Solo Leveling: ARISE OVERDRIVE, un adattamento ambizioso che non riesce a fare il salto di qualità - La Recensione

Un action RPG visivamente potente, ma frenato da limiti tecnici, ripetitività e un’eredità mobile troppo ingombrante.

di Simone Rampazzi

Solo Leveling è una di quelle opere che funzionano perché parlano di un desiderio universale: assistere alla trasformazione di una fragilità in forza. È la stessa alchimia che ha reso immortali saghe come Dragon Ball, dove ogni arco narrativo coincide con un nuovo superamento dei limiti, o come Naruto, che ha costruito un’intera poetica attorno alla crescita attraverso il dolore e la determinazione. Nel webtoon, Sung Jinwoo incarna questo archetipo con una precisione quasi chirurgica: un ragazzo che parte da uno svantaggio assoluto, troppo debole persino per gli standard del suo mondo, ma che grazie a un potere tanto misterioso quanto spietato compie una metamorfosi che nessun altro hunter può eguagliare.

Questa progressione — fatta di tensione, rivelazioni, sacrifici e momenti di incertezza — è ciò che ha conquistato milioni di lettori. L’anime ha amplificato questo effetto, riuscendo nell’impresa non banale di dare vita alle tavole del webtoon senza tradirne il respiro, offrendo una regia che trasforma il semplice “level up” del protagonista in un rito di passaggio capace di imprimersi nella memoria.

Con Solo Leveling: ARISE OVERDRIVE, Netmarble Neo ha promesso di tradurre questa esperienza in un action RPG cooperativo. Un titolo premium, privo di gacha, pensato per restituire al giocatore l’emozione primordiale del “diventare più forte”, sfruttando la fisicità di un combat system moderno, l’immediatezza del feedback visivo e la libertà di una progressione costruita su scelte e build. Sulla carta, ARISE OVERDRIVE rappresentava l’occasione perfetta per far incontrare l’immaginario del medium cartaceo con il linguaggio dei videogiochi, o degli anime, come già avvenuto con altri adattamenti di successo, da Castlevania a Cyberpunk: Edgerunners, capaci di creare un ponte credibile tra medium differenti.

Nonostante le dichiarazioni ufficiali, è difficile ignorare quanto ARISE OVERDRIVE erediti dal gioco mobile Solo Leveling: Arise non solo la struttura, ma anche gran parte dei suoi limiti concettuali. I menù, la gestione delle missioni, la frammentazione in istanze e persino la costruzione dell’hub rimandano costantemente a un’impostazione da free-to-play “ripulito”, più che a un progetto nato per PC e console. Il gameplay loop, invece di ampliare il mondo, tende a comprimere l’esperienza in brevi sezioni funzionali, pensate più per la ripetibilità che per la varietà.

Il risultato è un contrasto evidente. Da una parte c’è l’ambizione di farci vivere l’ascesa di Jinwoo come se fossimo dentro le tavole originali, con momenti visivi che riprendono fedelmente le sequenze chiave del webtoon e dell’anime. Dall’altra c’è la sensazione che quella scalata venga continuamente filtrata da meccaniche pensate per diluire l’esperienza invece che per esaltarla, come se il gioco non riuscisse mai a sostenere davvero la promessa iniziale.

Solo Leveling matura ma fa il passo più lungo della gamba

La trama di Solo Leveling: ARISE OVERDRIVE ripercorre gli eventi iniziali e intermedi dell’opera originale, concentrandosi sull’ascesa di Sung Jinwoo dalle prime missioni da E-Rank fino alle fasi successive al suo risveglio come “player”. Il gioco non copre l’intera storia del webtoon, preferendo interrompersi prima degli snodi centrali e selezionando episodi che si prestano maggiormente alla struttura a missioni e alla ripetibilità tipica dell’action RPG cooperativo.

Gli elementi più noti sono presenti: il dungeon trappola, il sacrificio dei compagni, il risveglio del System, i primi incarichi presso la Hunters Association e una parte delle operazioni successive sul campo. Tuttavia, la rappresentazione di questi momenti è fortemente condensata. Sequenze che nel webtoon o nell’anime ricevono un trattamento più esteso vengono trasformate in brevi cutscene di raccordo, progettate per introdurre la giocabilità piuttosto che per sviluppare personaggi e relazioni.

