Quel male che chiamiamo destino: Tainted Grail riscrive la leggenda di Artù - Recensione Early Access

Un open world cupo, disturbante e stratificato, dove non sei un eroe ma qualcosa di più. E forse è proprio per questo che funziona così bene.

Quel male che chiamiamo destino Tainted Grail riscrive la leggenda di Artù  Recensione Early Access

Nelle leggende arturiane, Avalon era l’isola del riposo eterno, la terra sacra dove il Re dormiva in attesa del ritorno, protetto dalla nebbia e dal tempo. In Tainted Grail: The Fall of Avalon, quella nebbia è diventata una condanna, e l’isola stessa è solo una carcassa che ancora respira per abitudine. Il mito non è stato dimenticato, è stato contaminato: svuotato di ogni purezza, piegato su se stesso fino a diventare culto, ossessione, delirio. Nessuno racconta più storie attorno al fuoco. Qui si sussurra nella follia, si scrive col sangue sui muri, si prega un re che forse è morto davvero e che mai più ritornerà.

Il nostro arrivo non è l’inizio di un destino. Nessuna spada ci attende, nessuna voce ci chiama. Siamo dei prigionieri senza nome, liberati per caso in un mondo che ha smesso di distinguere l’eroe dal semplice sopravvissuto. La prigione che ci accoglie è solo il primo strato di un mondo in rovina, popolato da figure deformate nel corpo e nella mente: uomini che borbottano frasi senza senso, come se stessero recitando una preghiera dimenticata, convinti che il ritorno del Re sia l’unica cosa rimasta da aspettare.

E poi c’è il Wyrd, questa nebbia viva, presenza inarrestabile, entità senza volto che infetta ogni cosa. Non è solo un fenomeno naturale o magico: è una forza che riscrive il reale, che fonde uomini e animali, che produce corpi ibridi e sogni malati. Alcuni lo considerano una punizione, altri una benedizione. E noi? Noi ci ritroviamo nel mezzo, costretti a respirarlo, a entrarci dentro, a imparare il suo linguaggio senza sapere se ci stiamo salvando o condannando da soli.

Non esiste una leggenda da seguire, non c’è un sentiero tracciato. Avalon ci chiede di esistere in un mondo che ha dimenticato cosa significava farlo. E nel silenzio di ciò che resta, tra le rovine di ciò che è stato, potremmo scoprire che la leggenda non si tramanda più: si calpesta, si dissolve, si porta addosso come una ferita.

Il potere del Wyrd: una storia alternativa davvero affascinante

La storia di Tainted Grail: The Fall of Avalon comincia in modo semplice: siamo un prigioniero senza nome, rinchiuso in una cella nelle profondità di un’isola. Non ci sono profezie, non c’è un grande destino ad attenderci. C’è solo la fuga, e un mondo da affrontare pezzo per pezzo. Quel mondo è Avalon, ma non l’Avalon che conosciamo dai miti. È un luogo sull’orlo del collasso, devastato da una piaga chiamata Morte Rossa e consumato da una forza più antica e misteriosa: il Wyrd.

Questa nebbia viva, spesso impenetrabile, modifica la realtà e ha effetti imprevedibili su chi la attraversa: c’è chi ne esce con il corpo deformato, chi con la mente spezzata, chi convinto che sia una benedizione. Alcuni credono che il Wyrd possa curare la Morte Rossa, altri lo venerano come fosse una divinità. Noi, nel mezzo, scopriamo che il Wyrd è anche la chiave per qualcosa di più grande: attraverso i Menhir, misteriosi monoliti sparsi per l’isola, possiamo accedere a una dimensione alternativa, nota come Cuore del Wyrd.

È lì che incontriamo una parte dell’anima di Re Artù, o di ciò che ne resta. Il legame che si crea è profondo: lui si lega a noi, e noi otteniamo qualcosa che nessun altro ha – l’immunità alla Morte Rossa, e la possibilità di esplorare il Wyrd in modo diverso. Ma questo non ci rende speciali nel senso tradizionale: ci mette semplicemente su un percorso ancora più oscuro, fatto di scelte, sacrifici e frammenti di verità da ricostruire.

