DOOM: The Dark Ages, la recensione di uno Slayer ancor più viscerale
id Software opta per un azzardo e reinterpreta, con successo, i principi fondamentali della serie

L'annuncio di DOOM: The Dark Ages ha suscitato l’interesse che ci si poteva aspettare, infiammando gli animi degli appassionati con la premessa non semplicemente di un nuovo capitolo pronto a riproporre una formula consolidata, bensì come un punto di rottura - una reinterpretazione dei principi fondamentali della saga senza per questo dimenticare le proprie radici. Il gioco in arrivo è infatti un prequel, ambientato in un’era primordiale del perenne conflitto contro le entità infernali, una scelta tutt’altro che casuale ma anzi volta ad andare a fornire un contesto narrativo per la genesi di un personaggio leggendario come lo Slayer, esplorando le prime fasi di una crociata senza fine e le circostanze che l’hanno portato a essere il macellaio silenzioso che conosciamo. Naturalmente, a questo spaccato narrativo si affianca un’esperienza ludica audace, che pur mantenendo salde l’intensità e la brutalità intrinseche della saga, punta a nuove direzioni in termini di ambientazioni e meccaniche. Ci siamo immersi in questo bagno di furia e sangue per ore ed ore, uscendone decisamente soddisfatti nei confronti di un capitolo che segna un nuovo approccio ai massacri di orde demoniache accompagnati come sempre da una colonna sonora unica.
Tra combattimenti all’ultimo proiettile, mappe più o meno vaste, draghi da cavalcare per portare ancora più caos e distruzione nonché, sempre nell’ordine delle novità, mecha pronti a picchiare ancora più duro dello Slayer stesso e metterci a confronto con veri e propri giganti demoniaci, DOOM: The Dark Ages si è rivelato un azzardo assolutamente riuscito.
L’era più cupa di un eterno conflitto: la trama di DOOM: The Dark Ages
Partiamo dal contesto narrativo, del quale vi riveleremo il poco che basta a darvi un’idea degli accadimenti. Se è pur vero che nessuno gioca a DOOM per la trama, è un elemento portante dell’esperienza e come tale va vissuto. Lo Slayer è, come ben sappiamo, una macchina da guerra; un uomo, se tale concetto gli può essere associato, la cui furia riesce a soverchiare qualsiasi forza provi a opporglisi. Le Sentinelle, nonostante ne siano spaventate, riconoscono una simile sete di sangue un’arma efficace contro le legioni infernali che non danno loro tregue; similmente, i Maykr vedono in lui nientemeno che un ricettacolo della loro volontà divina, tanto da infondere nella sua carne una potenza celestiale e legare la sua anima ai loro piani cosmici. Una decisione che, pur nel suo calcolo, non ha davvero tenuto conto di quanto sia schiacciante la sete di sangue demoniaco dello Slayer, una vendetta personificata che chiunque a questo punto teme di controllare, incerto sulle conseguenze.
In questo prequel vediamo lo Slayer assoggettato ai Maykr, tenuto sotto controllo da un dispositivo impiantato all’altezza del cuore. Chiuso entro un campo di forza finché non viene richiesta la sua presenza sul campo di battaglia, è il perenne ago della bilancia che volge le altrimenti segnate sorti delle Sentinelle ogni qualvolta viene inviato sul posto. C’è dunque una sorta di accordo tra esse e i Maykr, venerati in quanto divinità, nonostante si avverta una certa riluttanza da parte del neo nominato vescovo del ministero Kreed Maykr nell’uso dello Slayer per questioni che potrebbero ai suoi occhi essere triviali. Nondimeno, il trasferimento continuo dell’energia delle Sentinelle verso il mondo natale dei Mayrk rimane di fondamentale importanza e per nessun motivo questa trasmissione dev’essere interrotta. Battaglia dopo battaglia, dunque, lo Slayer viene chiamato ad aiutare le Sentinelle, nonostante giocando si possa vedere benissimo come questi stessi combattenti che deve (o dovrebbe) aiutare possono rappresentare un intralcio alla sua furia a stento contenuta.
