Recensione di The Alters – Se avessimo scelto diversamente, saremmo ancora noi?
Nel labirinto interiore progettato da 11 bit studios, il vero nemico non è la morte, ma la consapevolezza di ciò che non siamo mai diventati

Nel panorama della fantascienza videoludica contemporanea, spesso orientato verso racconti di colonizzazione spaziale, conflitti interstellari o catastrofi ambientali, The Alters propone una deviazione che potremmo definire a dir poco netta. Al centro della nuova opera di 11 bit studios non troviamo un universo da esplorare, ma una vita da rimettere completamente in discussione. Una vera e propria riflessione radicata in un unico essere umano, nel suo passato, nelle sue scelte, e in ciò che — per caso, per paura o per necessità — ha lasciato incompiuto. L’universo da esplorare, qui, è interiore: fatto di ricordi, rimpianti e possibilità mai realizzate. È lo spazio delle identità mancate, delle versioni alternative di noi stessi che restano in silenzio, trovando qui invece una loro voce.
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L’idea che sostiene la struttura narrativa di The Alters è tanto chiara quanto disturbante: ogni “e se” diventa concreto, ogni bivio mai percorso prende forma e voce. È una dinamica che sfrutta il modello What If…? sviluppato dalla Marvel, dove i protagonisti vivono storie divergenti nate da una singola scelta diversa. Ma mentre lì la deviazione è spesso pretesto per riformulare archetipi eroici o riscrivere eventi epici, qui diventa esercizio intimo e doloroso di confronto con i propri rimorsi. Non ci viene chiesto di salvare il mondo in un’altra versione della realtà: ci viene chiesto di confrontarci con chi saremmo potuti diventare, in questo stesso mondo, se solo avessimo detto “sì” invece di “no”.
È una domanda che non nasce nel vuoto, ma che si lega a un immaginario già familiare. Abbiamo imparato a riconoscere le fratture dell’identità attraverso la narrativa contemporanea: romanzi come Dark Matter di Blake Crouch hanno costruito trame intere intorno al concetto di possibilità alternative, mentre il cinema e la serialità hanno reso popolare la moltiplicazione dell’io attraverso linee temporali divergenti. The Alters si inserisce in questo contesto, ma lo fa con una prospettiva più contenuta e più umana: non moltiplica gli universi, moltiplica le conseguenze.
Non ci troviamo di fronte a una storia di conquista, ma di convivenza forzata con l’incompiuto. Gli Alters non sono creature aliene, né copie senz’anima: sono versioni plausibili di una stessa esistenza, scolpite da una singola variazione nelle decisioni. In loro riconosciamo lo stesso volto, ma segnato da esperienze diverse, talvolta incompatibili. È questa convivenza, forzata dallo scenario narrativo e amplificata dal senso di urgenza esistenziale, a costituire l’anima del gioco.
The Alters destruttura l'Io e lo trasforma in un caleidoscopio di "sé"
La storia di The Alters non è guidata da un intreccio classico o da una progressione epica, ma da una premessa semplice e destabilizzante: ogni vita contiene in sé molte vite possibili, e ciascuna di queste può diventare reale, tangibile, persino pericolosa. Nei panni di Jan Dolski, un operaio coinvolto in una missione scientifica finita male, ci ritroviamo soli su un pianeta ostile, con un unico obiettivo: fuggire prima che il sole, instabile e letale, renda la sopravvivenza impossibile. Ma ciò che rende questa missione diversa da qualunque altro scenario catastrofico è che per portarla a termine non possiamo contare su alleati esterni, né su forme di supporto tradizionali. Dobbiamo invece affidarci a una risorsa più intima e inquietante: noi stessi.
O meglio, versioni alternative di noi stessi, create grazie a una sostanza chiamata Rapidium, che permette di generare corpi biologici a partire da traiettorie diverse della nostra stessa esistenza. Gli Alters non sono semplici duplicati, ma "persone" vere, segnate da esperienze che Jan avrebbe potuto vivere se avesse scelto diversamente. È qui che il gioco trasforma un’idea narrativa — il “what if” di cui parlavamo poco sopra — in una dinamica emotiva profonda: ogni Alter rappresenta una deviazione concreta, una possibilità che è stata scartata ma che ora reclama attenzione, ascolto e spazio.
Ci troviamo così a condividere la base mobile con una versione scienziata di Jan, più razionale e fredda, con un botanico che ha vissuto una relazione diversa con la ex moglie Lena oppure con un tecnico pragmatico ma insoddisfatto, che però può dirci molto sul rapporto che Jan ha avuto con i propri genitori. Ciascuno di loro porta con sé un bagaglio emotivo preciso, un modo diverso di leggere il mondo e di giudicare le nostre scelte. E questo diventa il cuore pulsante della narrazione: non ci viene raccontata una storia da seguire, ma una molteplicità di punti di vista da gestire. Ogni confronto è una crepa nell’identità del protagonista, ogni dialogo apre uno spazio di dubbio. La posta in gioco non è il destino del protagonistra, ma il significato di ciò che abbiamo sacrificato per arrivare fin qui. Laddove molti giochi ci spingono a guardare avanti, The Alters ci costringe a guardare indietro, ma con occhi nuovi, spesso in disaccordo tra loro.
