco più di un notiziario da guardare su schermi al plasma, sorseggiando champagne. La trama si mette in moto quando questo ecosistema artificiale, basato su una rigida gerarchia tra chi paga e chi serve, inizia a scricchiolare. Le dinamiche di potere del mondo esterno si rivelano inutili in un contesto dove le uniche risorse che contano sono quelle pratiche e le tensioni sociali, a lungo sopite sotto una patina di civiltà, esplodono con una violenza tanto psicologica quanto fisica. Soprattutto per via dell'inganno nel quale son stati trascinati questi miliardari, sicuramente geni della finanza ma incredibilmente polli nel farsela fare sotto il naso con abnorme semplicità.
Le sfumature dell'apocalisse
Dopo l'invasione della Norvegia da parte della Russia e la risposta con l'attacco della NATO a San Pietroburgo, uno scenario che ci auguriamo rimanga soltanto fittizio, si scatena il panico in quel microcosmo che diventa coacervo di bugie e misteri, per quanto il pubblico stesso venga informato come detto quasi da subito su come stiano effettivamente le cose. Forse si sarebbe potuta mantenere la curiosità più a lungo e in tal modo anche la gestione stessa dei vari legami, alcuni in divenire altri in procinto di spezzarsi, avrebbe potuto procedere in maniera più omogenea e coesa. Qui invece gli scheletri nell'armadio si moltiplicano senza sosta, con un accumulo di situazioni al limite del ridicolo, che sfociano in scene madri dal taglio kitsch.

Si sacrifica la coerenza psicologica in nome dello shock momentaneo e immediato. La satira rischia in diversi passaggi di diventare troppo didascalica, affidandosi a dialoghi che esplicitano concetti che erano stati già ampiamente compresi. Quando poi si cerca di spingere sull'acceleratore, come il finale di stagione dove in un'ora e dieci si concentrano una miriade di eventi chiave, si straborda definitivamente. Un epilogo, apertissimo alla seconda stagione - non ancora annunciata ufficialmente, ma sicura qualora il successo sia quello nelle previsioni - che lascia molto in sospeso, ma poco di effettivamente appassionante.
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Rating: TBA
Nazione: Spagna
Voto
Redazione

Il rifugio atomico
Chiudete alcune delle persone più ricche del pianeta in un bunker sotterraneo, con lo spauracchio di una guerra nucleare - vera o presunta - in superficie quale monito a restare lì sotto, lontani dal mondo esterno, per un periodo di tempo indeterminato. Ovviamente la situazione esploderà, anche se Il rifugio atomico sfrutta la premessa fin troppo alla lettera, concentrando in due nuclei familiari scheletri nell'armadio che sarebbero valsi almeno per un numero di personaggi tre o quattro volte superiore. E qui invece tra contraddizioni, segreti, gelosie e tradimenti poco conta che lo staff nasconda l'enorme colpo di scena, che invece è svelato sin da subito agli spettatori, giacché a farsi del male da soli sono in primis proprio questi miliardari dal cuore di pietra e dal portafoglio sempre pieno. Ma più che a una nuova Casa di carta qua ci troviamo di fronte ad un castello di carte, pronto a crollare alla prima folata di vento, radioattivo o meno che sia.