Questa scelta conduce a una narrazione che procede per blocchi autonomi: ogni missione introduce un contesto minimo, mette in scena l’azione e si conclude con un rapido aggiornamento sulla progressione del protagonista. La continuità emotiva, elemento cardine dell’opera originale, risulta attenuata; passaggi fondamentali perdono parte del loro impatto perché inseriti in un flusso spezzato da caricamenti, lobby e istanze ripetute. Ne emerge una storia riconoscibile nei suoi punti principali, ma priva del ritmo di crescita graduale che caratterizzava Jinwoo nelle altre trasposizioni.

Il limite diventa ancora più evidente se confrontato con adattamenti videoludici che hanno saputo integrare efficacemente le proprie fonti. Titoli come Naruto: Ultimate Ninja Storm o Dragon Ball Z: Kakarot mostrano come sia possibile rispettare la struttura narrativa originaria sfruttando scene d’intermezzo curate e segmenti di gameplay pensati per valorizzare i momenti emotivi. ARISE OVERDRIVE, invece, tende a ridurre ogni evento a funzione narrativa, privilegiando la transizione tra una battaglia e l’altra più che la costruzione di un arco drammatico coerente.

Il risultato complessivo è una trama che informa ma raramente coinvolge. Gli snodi narrativi sono presenti e immediatamente riconoscibili, ma vengono filtrati da una struttura a missioni che predilige la ripetizione rispetto alla profondità. Ciò che rimane è una versione abbreviata della storia: utile per orientare il giocatore, ma distante dalla complessità e dalla coesione che il franchise esprime nelle sue forme originarie.

Il level up c'è, ma sulla lunga risulta vuoto e inconcludente

Il cuore di ARISE OVERDRIVE è il suo combat system, ed è qui che il gioco tenta più di ogni altra componente di affermare una propria identità come action RPG “da PC e console”. L’impatto iniziale è efficace: l’ingresso in battaglia combina effetti particellari e animazioni dinamiche pensate per evocare la stessa energia ipercinetica del webtoon. È un approccio immediato, che valorizza il protagonista e dà al giocatore la sensazione di un combattimento più fisico e reattivo rispetto al titolo mobile.

Tuttavia, questo impatto si attenua rapidamente. Dopo poche sessioni emergono con chiarezza le radici della struttura ludica: istanze brevi, level design lineare, riciclo sistematico dei nemici, corridoi standardizzati e boss riproposti con variazioni minime. Non è una questione di difficoltà, ma di identità. ARISE OVERDRIVE ripropone un ritmo tipico dei free-to-play, con cicli molto rapidi — entrare, eliminare, uscire — che si avvicinano più alla logica di un titolo mobile che a quella di un action RPG costruito per sessioni ampie e variabili.

Il sistema delle armi e delle abilità, pur più ricco rispetto alla versione mobile, non riesce a esprimere fino in fondo il proprio potenziale. Jinwoo può combinare stili, concatenare skill e cambiare arma con fluidità, ma il flusso reale tende a cristallizzarsi in un pattern ricorrente: usare le abilità disponibili, cambiare arma, scaricare il secondo set e ripetere. È una struttura funzionale, talvolta soddisfacente, ma raramente sorprendente, lontana dalla libertà espressiva di un Devil May Cry o dalla complessità tattica di uno Xenoblade Chronicles.

Gli status introducono un ulteriore livello di varietà, ma rimangono spesso limitati all’aspetto scenico. La loro incidenza sulle scelte del giocatore o sulle reazioni dei nemici è ridotta, e il sistema finisce per ampliare la gamma dell’impatto visivo più che quella delle possibilità strategiche. Il risultato è una varietà percepita più che sostanziale.

Il co-op, che dovrebbe rappresentare una delle componenti fondanti dell’esperienza, non riesce a garantire la continuità necessaria. Oltre a problemi di matchmaking, si verificano frequenti desincronizzazioni durante i combattimenti, con nemici che compaiono in posizioni diverse per i vari giocatori, abilità che non si attivano simultaneamente e ritardi nella lettura dei colpi. Anche la stabilità generale delle sessioni cooperative risulta intermittente, con cali di performance e rientri forzati nella lobby. È una limitazione consistente, perché impedisce alla cooperativa di diventare quel valore aggiunto che dovrebbe ampliare la dimensione del gameplay, finendo invece per accentuare la ripetitività delle istanze.

Infine, la regia degli scontri presenta oscillazioni evidenti. La telecamera fatica a mantenere la leggibilità nelle arene più ampie, introduce rotazioni non richieste e tende a privilegiare scelte estetiche che sacrificano la chiarezza. È un limite già presente nel titolo mobile, qui reso più evidente dall’aumento della scala degli scontri e dall’elevata densità degli effetti. Ne deriva una gestione dell’azione che ricorda alcune sequenze anime dove la ricerca dell’impatto visivo prevale sulla comprensione del movimento.

