Thunderbolts* è la riscossa degli eroi Marvel di seconda fascia che strizza l'occhio a The Boys: la recensione
Se Thunderbolts funziona è perché, pur con personaggi di seconda fascia, può fare affidamento su attori di primissima qualità: la recensione
Thunderbolts* segna un discreto singulto di qualità nella non entusiasmante ultima fase dell’universo Marvel e un deciso passo avanti rispetto all’ultimo Captain America: Brave New World, i termini narrativi e qualitativi. Siamo lontani dai migliori fasti della storia MCU e dalla sbornia supereroistica è proprio finita.
Agli studios Disney si sono accorti che, per mettere insieme un discreto botteghino, ora è proprio necessario fare i film per bene, che il pubblico non è più disposto a recarsi in sala a scatola chiusa, fidandosi ciecamente dell’egida Marvel. Lo sforzo di fare un film gradevole alla visione e con una trama intrigante è chiarissimo sin dall’avio del film, così pure lo scarto tra le intenzioni, l’impegno e il talento di alcuni dei nomi coinvolti.
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In avvio della pellicola per esempio seguiamo Yelena Belova lungo una lunga scena action in cui ci racconta la mancanza di scopi e obiettivi, il vuoto esistenziale che prova, mentre spara ai soliti membri della sicurezza privata che si frappongono tra lei e l’obiettivo della missione. C’è una bella sequenza ripresa dall’alto di un corridoio bianco in cui la mercenaria combatte mentre la cinepresa ne segue il movimento da sinistra verso destra. Un passaggio che chiaramente vuole essere spettacolare e che ha richiesto un’attenta pianificazione anche di coreografie, stunt e interpretazioni.
Il regista Jake Schreier però non è Sam Raimi né Gabriele Mainetti: è un onesto mestierante con un passato più vicino alla dramamedy che al grande blockbuster. Questa scarsa predisposizione al genere o, quantomeno, di esperienza nello stesso si nota nella difficoltà di dare carisma e carattere al film. Sembra invece emulare di continuo esempi del mondo Marvel e del cinema di Gondry e Jonze per la seconda trovata visiva di Thunderbolts*: quella che porta lo scalcagnato gruppo di protagonisti in una sorta di dimensione parallela popolata dai ricordi traumatici di chi vi entra.
Thunderbolts* è un film solido, con una certa ricchezza emozionale
Anche nella scrittura troviamo un segnale interessante di come si è mossa Marvel. A sceneggiare questi eroi di serie B e con molti tormenti personali, che tendono a commettere errori imperdonabili proprio nel tentativo di essere migliori come gli Avengers ci sono un habitué del MCU come Eric Pearson (che ha coscritto il nuovo Fantastici Quattro) e Joanna Calo, con una forte esperienza in ambito seriale e televisivo.
Ispirandosi alle storie delle run Marvel dedicate allo scontro tra due fazioni che si contendono i titolo di "veri Avengers", sono questi sceneggiatori a dare a Thunderbolts* solidità narrativa e ricchezza emotiva. Anche qui niente di nuovo, anzi: a differenza di Brave New World - il cui principale pregio era proprio quello di essere un film ben sintonizzato sulle frequenze contemporanee - Thunderbolts* sembra una tarda aggiunta al filone che andava davvero forte qualche anno fa sulla narrazione psicologica del trauma, del senso di colpa, sulla difficoltà di non cedere al rimorso per gli errori passati e alla seduzione per i potenziali passi falsi presenti.
Sono essenzialmente due gli elementi convincenti del film a livello di trama. Il primo è un ritorno alla dimensione umana e terrestre della narrazione, lontani dal gigantismo di certi eccessi passati. Gli “eroi” che fanno parte del team sono molto fallaci, dalle limitate capacità. Il che fa bene alla pellicola perché consente di creare drammaticità con la semplice caduta di una gru o del detriti di un palazzo che sta crollando sui passanti. Serve tutta la squadra per sollevare una maceria, per salvare una bambina, laddove ad altri eroi Marvel basterebbe un battito di ciglia.