Più combatte, più la sua sete di sangue lo rende prono alla ribellione verso la costrizione nella quale si trova, rendendo difficile capire cosa potrebbe succedere ai delicati equilibri tra Maykr e Sentinelle qualora lo Slayer dovesse spezzare le catene. In questo scenario di conflitto non manca ovviamente la figura dell’antagonista principale, nei panni del principe Ahzrak - un giovane demone che contrariamente ai suoi simili non trema al cospetto dello Slayer. Ha un obiettivo e non si fermerà davanti a niente per raggiungerlo, nemmeno a una bestia sotto spoglie umane pronta a trattarlo non diversamente da qualsiasi altro demone.
Come accennato, la storia non è certo il punto cardine della serie DOOM, tuttavia la decisione di rendere questo nuovo capitolo un prequel narrativo ha la sua importanza: il ritorno a tempi remoti per esplorare la genesi di una leggenda quale lo Slayer fondendo la fantascienza al dark fantasy e ponendo tutto in un contesto medievale influenza ogni aspetto del gioco, non soltanto la sua lodevole presentazione estetica. Dal level al monster design, passando in modo particolare per un arsenale che valorizza il concetto di “Stand and Fight” di cui parleremo nel dettaglio a breve, la rappresentazione di uno Slayer in un’epoca tanto remota conferisce all’esperienza ancora più brutalità e fascino di quanto già non abbia avuto fino a questo momento.
Questa commistione stilistica si manifesta in scenari che combinano imponenti fortezze di pietra e strutture fortificate tipiche dell'architettura medievale con inserti di tecnologie fantascientifiche, spesso corrotte dall’influenza demoniaca: portali di vario genere, armi d’assedio, veri e propri nidi di sangue, insomma chi più ne ha metta. I nemici, lungi dall'essere “semplici” demoni, sono una infernale fusione di carne e innesti meccanici, quando non rivestiti più o meno completamente di armature da fare a pezzi per esporli. Qualunque combinazione vi venga in mente, non è escluso che DOOM: The Dark Ages possa vantarla nel bestiario, sebbene la maggioranza dei nemici tenda ad avere una forma umanoide a diversi livelli di grottesco. L'atmosfera generale restituisce in modo palpabile una violenza primordiale, ulteriormente amplificata proprio dalla commistione di futuro e passato che permette tanto allo Slayer quanto alle orde demoniache di liberare tutta la loro furia in un mondo che diventa lo scenario per eccellenza di un massacro senza precedenti.
"Stand and Fight": la rivoluzione di una filosofia storica in DOOM: The Dark Ages
Prima di entrare nel vivo del gioco, una piccola digressione sulla personalizzazione della difficoltà, aspetto sul quale ID Software si è dedicata in modo particolare. Non c’è nulla che in DOOM: The Dark Ages non si possa modificare, quando si imposta il livello di difficoltà. Per la recensione si è deciso di testare la modalità Normale (Fatemi male) senza toccare le varie opzioni ma sappiate che sono tante, tutte pensate per avvantaggiarvi o gettarvi nel caos più totale se avete una propensione al masochismo: dagli aiuti in combattimento che possono variare la finestra di parata dello scudo, rendendola più o meno generosa, si passa a veri e propri modificatori che permettono di alterare i danni al giocatore e ai demoni, il livello di aggressività dei nemici, la velocità di gioco e la durata dello stordimento, fino al valore stesso delle risorse che più sarà alto e più renderà la gestione di queste ultime vitale. Immaginiamo di combinare tutte queste possibilità, in positivo o negativo, con i livelli di difficoltà proibitivi dove la partita può terminare alla prima morte dello Slayer e va da sé fino a che punto i giocatori soprattutto più navigati possono mettersi alla prova. Similmente, chi è alle prime armi con la serie o con il genere nel complesso potrà optare per una difficoltà nella media ma mitigata in alcuni suoi aspetti, che in qualsiasi momento si possono ritarare.