L’impressione complessiva è quella di un sistema di combattimento che dispone degli elementi necessari per una crescita organica, ma che viene compresso in una struttura troppo rigida e ripetitiva. La cooperativa, invece di ampliare l’esperienza, ne espone ulteriormente i limiti, mentre la messa in scena — pur con spunti validi — fatica a sostenere il ritmo imposto dalla struttura a missioni.

Solo Leveling è bello da vedere ma non balla 

Ogni videogioco porta con sé l’impronta della propria produzione, e ARISE OVERDRIVE evidenzia fin dai primi minuti una tensione strutturale evidente: la distanza fra ciò che vorrebbe essere e ciò che la sua infrastruttura gli consente di diventare. L’obiettivo dichiarato di Netmarble Neo era quello di emancipare l’universo di Solo Leveling dal modello gacha, conferendogli una nuova dignità attraverso un titolo premium. Tuttavia, questo tentativo di riequilibrio si scontra con limiti tecnici, scelte architetturali e retaggi concettuali che continuano a legarlo al proprio passato mobile, impedendogli di acquisire una vera identità autonoma.

Il primo indicatore di questa continuità è rappresentato dalla gestione delle risorse e dalla necessità di una connessione online costante, persino in modalità single player. Si tratta di un’eredità diretta del modello service-based, che comporta non solo vincoli di natura strutturale, ma anche effetti collaterali molto concreti: server inaccessibili, latenze nella comunicazione con l’infrastruttura, sincronizzazioni forzate e stuttering legato alla gestione remota dello stato di gioco. È una struttura che non è stata ripensata, ma semplicemente ampliata, portandosi dietro rigidità e problematiche che appartengono a un ecosistema differente e che risultano poco compatibili con le aspettative associate a un titolo premium.

Sul piano tecnico, ARISE OVERDRIVE alterna momenti di discreta stabilità a situazioni critiche. Il gioco soffre di drop di frame, frame pacing irregolare, cali di performance nelle aree con foliage e caricamenti frequenti anche per operazioni minime, oltre a un rendering distance che appiattisce qualsiasi dettaglio oltre i venti metri, riducendo la profondità percepita delle ambientazioni. Persistono inoltre glitch visivi riconducibili a build preliminari: porzioni del modello di Jinwoo che scompaiono durante le ultimate, ombre che vibrano a bassa risoluzione, nemici che si incastrano nel level design lineare. Questi problemi non sono rari, né circoscritti: incidono sul ritmo di gioco e rivelano un ciclo di QA meno esteso di quanto sarebbe stato necessario.

L’interfaccia utente rappresenta uno dei segnali più espliciti della natura ibrida del progetto. Pur trattandosi di un porting per PC e console, la UI continua a rispondere con logiche da ambiente mobile: scrolling rigido, input lag evidente, menu sovrapposti con una gerarchia visiva poco adatta a un’interazione tramite controller o mouse. Questa scelta rompe la fluidità dell’esperienza e rivela una precisa direzione progettuale: preservare la portabilità del framework originario invece di riscriverlo in funzione di un pubblico diverso, abituato a sistemi di navigazione più reattivi e coerenti.

Il settore produttivo riflette la stessa ambivalenza. Da un lato, alcune cutscene principali, il design dei boss e una parte delle animazioni dimostrano un investimento autentico nel tentativo di trasporre la monumentalità del webtoon attraverso una regia più ampia e un uso drammatico delle luci. Dall’altro lato, l’opera è costellata da problemi di ottimizzazione che suggeriscono scadenze ravvicinate o un ciclo di test insufficiente. Dialoghi muti, distorsioni dell’audio, telecamera instabile nelle Shadow Trials e freeze improvvisi non sono difetti marginali: sono interruzioni che impattano direttamente sulla percezione della qualità finale.

Questa dicotomia solleva una questione identitaria. Da una parte emerge l’intenzione di costruire un adattamento visivamente ambizioso, capace di valorizzare le scene chiave della storia; dall’altra parte permane un’architettura tecnica che non ha mai subito una revisione strutturale. Il risultato è un prodotto che vive in una condizione intermedia: ricco di singoli momenti tecnicamente e visivamente efficaci, ma limitato da un impianto che continua a operare secondo le logiche di un titolo mobile.