Il secondo riguarda proprio la difficoltà di essere eroi in un mondo in cui il bianco e nero sembrano essere scomparsi, sostituiti da infinite sfumature morali di grigio. In questo Thunderbolts* il bene e il male sono talmente intrecciati tra loro che è impossibile capire come comportarsi per i suoi tormentati protagonisti, che hanno perso i loro punti di riferimenti comportamentali, guarda caso tutti ex Avengers.
Thunderbolts* cerca di essere sinistro e cinico, ma non è The Boys
È un mondo meno positivo, meno a fuoco quello raccontato qui rispetto a una certa incrollabile certezza che guidava i primi Vendicatori. In questo senso, Thunderbolts raccoglie il testimone di Brave New World (con cui dialoga nelle due scene finali nei titoli di coda), raccontando un mondo in cui le ingerenze politiche e societarie stanno tentando di trasformare l’azione dei supereroi in un business, una questione d’immagine o una pedina sullo scacchiere politico. Personaggio simbolo del film è Valentina Allegra De Fontaine, ruolo che qui Julia Louis-Dreyfus riprende e amplia, nei panni di una donna capace di cadere sempre in piedi che sogni persino di tenere in pugno il business della sicurezza dei cittadini con un supereroe privato.
Sfortunatamente per Thunderbolts* il paragone con la serie The Boys di Prime Video è davvero impietoso. Entrambi i titoli raccontano le ingerenze della politica e delle grandi aziende nel business dei supereroi, ma su questo tasto batte decisamente meglio la serie Prime. Thunderbolts* invece rimane sulla soglia, lasciandoci solo intravedere il film cinico e oscuro che avrebbe potuto essere, sfruttando fino in fondo il personaggio di Valentina, la sua capacità di cadere sempre in piedi, il suo “superpotere” di manipolare gli altri per le proprie mire politiche e personali.
Forse il passaggio più nero sono i titoli di coda, in cui improvvisamente veniamo tirati fuori dal punto di vista interno di questi eroi che soffrono e li vediamo con gli occhi della stampa, della gente comune, che ne vede le mancanze, i difetti.
Tuttavia essendo costruito con criterio - quello di realizzare un buon film in toto e non solo un film Marvel che funzioni - Thunderbolts* ha un’arma molto potente, che utilizza al meglio: i suoi protagonisti Sebastian Stan e Florence Pugh, circondati da un cast di nomi meno banali del solito e tutti molto bravi a tirar fuori un certo spessore, una certa ruvidezza dai propri personaggi. Thunderbolts* è proprio il trionfo delle seconde linee Marvel: dopo 15 anni dal suo ingresso nel MCU, sempre pazientemente al fianco di Chris Evans o delle star di prima grandezza, Stan ci fa intravedere cosa potrebbe essere un film di supereroi che punti sulle capacità e non sull’aura da star dei suoi protagonisti. Anzi, la star ora è lui, fresco di nomination Oscar. Anche senza avere così tanto da fare, dimostra una grande versatilità nel registro comico e drammatico.
Lo stesso si può dire di Florence Pugh, che diventa in un paio di scene il cuore emozionale del film, ruvido ma anche molto tenero. Anche il Bob di Lewis Pullman risulta interessante, proprio perché anche solo visivamente incarnato da un volto e da una presenza diverse dal solito, che contribuiscono a smitizzare l’aura “super” di questa squadra.
Rating: Tutti
Nazione: Stati Uniti
Voto
Redazione

Thunderbolts
Thunderbolts* è un film supereroistico che guarda al passato, finalmente: piccole grandi sfide (proteggere i passanti dalla caduta di detriti in una New York inghiottita dall’oscurità) più che affrontare orde di alieni e combattere il più classico dei nemici: il lato oscuro che ognuno ha dentro di sé. Manca una grande regia, la scrittura è la versione timida ma comunque riuscita di The Boys ma grande agli attori di grande spesso che ha disposizione, pur utilizzando le seconde linee, Thunderbolts* riesce a essere un buon film. Non un buon film Marvel: un buon film. Non è cosa da poco.