Cursed to Golf recensione: il paradiso è un gigantesco green a 18 buche?

Cursed to Golf recensione  il paradiso è un gigantesco green a 18 buche

Se Dante Alighieri fosse vissuto ai giorni nostri, forse la Divina Commedia non sarebbe stata nemmeno scritta, o magari conterrebbe al suo interno gironi infernali e cerchi angelici molto diversi tra quelli presenti nell’opera. E così in qualche modo, tra i classici se e ma, forse si sarebbe fatto influenzare dalla realtà dei giorni nostri, creando qualche girone infernale dedicato a chi abusa dei social network, oppure un altro dedicato agli sportivi (precisamente golfisti) come quello immaginato da Chuhai Labs.

La società nipponica ha infatti creato il Purgatorio del Golf, un mondo in pixel art stranamente coloratissimo, popolato da anime di golfisti che, insieme al nostro alter ego anch’esso colto da una maledizione, dovranno trovare il modo di risalire il terribile percorso così da “uscire a riveder le stelle”.

Cursed to Golf recensione:  il paradiso è un gigantesco green a 18 buche?

TUTTI IN CAMPO CON … IL GOLFISTA MALEDETTO!

Ammetto che durante le prime ore di gioco la colonna sonora che ha accompagnato il mio percorso formativo insieme a Cursed to Golf è stata la famosa sigla dell’anime giapponese “Tutti in Campo con Lotti”, una di quelle serie animate che accompagnavano i miei pomeriggi dopo scuola mentre facevo la merenda.

Lui riusciva sempre a fare buca, o quasi, noi ci siamo limitati ad arrivare alla fine del percorso, anche con qualche difficoltà, questo perché il titolo sviluppato da Chuhai Labs è tutto fuorché accomodante, sembra infatti pensato per essere appositamente e volutamente hardcore, grazie alla presenza di moltissime mappe pensate per offrire, ad ogni run, un percorso di buche sempre diverso e sempre sfidante.

Ma come siamo finiti nel Purgatorio del Golf? Niente di più semplice. Il nostro alter ego, durante un torneo di golf, viene colpito da un fulmine che lo uccide sul colpo, permettendo alla sua anima di essere scaraventata in questo luogo di perdizione che, grazie alla classica regola del contrappasso, prevede che il giocatore debba sfidare una serie di aree senza perdere un colpo.

In caso di sconfitta, il Golfista Maledetto dovrà per forza tornare al punto di partenza, ricominciando tutto da capo, nonché affrontando un percorso del tutto nuovo, scombinato dal Custode del Green, un demone che si divertirà a renderci la vita un inferno nel cammino a diciotto buche che ci separerà dalla nostra redenzione.

Cursed to Golf recensione:  il paradiso è un gigantesco green a 18 buche?

NON UNA SIMULAZIONE MA…

Dopo aver affrontato il tutorial di Cursed to Golf, si potrebbe dire di avere tra le mani tutte le carte in regola per riuscire a superare -quasi- ogni difficoltà. Questo perché Chuhai Labs non sembra essersi concentrata sul creare un’esperienza simulativa di tutto rispetto, ma al contrario ha sfruttato i classici elementi di gameplay legati al gioco del golf: una volta in campo ci verrà infatti permesso di scegliere una delle mazze disponibili per battere, impostare la potenza del tiro e scegliere, contestualmente, la direzione che la pallina dovrà prendere per raggiungere il luogo designato.

Il terreno può offrire delle difficoltà in merito, come un terreno accidentato, la presenza di acqua o zone tombali in cui ci verrà rubata la pallina se ci finirà sopra, insomma anche qui tutti i classici elementi del gioco del golf, reinventati però per delineare un platform bidimensionale di tutto rispetto, dove la pianificazione diventa una delle armi principali per avere la meglio sulla missione.

Il problema è che il gioco fa la sua parte nel renderci la pratica complessa. In ogni scenario avremo un numero di lanci predefinito da rispettare, pena la sconfitta, e sebbene questo numero possa essere modificato grazie all’utilizzo delle carte Asso, o alla distruzione di alcuni idoli appositi dislocati nella mappa, ci si ritrova a perdere per delle sciocchezze.

È per questo che la pianificazione diventa parte integrante di Cursed to Golf, un elemento immancabile che diventa pregio e allo stesso tempo tallone d’Achille, soprattutto quando si ha la sfortuna di non trovare carte Asso pensate per darci turni extra o lanci particolari. Esiste uno shop chiamato Eterni-Tee in cui si possono comprare carte o buste, ma quest’ultimo lo si può visitare solo in alcune zone particolari, pertanto in questo caso la fortuna gioco un ruolo doppio, perché potreste non avere la possibilità di incontrarne uno per strada anche dopo due o tre missioni di fila.

Cursed to Golf recensione:  il paradiso è un gigantesco green a 18 buche?

Le carte sono comunque interessanti da utilizzare, vanno dal semplice Ritenta al più banale Lancio+1, mentre le più complesse congelano la palla durante il lancio in una zona precisa, oppure ne invertono la direzione a seconda delle nostre necessità. Tutto è in mano al giocatore, come di consueto, elemento che garantisce un buon livello di intrattenimento a seconda di chi si trova aldilà dello schermo.

Sul fronte del comparto tecnico, Cursed to Golf riesce a fare affidamento a un’ottima grafica in pixel art davvero ispirata, soprattutto nei personaggi, una grafica in grado di riprodurre uno spettacolo su schermo allineato a ciò che ci si può aspettare dai prodotti sul genere. Quello che lascia un po’ a desiderare è il comparto musicale, un po’ spoglio di tracce in grado di ravvivare o diversificare la nostra permanenza in compagnia del gioco, tant’è che sulla lunga diventa terribilmente monotono sotto questo punto di vista.

Cursed to Golf

Versione Testata: PC

7.5

Voto

Redazione

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Cursed to Golf

Cursed to Golf è in definitiva un buon prodotto in pixel art dedicato al golf, accompagnato da idee originali e se vogliamo pure divertenti, ma penalizzato da un comparto tecnico, soprattutto sonoro, che non riescono a dargli giustizia sulla lunga durata. Da menzionare il fattore rigiocabilità, da vedere come un sali/scendi di emozioni contrastanti, dettati se vogliamo dalla frustrazione del fallimento che, a tutti gli effetti, non ci offre nulla tranne che ricominciare da capo. La pratica rende perfetti? Forse, ma nel frattempo la sofferenza si sente, eccome!