Detto questo, senza dubbio l'innovazione più significativa e distintiva di DOOM: The Dark Ages risiede nella sua filosofia di combattimento. Distanziandosi parzialmente dall'enfasi preponderante sul movimento costante (run and gun in DOOM 2016 e jump and shoot in DOOM Eternal), il titolo introduce il concetto di "stand and fight". A dispetto del nome, non aspettatevi una decelerazione o staticità dell'azione, anzi; l'intento, riuscito, è piuttosto quello di potenziare la capacità del giocatore di resistere e contrattaccare efficacemente nel cuore delle schiere demoniache, riducendo la necessità di manovre evasive e riposizionamenti costanti. Questo cambio di paradigma mira a rendere gli scontri più diretti e a premiare la gestione aggressiva della pressione nemica, come presto comprenderete giocando.
Da persona che predilige la meccanica della deflessione ed è sempre entusiasta quando la vede implementata in un gameplay, non nego le mie perplessità iniziali su come questa si sarebbe potuta adattare bene al contesto offensivo del gioco, pur al netto della spiegazione del nuovo approccio adottato dallo studio di sviluppo. Solo quando l’ho provata con mano mi sono effettivamente resa conto di quanto fine sia stato il lavoro per inserire, e in generale valorizzare, l’utilizzo delle armi bianche in una serie ben nota per spingere al movimento e al riposizionamento costante. Qui, al contrario, pur non essendo obbligatorio, mantenere la posizione rende tutto non solo più caotico e divertente ma soprattutto impegnativo perché si traduce in una visione ancora più d’insieme dei pericoli circostanti, nonché nella capacità strategica del giocatore quando si tratta di gestire una serie di attacchi tutti diversi in arrivo e dei rispettivi tempi. Ci sono colpi, fisici ma anche energetici, che lo Slayer può deflettere e altri che invece può solo parare senza averne alcun effettivo ritorno. Se nei primi degli oltre venti livelli che compongono il gioco potrebbe sembrare quasi facile gestire le orde che cercano di farci la pelle, a mano a mano che vengono introdotti nemici sempre più elaborati e resistenti, inizialmente sotto forma di boss poi come avversari comuni, tutto si trasforma in un continuo calcolo di cosa fare, come e soprattutto quando per trarne quanto più vantaggio.
Protagonista fondamentale del concetto di “stand and fight” è la prima fra le tante nuove armi in dotazione allo Slayer: lo scudo e la sega che presto gli viene implementata fino a rendere l’arma nella sua interezza, indovinate un po’, una sega scudo. Come potete immaginare, non siamo di fronte a un semplice strumento difensivo passivo, bensì a un'arma polivalente e dinamica. Lo scudo può essere impiegato per deflettere gli attacchi nemici, un'azione che, se eseguita con precisione può trasformare un momento di potenziale vulnerabilità in un'opportunità offensiva grazie ai numerosi benefici del caso - dallo stordimento dei nemici fino all’ottenimento di risorse o alla ricarica più rapida delle abilità corpo a corpo. La deflessione, o parry come lo si chiama abitualmente, introduce un elemento ritmico e strategico nel flusso del combattimento, elevando la difesa a opportunità offensiva a ogni pie’ sospinto. Se tuttavia pensate che si riduca a essere uno strumento da contatto ravvicinato, siete in errore: per non farsi mancare nulla, lo Slayer può lanciare lo scudo per fendere dalla distanza le linee nemiche e, grazie alla sega integrata, falciarli con maggior efficacia. Non solo, ottimizzato dai potenziamenti che possiamo acquistare a degli specifici altari, la presenza della sega aggiunge un ulteriore valore strategico perché pur non potendo eliminare sul colpo alcuni nemici élite, può bloccarli sul posto dandoci la facoltà di crivellarli di colpi (o farli saltare con uno ben piazzato a distanza ravvicinato se parliamo dell’iconica doppietta).
