Dead of Darkness, l'orrore fa 90 in questo ottimo survival horror vecchia scuola
Una notte troppo lunga e un incubo che affonda le sue radici nei secoli ci aspettano su Velvet Island

Non è facile trovare, nel panorama horror, videogiochi che riescono a spiccare: a distanza di ormai dieci anni continuano a susseguirsi titoli ispirati al mai nato P.T., quando non cloni di per sé, e gli stessi tripla A ricorrono ai remake – seppur apprezzabilissimi – per offrire esperienze che colpiscano nel segno. Da appassionata del genere mi trovo spesso a sfogliare il catalogo soprattutto console per restare con un pugno di mosche, senza mai trovare qualcosa che anzitutto mi catturi e, quando poi ce la fa, tenermi incollata allo schermo fino alla fine. Finché non ho scoperto Dead of Darkness.
Sviluppato da una sola persona, questo survival horror in terza persona in pixel art mi ha fatto fare le cinque del mattino tutto d'un fiato trascinandomi nella sua spirale di orrore e mistero, lasciandomi persino con il fastidio di dover interrompere la partita e dormire un po' perché dovevo sapere come sarebbe andato a finire. Un'esperienza vecchia scuola in tutto e per tutto, eccezion fatta per un po' di supporto durante l'esplorazione, che non le manda assolutamente a dire in merito ai temi trattati e alla violenza mostrata – mitigata giusto in parte dalla pixel art, date le descrizioni vivide offerte dal protagonista quando si esaminano scenari piuttosto cruenti. Una di quelle, soprattutto, che fa venire voglia di rigiocarla dopo averla finita anche solo per mettersi alla prova con difficoltà più elevate.
Dead of Darkness non perde tempo e già dal prologo ci fa capire che la situazione è destinata ad andare sempre peggio. Ambientato nel 1985 su Velvet Island, al largo delle coste inglesi, all'inizio ci limitiamo a osservarne le premesse: all'interno di una villa, un'anziana donna guarda dalla finestra qualcosa noto soltanto a lei, salvo poi affidare una lettera di estrema importanza a una domestica affinché la spedisca. Mentre quest'ultima si allontana assistiamo a una discussione tra la donna e un uomo che dal dialogo potrebbe essere suo figlio: i toni sono tesi, da parte di lui c'è una nemmeno troppo velata minaccia, poi la scena si sposta di nuovo sulla domestica, che consegna la lettera a un ragazzo dandogli le stesse indicazioni ricevute a sua volta. Subito dopo, l'uomo della scena prima chiede alla domestica di andare a prendere una bottiglia di vino per la cena e qui ci rendiamo conto di come il gioco decida fin da subito di mostrare, seppur misteriosamente, alcune delle proprie carte.
Ci spostiamo altrove per conoscere il protagonista della storia, Miles Windham, ex poliziotto e adesso investigatore privato con una discreta dipendenza dall'alcol nonché prono a uno stile di vita tutt'altro che salutare. Un po' le stereotipo del detective noir, se vogliamo: scorbutico, con un passato tragico che lo tormenta mentre fatica a tirare avanti tra una bolletta e l'altra. Svegliatosi da una nottata alcolica sul divano di casa propria, riceve una lettera con un'audiocassetta (siamo pur sempre negli anni '80!) il cui contenuto lo spinge ad andare senza indugi verso Velvet Island. Sul traghetto che lo porterà a destinazione facciamo la conoscenza di Olivia Greene, neo infermiera che è stata assunta per lavorare proprio in un centro di cura mentale sull'isola. Una volta approdati, si rendono conto entrambi che la situazione è strana ma non possono immaginare quanto fino a quella stessa notte, quando l'incubo in cui è sospesa Velvet Island diventerà reale nella forma di creature dell'orrore: tra le ombre della disperata sopravvivenza cui saranno costretti Miles e Olivia riposano un mistero e una trama che affondano le proprie radici molto indietro del tempo, addirittura secoli.