A rendere questa esperienza ancora più densa è il fatto che non possiamo ignorare nessuno degli Alters. Alcuni potrebbero abbandonarci, altri rifiutarsi di collaborare, altri ancora sollevare tensioni emotive insostenibili. La convivenza con l’incompiuto è il nucleo del racconto, e in questo senso la base non è solo un rifugio temporaneo, ma uno spazio psicologico in cui passato e presente si sovrappongono chiedendo al giocatore di trovare il giusto spazio per entrambi.
La narrazione non si esaurisce in poche ore, né si risolve in un’unica traiettoria. The Alters si prende il suo tempo, e pretende il nostro: una partita media si aggira intorno alle venti ore, ma la durata effettiva dipende dalla nostra capacità di gestire le pressioni interne, più ancora di quelle esterne. Il fallimento è sempre dietro l’angolo, e non esiste una via ottimale o una sequenza perfetta di scelte (almeno noi non l'abbiamo trovata!).
A questo si aggiunge una dimensione di rigiocabilità sorprendentemente organica, che non si limita a modificare qualche dettaglio nei dialoghi. In una singola partita, infatti, non è possibile generare tutti gli Alters: alcune versioni di Jan resteranno precluse, a meno di riprendere il gioco dall’inizio e compiere scelte diverse nei momenti chiave. Questo non solo incentiva una seconda run, ma rafforza l’idea che nessuna esperienza individuale possa contenere la totalità delle possibilità (e ci sono più finali, perciò...).
"Se non pianifichi, muori": The Alters non ci rende la vita facile (e non vuole nemmeno farlo)
Il gameplay di The Alters si fonda su una gestione quotidiana tanto concreta quanto implacabile, in cui ogni decisione — anche la più banale — comporta una perdita di tempo, di energia o di equilibrio. Le giornate, scandite da un ciclo preciso di luce e oscurità, passano in fretta, e spesso non bastano a portare a termine nemmeno un singolo obiettivo se non si è stati capaci di pianificare con attenzione. Il tempo non è una semplice risorsa da ottimizzare: è il fondamento su cui viene costruita l'intera impalcatura. Jan, dopo un ciclo di lavoro con turni fuori orario, va incontro a una stanchezza crescente, che, se trascurata, compromette la sua capacità di agire, al punto da renderlo del tutto praticamente inefficiente. Ogni minuto sprecato si trasforma in un rallentamento reale e rischioso, e bastano un paio di giornate mal gestite per trovarsi bloccati, in trappola, con il sole letale sempre alle costole.
In questo contesto, la presenza degli Alters si rivela essenziale ma tutt’altro che rassicurante. Delegare compiti è inevitabile, ma non basta sapere chi è in grado di fare cosa: occorre anche tenere conto del loro stato emotivo, dei conflitti latenti e delle resistenze individuali. Può accadere che un Alter si rifiuti di lavorare, che esegua male un incarico, o che semplicemente non sia più disponibile a collaborare. Il sistema non si affida a statistiche o valori astratti, ma a comportamenti osservabili e credibili, che rendono ogni decisione carica di conseguenze pratiche. Non siamo di fronte a un gestionale puro, né a un gioco di ruolo: ci muoviamo in uno spazio intermedio dove la relazione è funzionale, non affettiva, e ogni personaggio va considerato per quello che può fare — o non fare — in un momento preciso.
La gestione della base aggiunge ulteriori livelli di complessità. Espandere le strutture richiede materiali che non sempre sono disponibili, e in più occasioni ci si trova a dover scegliere tra costruire una stanza particolare o garantire il benessere degli Alters. Non è solo una questione di efficienza: una scelta sbagliata può peggiorare l’umore generale, rallentare la produzione e compromettere l’intera giornata. A complicare il tutto intervengono fattori ambientali esterni, come tempeste magnetiche e variazioni di radiazione solare, che riducono la disponibilità di risorse e rendono l’esplorazione più rischiosa. In queste fasi, l’equilibrio tra sicurezza, logistica e progressione si fa particolarmente fragile, e costringe a pianificare in modo più rigoroso, adattandosi ai vincoli imposti dal mondo di gioco.
L’esplorazione della superficie non è mai un momento di pausa. Inizialmente bisogna esplorare il mondo per capire dove si trovano le risorse, successivamente bisogna costruire una strada di piloni utile ad alimentare una turbina per raccogliere i minerali. Quest'ultima sblocca persino un fast-travel, elemento utilissimo nel ripartire magari il giorno dopo esplorando da una porzione avanzata della mappa. Nei tre capitoli necessari per completare il gioco, dal secondo in poi è possibile incontrare nel pianeta alieno delle anomalie, presentate come zone che provocano danni da radiazioni se attraversate.