E davvero non finisce qui, perché i nemici stessi sono stati pensati per elevare gli utilizzi strategici dello scudo: prendiamo ad esempio i demoni che impugnano uno scudo a torre, di metallo o al plasma. A seconda della tipologia ci sono almeno due possibili approcci diretti. Nel primo caso, lo scudo deve essere surriscaldato a colpi di arma da fuoco affinché, lanciando poi il nostro, venga fatto a pezzi e con esso la creatura che lo imbracciava, permettendoci nel frattempo di ottenere frammenti di corazza. Tutto qui? No, perché la distruzione di un nemico armato di scudo provoca un effetto a catena per il quale anche tutti gli eventuali altri nemici dello stesso tipo vengono smembrati - in genere li si trova disposti in lunghe file orizzontali). Per quanto riguarda invece gli scudi al plasma, potremmo utilizzare un’arma chiamata Acceleratore, che li fa esplodere dopo qualche colpo e va a danneggiare chiunque sia nei paraggi di questa detonazione; oppure, sempre usando il nostro fido scudo, possiamo sfruttare il potenziamento del rimbalzo per far sì che una volta a contatto con gli scudi al plasma questi non solo siano distrutti e con essi il demone, ma provochino un effetto rimpiattino per il quale il nostro scudo schizzerà verso i demoni più vicini per farli a pezzi o infliggere danni se si tratta di creature più evolute. Insomma, capite anche voi la quantità di possibilità e approcci, di cui vi ho descritto giusto una minima parte, che un simile approccio porta con sé: si va a intensificare ulteriormente la natura degli scontri, rendendoli sì più impegnativi eppure al contempo molto gratificanti, richiedendo ai giocatori di padroneggiare non solo il posizionamento e la gestione delle armi, ma anche il tempismo in un utilizzo parimenti difensivo e aggressivo dello scudo.
“Stand and fight” è senza dubbio una scelta che non ci si sarebbe mai aspettati nei confronti di un gioco simile, eppure con DOOM: The Dark Ages è stato dimostrato come anche una serie più votata al dinamismo assoluto possa fare un passo indietro e trovare un’evoluzione differente, non per questo meno funzionale, dei propri principi fondamentali. Il tutto senza togliere nulla anche all’esplorazione e all’attraversamento delle diverse aree, per le quali lo scudo si rende ancora una volta un compagno fondamentale. Solo ID Software poteva essere così folle da quasi stravolgere una saga storica per introdurre vere e proprie meccaniche brawler (perché al netto del tempismo, qui il parry non è certo un esercizio di finezza, solo una brutalità un po’ più elegante), forte anche di alcune novità lato lotta corpo a corpo, eppure questo azzardo si è rivelato ottimamente gestito e altrettanto appagante.
Passato e futuro in DOOM: The Dark Ages: un arsenale ibrido
L'arsenale a disposizione riflette in maniera congrua l'ambientazione ibrida del gioco, combinando armi riconoscibili con nuove e brutali aggiunte. Accanto alla Doppietta (presentata con un'estetica rinnovata che si integra al tema medievale), troviamo armi del tutto inedite chiaramente ispirate a un dark fantasy medievale: dal Razziatore , che concentra una pioggia di frammenti ossei a rosata ristretta e aumenta la sua cadenza di fuoco nel tempo, abbiamo un più lento ma non meno efficace Impalatore che, sulla falsariga di un fucile da cecchino, infligge danni molto elevati con bonus significativi per i colpi alla testa. Il Distruttore a catena è un’altra aggiunta interessante, poiché spara un nucleo sferito che infligge danni al contatto prima di essere richiamato all’interno dell’arma. Ciascuna di quelle citate, così come delle altre per cui vi lascio il piacere della scoperta, ha una variante più potente e a volte proprio diversa in termini di approccio che concorre a espandere ancora di più l’arsenale dello Slayer per continuare il nostro massacro indisturbati.