Dal punto di vista del gameplay, Dead of Darkness si struttura come un horror vecchia scuola e in particolare Resident Evil 1 – al quale si ispira anche solo per il concetto della villa. La mappa delle diverse aree si compone a mano a mano che esploriamo, oppure può essere sbloccata per intero trovando le relative piantine (che non sono mai nascoste ma nemmeno così facilmente a portata di mano); le zone completate, ossia dove non ci sono più enigmi da risolvere od oggetti da raccogliere, sono colorate in verde mentre quelle in cui restano questioni in sospeso sono evidenziate in rosso. Ogni parte dell'isola è perfettamente interconnessa, a patto di ricordarsi i percorsi, e backtracking è la parola d'ordine per eccellenza, non soltanto in termini di trama ma anche di esplorazione ai fini del completismo o per meglio armarsi e mettere da parte quante più ricorse possibili: ci sono i bauli in cui ammassare oggetti, per fortuna collegati tra loro, e saranno una componente essenziale del gioco perché il nostro inventario non si espanderà mai, obbligandoci a una gestione ben più oculata di quanto già non fosse nel citato Resident Evil.
Le due uniche armi a disposizione nel gioco, pistola e fucile a pompa, potranno essere potenziate fino a un massimo di tre volte trovando i rispettivi componenti ed è qualcosa di assolutamente raccomandato poiché anche in modalità Normale non c'è troppo margine per sprecare colpi – più danno fanno, meglio è. Disponiamo inoltre di un coltello da affilare ogni volta che la sua percentuale di resistenza scende a zero, utilizzando una pietra da affilatura consumabile, e che a sua volta può essere potenziato se siamo abbastanza bravi da trovare l'oggetto per farlo (qualcosa di molto più raro dei succitati componenti per le armi da fuoco). Con quel poco che abbiamo dunque dovremo farci strada tra diverse creature d'incubo, ciascuna in grado di ferirci in modi e con gravità differenti: esistono infatti degli stati alterati in cui il protagonista può occorrere, come avvelenamento, sanguinamento e shock in base a chi lo ferisce, ma nemmeno mancano quei nemici che se solo ci raggiungono ci uccidono in un colpo senza possibilità d'appello. Insomma, il bestiario non si fa mancare nulla e quando è il turno dei boss sa mettere in scena dei mostri di un certo livello: i combattimenti contro di loro non sono mai davvero difficili, rispetto ad esempio all'affrontare le varie creature sparse per l'isola, a patto di essere ben armati e di avere soprattutto contezza dello spazio disponibile per ricaricare le armi senza rischiare di essere colpiti.
Dead of Darkness non conosce infatti il concetto di pausa: che sia aprendo la mappa o l'inventario, il gioco continua per la sua strada rendendo più complicati gli scontri persino nella loro apparente semplicità, perché possiamo ricaricare le armi soltanto da fermi. Per fortuna possiamo interrompere l'azione, se ci rendiamo conto che abbiamo fatto male i calcoli in termini di spazi, per cui con la giusta accortezza si può sempre rimediare a un eventuale errore. Il fatto tuttavia di avere l'inventario sempre della stessa misura dall'inizio alla fine rende necessario capire come armarsi e soprattutto essere disposti a correre qualche rischio: per esempio, pur di avere quante più munizioni possibili, io sacrificavo eventuali rimedi ad alterazioni di stato e a volte persino cure, cercando di eliminare il boss più in fretta ed efficacemente possibile. La fortuna, in tutto ciò, è che non c'è limite a quante volte possiamo salvare perché non servono oggetti per farlo una volta trovata la cosiddetta "safe room", a volte dobbiamo giusto essere disposti a volte a rifare un piccolo tratto di strada per tornare dal boss in caso di sconfitta. Nonostante il gioco offra sufficienti mezzi per fare piazza pulita delle creature sparse lungo l'isola, è bene tenere a mente che con l'evolversi della trama zone liberate in precedenza potrebbero riempirsi di nuovo e con mostri diversi, in base alla progressione; questo per dire che la sicurezza di essere davvero soli o tranquilli non la si ha mai davvero se non forse nelle ultimissime battute, quando non rimane che lo scontro finale e potremmo voler fare un ultimo giro di ricognizione per collezionare ogni oggetto.