La trama non viene imposta con cinematiche o dialoghi infiniti: si costruisce lentamente, esplorando i luoghi del mondo di gioco, leggendo appunti scritti con il sangue, ascoltando deliri religiosi e dubbi filosofici. E proprio in questa frammentazione si nasconde il fascino del gioco: Tainted Grail non ci svela tutto subito, ma ci chiede di scegliere a chi credere e quale strada seguire.

Combattimento e progressione: tutto ha un peso, e niente è scontato

Il combattimento in Tainted Grail: The Fall of Avalon è pensato per mettere il giocatore sotto pressione. Non c’è spazio per l’azione frenetica o per l’aggressività senza criterio. Ogni attacco richiede un tempo d’innesco, consuma energia e lascia persino scoperti per qualche istante se non si ragiona sulle proprie mosse. È un sistema che forza il giocatore a rallentare, osservare e scegliere con attenzione quando attaccare, soprattutto quando si combatte in mischia. Quando si ingaggia un nemico, non si tratta di capire quanti colpi servono per abbatterlo, ma quanto possiamo permetterci di sbagliare

L’arsenale è piuttosto ampio. Il gioco consente di impugnare armi diverse in ciascuna mano: spade corte, asce, armi pesanti a due mani, scudi, bastoni magici e archi. Non esistono classi rigide, e il sistema è pensato per adattarsi a qualsiasi stile. Possiamo costruire personaggi puramente fisici, maghi puri, ibridi o esperti nel combattimento a distanza. La possibilità di passare da un set all’altro durante il combattimento aiuta a reagire in tempo reale ai cambi di ritmo e alle minacce più pericolose.

Gli incantesimi, da parte loro, offrono più di una semplice alternativa al combattimento fisico. Alcuni cambiano comportamento a seconda dell’input: se attivati rapidamente infliggono un effetto, se caricati ne attivano un altro. Non tutti gli incantesimi sono ben bilanciati, ma il sistema è solido, e valorizza la sperimentazione.

Il sistema di progressione si fonda su sei attributi principali. Ogni azione contribuisce a far crescere le abilità corrispondenti, secondo una logica “use it to improve it” in stile Elder Scrolls. Se passiamo ore a combattere corpo a corpo, miglioreremo quel parametro. Questo legame diretto tra esperienza e crescita rende ogni stile di gioco coerente, e spinge a interpretare il personaggio non solo a livello ruolistico, ma anche semplicemente a livello "meccanico".

Ogni attributo influenza un albero delle abilità. I perk sbloccabili sono generalmente ben costruiti, con effetti semplici da comprendere e utili in situazioni specifiche. Alcuni potenziano l’efficacia in combattimento, altri migliorano la mobilità, il crafting, l’interazione con il mondo o la gestione dell’inventario. È anche possibile resettare tutti i punti assegnati, permettendo di cambiare build in qualsiasi momento. Una scelta intelligente, che elimina il rischio di dover ricominciare da capo dopo una decisione sbagliata.

Il vero punto debole del sistema, almeno al momento, è la gestione delle hitbox nei combattimenti ravvicinati. Succede di colpire un nemico senza effetto apparente, anche quando l’animazione indica il contrario. Oppure di subire danni da attacchi che sembrano già conclusi. Non è un problema costante, ma può creare frustrazione, soprattutto negli scontri contro nemici rapidi o nei corridoi più stretti.

Al netto di questi problemi, il sistema regge bene. Funziona perché non ci prende in giro. Non ci fa sentire invincibili, ma ci responsabilizza. Se vinciamo un duello, è perché abbiamo capito come muoverci. Se perdiamo, di solito è per colpa nostra. Non per sfortuna, non per sbilanciamento. Perché abbiamo scelto il momento sbagliato per attaccare, o abbiamo deciso di puntare un nemico troppo potente (controllate gli avatar nell'interfaccia, teschio = morte!).