La ruota delle armi ci permette di scegliere con comodità il gruppo di armi da adottare, rallentando un poco il tempo, e quando stiamo equipaggiando un’arma possiamo passare alla sua variante premendo quadrato (su PlayStation): in questo modo le armi utilizzabili prima di selezionarne altre dalla ruota sono ben quattro, ciascuna con le proprie logiche e utilità sulla corta, media o lunga distanza. Tra queste, non dimentichiamoci assolutamente il Flagello, una tra le possibili dotazioni corpo a corpo dello Slayer e che, esattamente come il Guanto del Flagello che adottiamo all’inizio del gioco, può consumare fino a tre cariche per eseguire combo in mischia devastanti. Ciascuna di queste armi ha i suoi vantaggi, che si amplificano ulteriormente con l’acquisto dei rispettivi potenziamenti, e in base al vostro stile di gioco una può rivelarsi più efficace dell’altra - nonostante, va detto, nessuna è mai davvero messa da parte. Questa combinazione di estetica e funzionalità preserva l'identità distintiva della serie per quanto riguarda il concetto di armi potenti e iconiche, reinterpretandola però in un contesto inaspettato, dove ognuna è forgiata per il massimo impatto distruttivo.
L'accento sul combattimento corpo a corpo è ulteriormente valorizzato da un sistema di Glory Kill evoluto: sono adesso meno rigidamente predefinite e più integrate nel dinamismo dell'azione, una scelta che potrebbe far storcere il naso per via della minore spettacolarità ma al contempo un compromesso dovuto per non dare una battuta d’arresto al succitato dinamismo. Inoltre, non sempre garantiscono l’eliminazione istantanea del nemico, andando però a indebolirlo così da depotenziarne l’impatto offensivo. Prendiamo per esempio il Cavaliere Pinky: il nome indica rettili quadrupedi dotati di corna e impiegati come cavalcature dai demoni arcieri. Finché questi ultimi restano loro in groppa, saremo di continuo bersagliati da colpi dalla distanza, alcuni dei quali comodi da deflettere ma comunque fastidiosi quando ci si trova in situazioni concitate (cioè sempre).
Indebolendoli abbastanza si può generare una Glory Kill che va a disfarsi dell’arciere per lasciare solo la cavalcatura, nettamente meno problematica da abbattere dati i suoi attacchi più a corto raggio. Ancora, nel caso dei Cyberdemoni, giusto per citare quella fusione di carne e macchina menzionata in precedenza, la prima Glory Kill va a privarli dell’armatura sul lato sinistro, rendendoli di fatto più vulnerabili e gestibili. Se dunque si potrebbe lamentare una minor spettacolarità nelle uccisioni, riservata invece ai boss, è comprensibile la decisione se la si guarda nell’ottica della frenesia che caratterizza ogni combattimento. Non solo, il fatto che le Glory Kill, indipendentemente che uccidano sul colpo o meno, permettano di recuperare salute, munizioni o armatura le configura come un ulteriore strumento tattico, da impiegare con un certo grado di strategia per il recupero di risorse anziché relegarle a semplici animazioni di finitura.
Concludiamo la parte dedicata all’arsenale, dallo scudo alle armi da fuoco e corpo a corpo, parlando dei potenziamenti. DOOM: The Dark Ages valorizza l’esplorazione inserendo nelle proprie mappe una serie di risorse da spendere per perfezionare la nostra dotazione: oro, rubini e pietre dei Wraith sono mezzi essenziali per sbloccare, agli Altari delle Sentinelle, le abilità che riteniamo migliori per le nostre armi in base allo stile di gioco. Ripulire da cima a fondo un livello è fortemente consigliato, perché con il progredire dei livelli la complessità degli scontri aumenta ed è bene farsi trovare preparati: possiamo decidere in autonomia dove e come spendere queste risorse, per quanto mi riguarda ho deciso di dare priorità allo scudo e non me ne sono pentita, considerata la sua versatilità, ma non c’è limite a come spendere quello che recuperate sul campo.