Bella l'idea di fornirci strumenti con cui "eliminarle" distruggendo il loro nucleo, come si è rivelato interessante vedere zone di gioco in grado di alterare il tempo, o creare onde elettromagnetiche capaci di annullare l'efficacia della nostra tuta. Il gioco, in questo senso, fa un ottimo lavoro nel fornire un tutorial chiaro ed efficace, che introduce questi strumenti senza interrompere la progressione.
Il ritmo complessivo del gioco è serrato ma mai arbitrario. La difficoltà nasce dal numero elevato di variabili da tenere sotto controllo e dalla loro interdipendenza. Non mancano momenti in cui ci si sente sopraffatti, soprattutto quando troppe cose si accavallano e ci si rende conto di non avere più il tempo per recuperare (per dire, durante le tempeste magnetiche la base riceve continue disconnessioni e malfunzionamenti nelle stanze, ed è difficile stargli appresso).
Il sistema di salvataggio, limitato al momento del riposo notturno, accentua ulteriormente questa tensione: morire non significa solo ricominciare, ma riconoscere che una cattiva pianificazione ha avuto un prezzo irreversibile. In questo senso, The Alters non punisce l’errore in modo artificiale: lo mostra nella sua forma più concreta, ricordandoci che anche nel gioco, come nella vita, a volte non basta voler rimediare — bisogna saperlo fare quando serve davvero.
Quando realizzazione tecnica e idee si intrecciano bene
Sul piano tecnico, The Alters si presenta come un progetto stabile, maturo e curato con attenzione, soprattutto considerando la complessità del sistema che lo sostiene. Durante tutta la partita, non si riscontrano bug evidenti, né cali di prestazioni significativi. Il gioco si adatta perfettamente anche a configurazioni non estreme, e su una macchina equipaggiata con RTX 4060 Ti e monitor ultrawide, l’esperienza è fluida, ben ottimizzata e completamente compatibile con il formato 21:9. Il motore grafico non punta al fotorealismo, ma riesce comunque a costruire ambienti credibili e coerenti, dove il minimalismo della palette e la pulizia del design rafforzano il senso di isolamento e pressione psicologica. Gli interni della base mobile trasmettono claustrofobia senza eccessi, mentre l’esterno, con le sue anomalie fluttuanti e i paesaggi deformati, restituisce un’idea di mondo silenziosamente ostile, senza mai cadere nello spettacolare fine a sé stesso.
L’unica vera mancanza è quella della localizzazione testuale in italiano, assenza che pesa soprattutto per chi non ha familiarità con l’inglese e vorrebbe approfondire i dettagli narrativi o emotivi dei dialoghi. La colonna sonora, discreta ma presente, accompagna l’esperienza senza mai invaderla: piccoli frammenti musicali intervengono nei momenti giusti, sostenendo la tensione o accompagnando la calma apparente di alcune fasi di pianificazione. Anche il sound design è gestito con intelligenza, utilizzando il silenzio come strumento narrativo e dando rilievo ai rumori meccanici della base, ai passi di Jan, alle voci degli Alters che si fanno sentire da stanze vicine come presenze vive e non solo entità da menu.
Tutto questo è frutto di una visione chiara, coerente e pienamente autoriale. 11 bit studios conferma la propria identità: non cerca l’impatto facile, ma costruisce sistemi che parlano attraverso le scelte, le rinunce e le difficoltà. Dopo This War of Mine e Frostpunk, questo titolo rappresenta un nuovo passo in avanti nella loro idea di videogioco morale, che non si limita a porre dilemmi al giocatore, ma li rende parte organica delle sue meccaniche, della sua estetica, della sua voce. In The Alters, tutto è funzione e narrazione allo stesso tempo — e anche se a volte questo equilibrio rischia di sfuggire di mano, il risultato resta compatto, personale e mai compromesso.
Versione Testata: PC
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Redazione

The Alters
The Alters è un’opera che non si accontenta di raccontare una buona storia, né di offrire un sistema di gioco solido: sceglie invece di intrecciare le due cose fino a renderle inseparabili. Ogni decisione pesa non solo per le sue conseguenze pratiche, ma perché richiama qualcosa di più profondo, legato a ciò che abbiamo scelto — o evitato — di diventare. Anche quando il ritmo si fa oppressivo, o la gestione degli Alters diventa faticosa, resta la sensazione di aver vissuto un’esperienza autentica, in cui la costruzione dell’identità non è solo un tema da osservare, ma una materia viva da affrontare giorno per giorno, in equilibrio instabile tra rimorso, sopravvivenza e possibilità.