Drag x Drive, la recensione del basket su ruote per Switch 2
A canestro coi mouse!

Nella sua traiettoria che prosegue parallela agli eventi e alle tendenze del settore, negli ultimi anni Nintendo ci abituato a console sempre caratterizzate da una grande novità rispetto alla precedente, perfettamente illustrata dal proprio gioco di lancio: una tendenza iniziata con Wii e il suo iconico Wii Sports, titolo che ha convertito al videogioco milioni di persone, e proseguita con i suoi eredi su WiiU e Switch. Switch 2 in questo senso rappresenta una piccola anomalia, essendo un’evoluzione diretta del precedente modello, ma anche lei (o lui?!) ha una novità da sfoggiare, ovvero l’uso dei Joycon 2 come (doppio) mouse, e il gioco perfetto per spiegarla, arrivato qualche settimana dopo il lancio della console: Drag x Drive.
I canestri a rotelle di Drag x Drive
Come già accaduto nel caso di Wii, lo sport può tornare molto utile quando si vuole mostrare le potenzialità di una nuova periferica. Wii Sports con tutte le sue diverse discipline era l’ideale per mostrare agli utenti in quanti modi diversi fosse possibile usare i controller il Motion Plus integrato al loro interno: racchette, dischi e un’infinità di altri strumenti potevano essere tutti sostituiti dai controller usati in movimento. Invece, il sensore ottico posto su un lato dei nuovi Joycon 2 e che consente loro di essere impugnati e utilizzati come mouse, è invece un po’ più complicato da comunicare al pubblico: una conversione di Excel per quanto perfetta sospetto che non sarebbe stata particolarmente apprezzata. Ma le idee in quel di Kyoto non mancano e dalle profondità degli studi di ingegneristica di Nintendo Entertainment Planning & Development è emersa una nuova disciplina che fonde i principi del basket con una formula alla Rocket League, ma giocata da robot che si muovono su ruote in sfide 3vs3.

È a questo punto che entrano in gioco i Joycon 2: all’interno di Drag x Drive i nuovi controller possono essere utilizzati solo in modalità mouse, poggiati su un piano, per replicare i movimenti che i robot utilizzano per muoversi. Detto più semplicemente, i Joycon 2 appoggiati su un piano devono essere fatti scorrere a ritmo in avanti o indietro, più lungo il movimento, più profondo e veloce sarà lo spostamento del personaggio. Oltre a muoversi ovviamente per il campo, questa meccanica serve anche a rubare palla agli avversari attraverso uno scontro (rigorosamente) frontale ben calibrato col portatore di palla avversario. E una volta che la palla è finalmente nelle nostre mani, bisogna staccare un Joycon 2 dal piano e impugnarlo per simulare il movimento del tiro. Proprio come nel basket ci sono canestri da 2 o 3 punti, ma se un canestro viene eseguito attraverso un’acrobazia sfruttando il bordo “ a catino” dell’arena si possono ottenere punteggi ancora più alti. Per passare, invece, basta premere un dorsale, operazione più o meno facile a seconda dell'impugnatura consentita dalla dimensione delle vostre mani.
Sudore & Canestri
Ne avevamo già avuto un assaggio durante la Nintendo Switch 2 Milano Experience e possiamo riconfermarlo dopo aver potuto giocarci da casa nei giorni scorsi: Drag x Drive richiede impegno e fatica. Oddio, non siamo certo ai livelli del lavoro in miniera, ma far scivolare i Joycon 2 sul piano per muoversi allena la resistenza dei muscoli, mentre curve e rotazioni si eseguono attraverso il blocco di una singola ruota e ciò richiede un certo cambiamento nella configurazione dei fili dall’interno del nostro cervello. Non si può certo dire sia comodo, ma di sicuro è sfidante e stimolante. Però prenderci la mano richiede un po’ di tempo. Come tradizione Nintendo si prende tutto il tempo necessario per illustrare al giocatore ogni singola mossa e il suo contesto di applicazione, allenamenti pratici inclusi, ma al termine della fase iniziale di tutorial non si è pronti per scoprire che il menù di gioco è una sorta di velodromo disseminato di icone da raggiungere muovendo il personaggio. Non esistono menù accessibili con altre modalità, tutto si controlla muovendo il personaggio in 3D.

Il sistema di controllo di sicuro è un ostacolo, non è così immediato e viene facile immaginare che i giocatori più casual possano finire per abbandonare prima di padroneggiarlo. Però con un po' di impegno sa dare soddisfazioni. Il problema principale di Drag x Drive al momento è la scarsità di situazioni in cui è possibile utilizzarlo. Il velodromo che costituisce di fatto il menù interattivo del gioco, sorta di hub centrale, può essere visitato in modalità pubblica o privata, e oltre agli scontri online (al momento ovviamente poco popolati) è possibile affrontare una manciata di sfide (a tempo o a punti), oltre a delle partite sempre 3vs3 con/contro dei bot. Un po’ pochino per convincerci ad avviare Drag x Drive e distrarci dalle coloratissime icone degli altri giochi in Home. Già, coloratissime.
L’anomalia cromatica di Drag x Drive
Il dettaglio che salta subito all’occhio di fronte a una partita di Drag x Drive è la differenza in termini di colori rispetto ad altri titoli first party di Nintendo. Questa volta la palette utilizzata per il gioco non è la solita in cui abbondano rossi accesi, blu intensi e verdi vivaci. A differenza di altre discipline inventate dalla Grande N come Splatoon o Arms, in questa futuristica competizione robotica il tono dominante è quello del grigio acciaio. Il tema della sedia a rotelle è delicato, senza dubbio, e non siamo riusciti a capire se l’utilizzo dei robot sia stata una scelta di sensibilità o di convenienza, ma la sola presenza di androidi su ruote ha senza dubbio ha condizionato l’estetica generale del gioco, appiattendola troppo e distaccandosi eccessivamente da un codice visivo che permette solitamente di riconoscere al primo sguardo un gioco Nintendo.
Come una metafora, questo spostamento verso l’ordinario si vede anche nel gameplay. La meccanica di controllo è geniale, per quanto non manchino le criticità, ma è una di quelle trovate che solo Nintendo ormai si sente di azzardare; intorno però è stato costruito ben poco e di sicuro non abbastanza per mantenere l’interesse non solo sul lungo periodo, ma anche su un arco di tempo decisamente più breve.