Ciascun livello ha un numero di risorse predefinito, per questo è importante esplorarli da cima a fondo, soprattutto a mano a mano che l’arsenale viene migliorato, perché ogni nuovo potenziamento richiederà anche più unità di rubini o pietre - gli elementi più rari da ottenere. Sì all’azione, dunque, ma ci deve anche essere del tempo per ribaltare la mappa da cima a fondo e capire dove si trovano le varie risorse; non preoccupatevi se mancate qualcosa, tutti i livelli sono rigiocabili una volta terminati e mantengono la progressione, perciò ci si può concentrare solo su quello che manca senza preoccuparsi del resto. Ciò detto, però, non ho trovato molto piacevole il fatto che in certi punti il gioco tagli fuori dal backtracking se si avanza un poco lungo il percorso principale. Alcuni di questi blocchi li si può intuire o sono direttamente segnati sulla mappa da un’icona di uscita, che indica il non ritorno nella zona che stiamo per abbandonare, ma in altri casi non è così prevedibile e per qualche passo in più ci si può ritrovare totalmente tagliati fuori dal percorso precedente. Molto importante, dunque, muoversi con cautela e far sì di aver trovato tutto il possibile prima di azzardarsi a procedere. Avendo la mappa dell’area completa fin dall’inizio, è semplice fare questo genere di calcolo purché ci si ricordi.
Un ulteriore modo di ottenere risorse è completare le sfide proprie di ogni livello, che permettono di ottenere oro o rubini oltre a quelli di base presenti nel livello stesso. Sono un'ulteriore incentivo a interagire con e nel combattimento magari in modi diversi dal solito, sebbene va detto che non tutte le sfide sono chiarissime da capire o comode da fare - il che implica dover rigiocare il livello se vogliamo il nostro bel 100%. Il lato positivo è che, proprio come i collezionabili, anche la progressione delle sfide viene memorizzata dal sistema permettendoci eventualmente di portarle a termine con tutta calma.
Tra mecha e draghi, tanta (troppa) epicità
Sull’onda dell’epicità, una delle integrazioni più notevoli e visivamente impattanti è rappresentata dall'introduzione di sequenze di gioco in cui lo Slayer può assumere il controllo di un imponente Atlan mech o cavalcare un Drago. Questi momenti sono pensati per variare significativamente il ritmo e la scala degli scontri, consentendo di confrontarsi con avversari di proporzioni colossali e ingaggiare combattimenti aerei. L'Atlan, serve per fendere le linee nemiche incuranti di chi travolgiamo nel percorso e affrontare ad armi pari i titani che compongono le linee nemiche: sono sequenze piuttosto scriptate, nel senso che l’Atlan può colpire principalmente a pugni, caricando un indicatore per ogni colpo dato o schivata perfetta effettuata fino a scatenare, a carica piena, due diversi tipi di attacchi che fanno a pezzi anche il più coriaceo dei titani. Occasionalmente, quando il gioco lo decide, all’Atlan può essere affidata un’arma da fuoco la cui efficacia dipende dalle schivate perfette eseguite: per ciascuna, l’arma libera tutta la sua potenza permettendo di sbarazzarsi più in fretta. Queste situazioni sono però decise dal gioco, in genere ci muoviamo privi di armi che non siano i nostri seppur efficaci pugni (al più il pestone quando l’indicatore è pieno).
Il Drago, di contro, permette combattimenti aerei ad alta velocità e spostamenti rapidi attraverso aree estese, introducendo una dimensione verticale e una libertà di movimento inedite per la serie. Viene utilizzato quando dobbiamo distruggere vere e proprie navi da guerra o, anche qui, sbarazzarci dei titani lungo la strada, così come di vari ostacoli dalle dimensioni fin troppo fuori scala per essere alla portata dello Slayer. Il Drago può schivare, andare in elevazione oppure in picchiata, così come sparare dalla mitragliatrice controllata dallo Slayer e aumentare la propria velocità per inseguire le navicelle nemiche. Inoltre, dispone di una modalità assalto che lo porta ad agganciare un bersaglio vicino e far fuotare i propri movimenti attorno ad esso: questo approccio si utilizza quando si devono distruggere le navi infernali o altri obiettivi mirati.
