Bad Cheese, la recensione dell'horror in salsa disneyiana
Cosa accadrebbe se Resident Evil 7 e il Topolino degli anni 20 si unissero? Molto probabilmente, verrebbe fuori Bad Cheese

Cosa succederebbe se Resident Evil 7 e il Topolino degli anni 20 si incontrassero?
Io non so se qualcuno si sia mai posto realmente questo quesito, tuttavia molto probabilmente verrebbe fuori, in maniera del tutto strampalata e inaspettata, Bad Cheese; gioco horror sviluppato da Simon Lukasik e pubblicato da FearDemic.
Bad Cheese è un horror psicologico che segue il filone di prodotti nati dalla scadenza dei diritti del cortometraggio Steamboat Willie, cosa che ha reso di dominio pubblico la prima versione di Topolino, cucendogli agilmente addosso una storia che ha ben poco a che fare con l’atmosfera felice e candida del corto Disney.
Questo perché l’altra ispirazione di Bad Cheese è anche quella che gli dà il nome; ovvero l’idea comune che mangiare del formaggio prima di andare a dormire possa alterare provocare dei sogni vividi, che nel caso di formaggio andato a male - bad cheese - possono tramutarsi in veri e propri incubi.
E potrebbe sembrare un incubo quello che il protagonista di Bad Cheese vive, ma purtroppo è la quotidianità di un bambino che maschera la tossicità che lo circonda con elementi della sua fantasia, ormai ampiamente violata, con l’intento di nascondere qualcosa di peggiore.
Tra violenze e traumi. La trama di Bad Cheese

Bad Cheese ci mette nei panni di un bambino dall’aspetto familiare che girovaga tra i corridoi di una casa poco illuminata, dove le sedie e le bottiglie di alcol volano - per davvero - per aria.
La madre è andata via per il weekend e ha lasciato una serie di messaggi in giro per aiutare il pargolo a pulire la casa in modo da non far arrabbiare il padre.
Ci troviamo così a lavare piatti, riordinare calzini e lucidare scarpe; il tutto con il timore che ogni singolo errore possa portare a delle conseguenze non proprio piacevoli.
La figura del padre, o meglio la sua rappresentazione agli occhi del bambino, diventerà poi una presenza tanto opprimente quanto inquietante, e potrebbe portarvi all’errore di pensare che i problemi di questa famiglia si limitino a lui.
Beh, non è così.
Bad Cheese vi accompagnerà per mano alla scoperta di una realtà molto più desolante di quello che sembri e capace di creare mostri laddove l’innocenza pian piano scompare.
Gameplay di Bad Cheese

Pad alla mano Bad Cheese è un gioco minimalista, che si basa su comandi semplici ma inseriti in contesti sempre diversi e ciò fa sì che il gioco non diventi mai noioso.
Nelle varie sezioni c’è un po’ di tutto; dallo sparare calzini con un mitragliatore all’affrontare un nemico con uno spara patate, senza disdegnare qualche sezione stealth a labirinti in cui dovrete aguzzare l’ingegno per venirne fuori; il tutto con l’aggiunta di diversi puzzle ambientali.
Il canovaccio è bene o male sempre lo stesso; ogni livello vi porterà in un’ambientazione diversa e vi presenterà una nuova meccanica di gameplay con la quale dovrete superare le varie sfide che si parano davanti.
In ogni livello vi sono poi una serie di collezionabili da trovare: i pupazzi del bambino da cercare e i vari snack - buste di patatine e kielbase (aka salsicce polacche) - nascosti in giro.
Horror in salsa disenyiana. Il comparto tecnico di Bad Cheese