In termini di esplorazione, come ho accennato, Dead of Darkness presenta un level design dove tutto, alla fine, arriva a interconnettersi. Da parte nostra è richiesta buona memoria per ricordarsi in che punto le singole mappe comunicano tra loro ma, in generale, il lavoro svolto è molto valido. Come ogni survival horror che si rispetti, non manca di enigmi da risolvere o chiavi da possedere per aprire le diverse porte chiuse sparse un po' ovunque, e proprio qui entra in scena un'interessante meccanica: quella degli indizi. Esaminando documenti o interagendo con alcuni punti dell'ambiente, comodamente evidenziati premendo L1 sul controller, è possibile ricavare per l'appunto indizi da utilizzare al momento opportuno. Sono quasi degli oggetti a sé, hanno persino una sezione dedicata nell'inventario, che possono persino essere combinati o tra loro oppure con degli oggetti per ottenere quello che ci serve – sia esso un oggetto o l'accesso a una determinata area. Un approccio un po' diverso dal solito, che valorizza in modo particolare la ricerca di documenti e con essa la narrazione stessa, aspetto tanto importante quanto curato dall'inizio alla fine di Dead of Darkness.
Il comparto narrativo presenta infatti una trama più articolata di quanto si può credere, sebbene alcune radici siano abbastanza comuni a giochi di questo genere, ma soprattutto curata nei suoi vari aspetti tra cui quello medico / scientifico. È una storia che richiede più attenzione di quella che in genere si pensa di dedicare a esperienze di questo tipo, dove ogni documento va letto con attenzione anche quando molto lungo poiché le origini di quanto accade su Velvet Island affondano lontano e sono vissute attraverso più punti di vista. Nel complesso, sia per com'è costruita sia per la gestione dei suoi personaggi è una buonissima storia con un potenziale seguito che vorrei vedere realizzato, valorizzata da un doppiaggio altrettanto valido.
Anche dal punto di vista estetico è stato fatto un ottimo lavoro: la pixel art restituisce bene le atmosfere inquietanti della villa e di tutti gli altri luoghi che visiteremo durante quest'incubo a occhi aperti, i movimenti sono curati né manca di porre l'accento sugli aspetti più cruenti e sanguinosi rendendoli molto vividi. Il gioco non presenta alcun tipo di filmato, ogni tanto ci sono sequenze in cui i personaggi parlano tra loro e possiamo vederli in tutta la loro gloria grazie a ritratti semplici ma efficaci nel differenziare ciascuno e renderlo perfettamente distinguibile; le uniche eccezioni potrebbero essere le domestiche della villa e gli addetti alla sicurezza ma non si tratta di personaggi che vedremo spesso per cui si può perdonare una maggiore somiglianza tra le loro raffigurazioni.
Nel complesso, Dead of Darkness non ha davvero qualcosa di apertamente criticabile: l'unico difetto, se così vogliamo definirlo, è una specifica parte che per com'è strutturata comporta una serie di tentativi prima di uscirne sani e salvi – una sorta di inseguimento in una zona scarsamente illuminata da parte di un nemico in quel momento imbattibile e da cui possiamo essere uccisi in un solo colpo se ci raggiunge. Sono in generale le sequenze di gameplay che meno preferisco, a maggior ragione se non c'è modo di raccogliere le idee nel mentre guardando la mappa per capire la direzione da prendere, ciononostante si tratta di un solo momento in quasi otto ore di gioco e che dopo due o tre tentativi si supera senza grossi problemi. Per il resto è un'esperienza capace di tenere incollati dall'inizio alla fine, con un discreto livello di sfida degli enigmi e dei combattimenti già in modalità Normale e una storia ben costruita che, come scritto, si apre tranquillamente a un seguito.
Versione Testata: PC
Voto
Redazione

Dead of Darkness, l'orrore fa 90 in questo ottimo survival horror vecchia scuola
Dead of Darkness, a dispetto del nome, è una delle piccole luci nel buio di un panorama horror che ultimamente, se non ci si affida a qualche remake, non riesce a offrire esperienze significative. Forte di una pixel art curata almeno quanto la sua storia ma, soprattutto, di una struttura ludica vecchia scuola che farà la gioia degli appassionati dell'originale Resident Evil, tra inventario da gestire, porte chiuse a chiave ed enigmi sparsi qua e là, questo gioco sviluppato da una sola persona è pronto a catturarvi nel suo incubo. Se poi siete persone che non temono le sfide, esistono due ulteriori livelli di difficoltà da sbloccare, dopo Difficile, che metteranno alla prova tutte le vostre capacità di sopravvissuti.