Sebbene queste aggiunte vadano ad accrescere la varietà del gameplay e amplificare il senso di potenza e distruzione che costituisce un tratto distintivo di DOOM, proiettando lo Slayer in scenari di conflitto su scala epica, non le ho trovate sezioni particolarmente interessanti, soprattutto quelle con il drago. Epicità a parte, ed è forse il motivo che ha portato a una simile decisione, non trasmettono davvero quel senso di sete di sangue e distruzione che contraddistinguono lo Slayer per sé e, anzi, a mio avviso danno una battuta d’arresto al tutto obbligando a momenti non proprio coinvolgenti. Dell’intero pacchetto di novità, trovo entrambe queste soluzioni le più deboli.
Muscoli tecnici all’opera
Sotto il profilo tecnico, l'adozione dell'ultima versione dell'idTech Engine (idTech 8) assicura un impatto visivo di rilievo, con un elevato livello di dettaglio, effetti particellari spettacolari e un'ottimizzazione volta a mantenere un frame rate elevato nonché stabile, aspetto cruciale per l'azione frenetica tipica della serie. Il supporto per HDR e Ray Tracing contribuisce ulteriormente all'immersione nel mondo di gioco, rendendo ambienti e nemici ancora più vividi e d’impatto. Il connubio di questa eccellenza estetica e la fluidità assicurata persino nelle situazioni più concitate, dove decine di nemici e proiettili affollano lo schermo, rende DOOM: The Dark Ages un’esperienza intrinsecamente viscerale, immediata nelle reazioni e straordinariamente soddisfacente nel suo elevato tasso di adrenalina.
Parallelamente alla potenza tecnica, concludo sottolineando ancora una volta l’alto livello di personalizzazione dell’esperienza. La facoltà di modulare diversi parametri di gioco tramite slider dedicati rappresenta un passo significativo per consentire a un pubblico più ampio di adattare il gioco alle proprie esigenze e preferenze, superando potenziali barriere legate a tempi di reazione, coordinazione o abilità visive. È importante sottolineare che questa inclusività non compromette la sfida intrinseca che definisce DOOM: The Dark Ages. Piuttosto, offre strumenti per rendere la sfida affrontabile da un maggior numero di giocatori, garantendo che l'esperienza brutale e intensa possa essere goduta senza frustrazioni eccessive.
Versione Testata: PS5
Voto
Redazione

DOOM: The Dark Ages
DOOM: The Dark Ages emerge come un'audace e riuscita reinterpretazione di una formula ludica consolidata. L'immersione in un'era primordiale del conflitto, arricchita da un'estetica che fonde dark fantasy e sci-fi, getta le basi per un'esperienza visivamente e narrativamente inedita. Le innovazioni nel gameplay, in particolare l'introduzione della filosofia "stand and fight" e l'implementazione versatile dello scudo, unitamente a un arsenale che spazia tra il brutale e il tecnologicamente avanzato, rinvigoriscono il combattimento, aggiungendo strati di profondità tattica senza sacrificare la frenesia distintiva della serie. Sebbene l'integrazione di sequenze con l'Atlan e il Drago sia un neo in una altrimenti perfetta coesione del gameplay in tutte le sue parti, l'espansione degli ambienti esplorabili e un sistema di progressione più profondo contribuiscono a un'esperienza più ricca e personalizzabile. Supportato da un comparto tecnico di eccellenza, capace di garantire fluidità e impatto visivo anche nelle situazioni più caotiche, e da un lodevole impegno verso la personalizzazione della difficoltà, DOOM: The Dark Ages si presenta come un titolo in grado di soddisfare sia i veterani della serie in cerca di evoluzione sia i nuovi giocatori attratti dalla sua brutalità stilizzata. L'attesa per il suo debutto è giustificata dalla promessa mantenuta di un capitolo che non teme di innovare, pur rimanendo fedele allo spirito indomito dello Slayer.