Spider-Man: Black Suit & Blood: il lato oscuro di Peter Parker in un volume pazzesco - La Recensione

C'è qualcosa di tossico, vischioso e irresistibile che scorre sotto le pagine di Spider-Man: Black Suit & Blood, il volume antologico pubblicato da Panini Comics nella collana Marvel Giants. Non è solo un tributo all'iconico costume nero. È un viaggio — breve, violento e sorprendentemente umano — dentro le crepe dell’Uomo Ragno.
Il titolo è un gioco di parole affilato: “Suit” è l’abito, certo, ma anche la maschera che scegli quando il dolore diventa troppo e vuoi mascherarlo sotto un completo gessato e una cravatta molto seriosa. E il “Blood”? Quello arriva sempre. A volte è il tuo. A volte, come per Spider-Man, è quello di qualche supercriminale che ha avuto la sfortuna di incontrare un vigilante di quartiere non più tanto "amichevole".
Costruita sull’impronta visiva delle raccolte Black, White & Blood, già viste con Wolverine e Moon Knight, questa antologia cala Spider-Man in un mondo dove i colori non servono più, tranne per segnalare dove si fa davvero male: rosso, nero, bianco. È difficile non pensare al Peter Parker "posseduto" e disorientato che Sam Raimi aveva raccontato in Spider-Man 3: quel ghigno forzato, i passi pesanti, quell’oscurità che ti entra dentro e ti convince che sia meglio così. In questo albo dedicato a Spider-Man succede lo stesso, ma senza il ballo coreografato che è diventato un meme sino a oggi (impossibile non averlo mai visto!). Niente danza sul marciapiede, dunque, ma solo freddezza, allucinazioni, incubi da cui ci si sveglia con le mani sporche di sangue.
Otto racconti. Otto tagli netti. Nessuna scappatoia morale. Perché indossare il costume nero non significa solo essere più forte. Significa guardare in faccia la parte di te che non vorresti ammettere esista. E a volte… darle voce.
Tutte le storie di Black Suit & Blood: tante, molte, sfaccettature del Simbionte
Otto racconti, otto tagli chirurgici su ciò che significa essere Spider-Man quando l’oscurità smette di restare ai margini. Black Suit & Blood è un’antologia che non cerca coerenza narrativa, ma coerenza emotiva: ogni storia è un frammento che amplifica un lato del simbionte e lo riflette su Peter Parker — a volte come arma, altre volte come specchio morale.
Il primo numero si apre con “Losing Face” di J.M. DeMatteis, un racconto che mescola redenzione e fallimento: Peter salva un piccolo criminale e, per un attimo, riesce a cambiare la vita di un uomo. Ma la vita è bastarda, e la fine non è mai garantita. Poi arriva “Inside the House”, scritto da Alyssa Wong, dove la protagonista è Mary Jane. Non ci sono pugni né salvataggi, solo la percezione disturbante che qualcosa di estraneo si è infilato nella loro casa… e nel loro rapporto. Il simbionte non ha bisogno di agire: basta la sua presenza a "contaminare" l'ambiente alimentando la classica sensazione che si prova quando "qualcosa non va come dovrebbe".
Segue “Dysmorphia” di Dustin Nguyen, quasi un racconto da incubo: Peter tenta di fuggire, ma viene letteralmente riassorbito dal simbionte. Non ci sono parole, solo il senso di perdita dell’identità. La quarta storia, “Fade to Black” di J. Michael Straczynski, è una delle più potenti: un dialogo interiore tra Peter e un frammento residuo del simbionte. Una riflessione durissima su colpa, autorità e abbandono. “Ti abbiamo dato qualcuno da incolpare,” dice il simbionte. E non ha torto.
Il secondo numero vira su toni più ritmati. In “The Edge of Rage”, Spider-Man affronta Morbius e, soprattutto, la propria rabbia irrisolta. La presenza di Flash Thompson riapre ferite che Peter credeva chiuse. Poi arriva “Burgers, Fries and Blood”: Dan Jurgens firma una storia leggera e fulminante, dove un po’ di ketchup finto sangue diventa un’arma contro Bullseye. Chiude l’albo “Shock and Awe”, in cui Peter si risveglia in mezzo a un combattimento senza sapere come ci è arrivato. Il simbionte ha fatto tutto. E forse ha ucciso qualcuno.
