ACAB: La recensione della serie Netflix con Marco Giallini e Adriano Giannini
Grandi interpretazioni che affascinano, ma non cancellano i problemi
Il giorno dopo la diffusione dei dati ufficiali in cui si comunica che nel 2024 sono stati feriti in servizio oltre 270 agenti, con un aumento del 130% rispetto all’anno precedente, su Netflix arrivano i 6 episodi di ACAB.
La data è ovviamente casuale, ma visto il clima attuale l’uscita è destinata a fare discutere. Perché dopo un primo adattamento cinematografico del romanzo di Carlo Bonini, in cui Marco Giallini interpretava il personaggio di Mazinga, l’attore riprende il ruolo in TV. E lo fa in una serie il cui pregio maggiore è la bravura del cast, ma che dal punto di vista tecnico risulta fastidiosa.
La trama di ACAB
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Il vero punto di forza della serie arriva verso la fine. L’ultimo episodio e mezzo è nettamente superiore a tutto il resto, e questo rappresenta ovviamente un problema. Sarebbe stato meglio limitarsi a 4 episodi, tagliando tutte le sottotrame forzate, il cui unico scopo è far sembrare che tutti i membri della squadra siano persone problematiche entrate in polizia per mancanza di alternative.
La stanchezza di Mazinga, che tocca e fa riflettere, dovrebbe essere accompagnata da una riflessione più estesa della sola parte finale della vita terrificante a cui i poliziotti vengono sottoposti. Con mezzi (e riconoscimenti) inadeguati, senza protezioni, con una magistratura rappresentata in modo estremamente ostile, a indicare nella polizia un nemico dello Stato. Era chiaro che ci si accostava a una visione di parte, ma così diventa troppo: perde verosimiglianza.
Gli antagonisti - come si chiamano oggi - sono i soliti noti che con scuse pretestuose si lanciano contro le forze dell’ordine per alimentare un clima di tensione sociale. Nella serie proprio come nella realtà. Inserire una riflessione su questo punto avrebbe alzato il livello della discussione, inserito nuovi spunti, cancellato una sceneggiatura monodimensionale. Invece, ad alzarlo sono solo dei grandi attori. Su tutti Bellè, Giallini e Giannini. Sono loro a meritare una visione, con un avviso: fate delle pause. I vostri occhi vi ringrazieranno.
Rating: TBA
Nazione: Italia
Voto
Redazione

ACAB
Dal 15 gennaio su Netflix saranno disponibili i 6 episodi di ACAB, la serie ispirata al romanzo di Bonino già portato sullo schermo nel 2012. Marco Giallini riprende il ruolo di Mazinga, stavolta con una maturità dettata dal passare del tempo ma anche dall’aver coltivato il suo talento che, insieme a quello di Adriano Giannini e di Valentina Bellè, rappresenta il vero motivo per guardare la serie. Il cast è di altissimo livello, tanto da aggiungere spessore a personaggi delineati da una sceneggiatura monodimensionale, che riduce a macchiette determinate a riscattarsi (o sfogarsi) entrando in polizia gran parte dei protagonisti. Il vero problema è però la regia che, in mancanza di alternative creative, riduce all’utilizzo dell’unico espediente tecnico che conosce il compito di mostrarci un mondo narrativo pieno di ombre, ambiguità, verità insabbiate. Purtroppo per noi, quest’unico espediente è il continuo spostamento del fuoco all’interno delle scene, cosa che a lungo andare risulta fisicamente fastidiosa per gli occhi, tanto da causare il mal di testa. Fortemente sconsigliato il binge watching: servono pause per non avere la sensazione di aver perso la vista.