È sicuramente nel design che Bad Cheese ha il suo maggior punto di forza. Simon Lukasik ha colto al balzo la scadenza dei diritti di Steamboat Willie e su quella estetica, già inquietante di suo, ha costruito un design grottesco e macabro.
Attraverso un abile utilizzo dello stile in bianco e nero, Bad Cheese gioca molto sul creare un senso di asfissia nel giocatore e la cosa riesce alla perfezione quando ci si trova tra i corridoi della casa e l’illuminazione scarseggia.
Il tutto è poi contornato dalle creature deformi e inquietanti uscite dalla testa dello sviluppatore e strutturate in 2D; cosa che riesce a rendere ancor di più un forte senso di distaccamento dalla realtà nella testa del personaggio: tra l’altro il gioco contiene anche un artbook digitale che racconta l’intero processo creativo del gioco e che per alcuni potrebbe valere da solo il prezzo.
Le scelte di design sono poi accompagnate da un doppiaggio decisamente di alto livello per un indie, soprattutto se si considera che i toni di voce utilizzati non sono proprio convenzionali.
Il gioco si difende bene anche sul piano del sound design degli ambienti che riesce a far sentire al giocatore il senso di sporco e disgusto che c’è nell’aria.
Per godere della migliore esperienza di gioco, consiglio di giocare Bad Cheese con degli auricolari 3D, i quali vi aiuteranno a immergervi al meglio in questo concerto di marciume, sgorghi di liquami e suoni metallici e disturbanti.
Un’esperienza horror che gioca con l’ansia del giocatore

Bad Cheese si presenta come un gioco horror, ma il suo obiettivo non è quello di impaurire, bensì creare un forte senso di inadeguatezza.
L’obiettivo riesce alla perfezione poiché il giocatore viene inserito in un contesto, quello domestico, che in teoria dovrebbe essere sinonimo di sicurezza per un bambino ma che sin da subito lascia intendere che c’è qualcosa che non va.
I temi trattati dallo sviluppatore non sono banali e sono inseriti in una maniera magistrale. La violenza fisica e psicologica, i disturbi alimentari, l’abbandono e le altre tematiche profonde di cui il gioco tratta non sono mai direttamente citate o discusse, nonostante siano onnipresenti sullo schermo.
Nell’aria c’è un costante senso di pericolo che viene reso disturbante dalle parole del personaggio principale che quasi normalizza gli atteggiamenti della sua famiglia e parla di se stesso come di un supereroe pronto a evitare qualsiasi escalation.
Ma ridurre l’esperienza di Bad Cheese alla figura del padre orco non rende giustizia al gioco. Ogni elemento ha un suo posto e un suo senso. Ci sono gli amici del padre che non si fanno problemi a prendere in giro il protagonista, il cui corpo è plasmato dai disturbi alimentari che lo portano a mangiare per ridurre lo stress, c’è la presenza/assenza del fratello, che non si sa dove sia, fino a una madre che sembra avere più colpe di quanto si possa pensare.

Al netto delle mancanze che si porta dietro una produzione indie di questo genere, come un gameplay forse troppo superficiale e una durata esigua, la maggior critica che mi sento di muovere verso Bad Cheese è quella di correre troppo nel finale.
Tale corsa si traduce in un “boss finale” che nonostante sia appagante nella lettura interiore e psicologica del protagonista, non riesce a soddisfare sul piano ludico; e anche narrativamente parlando, lascia troppe porte aperte senza mettere un punto alla storia, il che è una scelta voluta dallo sviluppatore, ma potrebbe lasciare un pizzico di amaro in bocca al giocatore.
Bad Cheese è un’esperienza che per i temi trattati e le sue scelte di design merita di essere giocato. Non reinventa la ruota, ma ha il coraggio di unire due mondi, quello dell’innocenza e della violenza domestica, che in realtà non dovrebbero mai nemmeno incrociarsi.
Se siete dei fan degli horror o state cercando un gioco che non vi prenda per tantissimo tempo, allora dovreste dare un’opportunità a Bad Cheese.
Versione Testata: PS5
Voto
Redazione

Bad Cheese, la recensione dell'horror in salsa disneyiana
Bad Cheese è un’esperienza horror che poggia le sue basi sul design di SteamBoat Willie e le creazioni grottesche venute fuori dalla mente del suo creatore.
Nonostante sia eccelso sul piano del design, non riesce a soddisfare pienamente sul piano del gameplay, che riesce a non annoiare grazie alle diverse sezioni di gioco proposte e alla durata esigua del titolo.
Bad Cheese non fa uso di sangue o gore, il vero orrore è nella realtà vissuta dal protagonista e soprattutto come questa realtà appare ai suoi occhi.