Il terzo albo cambia registro. “Neighborhood Watch” racconta la scomparsa di una ragazza e lo scontro con Tombstone, ma il focus è tutto sull’escalation morale: quando smetti di proteggere e inizi a punire? Poi c’è “Whatever Happened to Master Blood?”, uno scherzo nero in chiave sci-fi in cui un villain dimenticato ottiene il simbionte… per poi essere cancellato dalla linea temporale da Kang. Esilarante e amaro. La terza storia, “Cornerstone”, è un’allucinazione firmata Mysterio, dove Peter viene costretto a rivivere ogni colpa del suo passato. Ogni fallimento diventa una stanza da visitare. Il dolore, un’installazione permanente.
Il quarto numero è il più introspettivo. “Past Lives” è un racconto gentile, dove Peter durante una ronda finisce per fare una rapina con la Gatta Nera. Nessuna battaglia. Solo un racconto che ci ricorda quanto Felicia Hardy sia stata una parte importante della vita dell'arrampicamuri. In “The Achilles Shield”, un ex mentore crea un’armatura per proteggersi da tutto… ma finisce per non sentire più nulla. Cade, e Peter non riesce a salvarlo. Chiude l’antologia “In the Mind of a Master”, una discesa psicotica nella mente di un ossessionato dal passato. Spider-Man lo affronta, ma si accorge che anche lui rischia di restare bloccato lì dentro, in quella memoria incancrenita.
Tre storie indelebili: le tre più belle secondo noi!
In mezzo alle otto storie che compongono Black Suit & Blood, ce ne sono alcune che non solo colpiscono per stile o ritmo narrativo, ma riescono a fare qualcosa di più raro: spingerti a guardare Peter Parker fin nel profondo. Non come supereroe, non come simbolo, ma come uomo costretto ogni giorno a scegliere chi vuole essere, anche quando tutto lo spingerebbe nella direzione opposta. In queste tre storie, più che in tutte le altre, emerge quella tensione continua tra il dolore e la responsabilità, tra la voglia di mollare e il bisogno di resistere. Ed è lì che il nostro amichevole Spider-Man di quartiere diventa più reale e concreto.
“Shock and Awe” di Greg Weisman, parte se vogliamo, in modo inquietante: Peter si sveglia nel mezzo di un combattimento violento con Shocker, ma non ricorda come ci sia arrivato. Il simbionte ha agito da solo, in quello che immaginiamo come un blackout vero e proprio. Quando tutto finisce, sembra una vittoria… ma c’è un dettaglio che Peter ignora: uno dei criminali coinvolti, Awe, è morto. E nessuno se ne prende la colpa!
Questa storia colpisce profondamente - a mio avviso - perché esalta la forza morale di Peter Parker, messa alla prova in un contesto in cui qualunque altro supereroe, o quasi, avrebbe ceduto volentieri al pragmatismo. Qui il paragone con i giganti della DC è inevitabile. Pensiamo per un momento a Joker o a Lex Luthor: quante volte Batman o Superman avrebbero potuto porre fine alla minaccia in modo “risolutivo”? Eppure non lo fanno. Non per ingenuità, ma per principio. Perché nel momento in cui accetti che uccidere sia l’unica soluzione, hai già perso. E lasciamo da parte il finale ambiguo di The Killing Joke di Moore, o le versioni più crude di Flashpoint con Thomas Wayne o il Dark Night di Frank Miller.
Peter sa che quel confine esiste, e lo rispetta anche quando tutto rema contro. Anche quando non ricorda nemmeno cosa ha fatto.