Ed è proprio questo che lo distingue da altri RPG in prima persona. Non cerca di imitare semplicemente Skyrim, anche se ne raccoglie l’eredità. Piuttosto, riprende certe intuizioni e le stringe, le asciuga, le rende più grezze ma anche più coerenti. Meno libertà nell’approccio, più responsabilità nella scelta. Meno concessioni, più rischio. Non è perfetto, ma sa dove vuole andare.

E quando si sopravvive a uno scontro con un punto vita e il respiro corto, senza effetti speciali e senza ricompense fuori scala, la soddisfazione è tutta nelle mani. Non nel bottino.

Un mondo compatto, denso e letale: l'esplorazione premia, ma occhio!

The Fall of Avalon non offre un open world sconfinato. Al contrario, il mondo è contenuto in tre macro-regioni ben definite, ognuna con un’identità visiva precisa, missioni specifiche e una mappa che non lascia spazio all’inutile. Ogni deviazione serve a qualcosa, e quasi sempre comporta un rischio.

L’esplorazione non è guidata da icone o checklist. Il gioco ci spinge a muoverci con attenzione, a interpretare l’ambiente, a valutare se vogliamo i pericoli che ci circondano. Di giorno si può ragionare. Di notte, tutto cambia: il Wyrd si intensifica, i nemici diventano più aggressivi, e dormire all’aperto può avere conseguenze. Anche accendere un fuoco richiede materiali, e a volte ci si ritrova senza nulla, costretti a scegliere se andare avanti al buio o trovare rifugio in un luogo peggiore del pericolo che si voleva evitare.

I dungeon sono numerosi e ben costruiti. Non ci sono riempitivi. Ognuno presenta sfide e ricompense coerenti, ma entrare non è mai una formalità. Vale la pena farlo, ma solo se siamo pronti a pagare il prezzo. Attività come pesca, cucina, alchimia e forgia affiancano la parte ruolistica. Non sono obbligatorie, ma integrano bene l’esperienza. Preparare un pasto che potenzia la resistenza o una pozione di cura può cambiare l’esito di uno scontro. Anche la gestione dei rifugi, pur essenziale, contribuisce a creare punti di riferimento in un mondo che non ne concede molti. Il paragone con gli Elder Scrolls è inevitabile, ma qui esplorare ha un altro peso. Non si vaga per completare la mappa. Si parte, si soppesa ogni passo, e si spera di tornare. E quando si torna, spesso lo si fa con qualcosa da raccontare.

Versione Testata: PC

8

Voto

Redazione

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Quel male che chiamiamo destino: Tainted Grail riscrive la leggenda di Artù - Recensione Early Access

Tainted Grail: The Fall of Avalon non è un gioco che cerca consensi facili. È lento, ruvido, imperfetto. Ma ha una direzione chiara e la segue senza compromessi. La sua forza non sta nel numero di quest, né nella quantità di contenuti, ma nel modo in cui ci costringe a stare dentro le sue regole. Non ti dice cosa fare. Ti lascia solo, e guarda cosa succede.

Certo, i margini di miglioramento ci sono. Le hitbox vanno sistemate, l’interfaccia può essere snellita, e alcune animazioni chiedono ancora un passaggio di rifinitura. Ma non è questo che definisce il gioco. Quello che conta è che Tainted Grail ha qualcosa da dire. E sa come farlo.

Con l’arrivo della versione 1.0, gran parte dell’esperienza sarà finalmente completa. Tre atti, un epilogo, decine di ore di contenuti e una struttura che adesso ha la solidità necessaria per reggere fino in fondo. Non è un salto di qualità, è un consolidamento. Un gioco che ha camminato nell’ombra per mesi, e ora può finalmente mostrarsi per quello che è: un GDR che sa raccontare una storia in maniera unica e originale.

 

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