“Inside the House” di Alyssa Wong è una storia breve ma inquietante. Peter torna a casa dopo una ronda, sembra tutto normale… ma Mary Jane sente che qualcosa non va. Non c’è un colpo di scena, il simbionte non appare davvero, eppure la sua presenza è palpabile. L’atmosfera è quella di un horror silenzioso, fatto di sguardi e piccoli gesti, dove la minaccia è invisibile ma reale. Colpisce perché in poche pagine riesce a trasmettere quella stessa inquietudine che Raimi aveva messo nel suo Spider-Man: la sensazione che qualcosa stia cambiando dentro Peter, anche se lui non lo sa. È il racconto di un’intimità che si incrina, e dell’ansia sottile che nasce quando inizi a non riconoscere più chi hai accanto.
Infine, “Fade to Black” di J. Michael Straczynski è probabilmente la storia più potente e scritta con più consapevolezza. Un frammento del simbionte, rimasto dentro Peter per anni, si presenta a lui nella notte di Halloween. Non vuole più dominare. Gli propone una nuova alleanza, promettendo che stavolta sarà diverso: Peter sarà al comando. La risposta di Peter è secca, definitiva. Non serve un’altra lotta. Dice no. Perché accettare quel potere significherebbe smettere di assumersi la colpa per le proprie scelte.
Questa storia è un rovescio perfetto di quanto visto in One More Day, dove Peter si piegava pur di salvare ciò che aveva perso. Qui invece rifiuta. Perde qualcosa, forse. Ma guadagna se stesso.
Gli autori dietro Spider-Man: Black Suit & Blood e la forza visiva del bianco, nero e rosso
Uno degli elementi più affascinanti di Spider-Man: Black Suit & Blood è la varietà di autori coinvolti, un mix ben calibrato tra veterani e nuove voci del fumetto americano. Da una parte abbiamo J.M. DeMatteis, che ritorna a raccontare un Peter Parker introspettivo, fragile e dignitoso, proprio come ce lo aveva lasciato in Kraven’s Last Hunt. Dall’altra, autori come Alyssa Wong, Greg Weisman e J. Michael Straczynski portano una sensibilità diversa, più contemporanea ma altrettanto incisiva.
Alyssa Wong, già nota per il suo lavoro su Deadpool e Star Wars: Doctor Aphra, porta nei suoi racconti un senso costante di instabilità emotiva, tensione domestica e disagio sottile. La sua scrittura è fatta di pause e ombre, più interessata a cosa si cela dietro le parole che a cosa viene detto apertamente. In Inside the House, tutto questo esplode in un racconto breve ma disturbante, dove il vero nemico è il silenzio.
Greg Weisman, creatore delle serie animate Gargoyles e The Spectacular Spider-Man, ha un talento naturale per mettere in scena il conflitto morale. In Shock and Awe, lo fa con intelligenza e crudeltà, forzando Peter Parker in una situazione estrema dove la differenza tra giustizia e punizione diventa improvvisamente sfocata. Il risultato è uno dei racconti più tesi dell’intera raccolta.
J. Michael Straczynski, che ha segnato un’epoca con il suo ciclo su The Amazing Spider-Man nei primi anni 2000 (introducendo storie come One More Day e The Other), torna qui con un racconto adulto, duro, ma anche pieno di dignità. In Fade to Black, la sua scrittura non cerca scorciatoie: affronta a viso aperto il tema del rifiuto di potere, e lo fa con una maturità narrativa che gli è sempre appartenuta, anche fuori dai comics — basti pensare a serie come Babylon 5.
Anche dal punto di vista grafico l’esperimento riesce: tutti gli artisti lavorano con una palette limitata — solo bianco, nero e rosso — ma riescono comunque a trasmettere identità e tensione. Alcuni scelgono un tratto netto, pieno di ombre drammatiche; altri preferiscono spazi più aperti, composizioni sospese, più viscerali. Il rosso, usato con parsimonia, diventa sempre qualcosa di preciso: sangue, violenza, memoria, oppure un’emozione che irrompe nella pagina come un pugno allo stomaco.
Seguendo la linea editoriale delle antologie Black, White & Blood, questo albo si distingue per una coerenza visiva fortissima, nonostante i diversi stili. Non è facile creare un’identità unica con così tante mani coinvolte, ma in questo caso funziona. Ogni autore e ogni artista sembra aver compreso che non si stava solo disegnando Spider-Man in nero, ma si stava raccontando cosa vuol dire vivere con qualcosa dentro che non ti appartiene più.