The Voice of Hind Rajab divide, ma non lascia indifferenti: la recensione del film simbolo di Venezia 2025
Non è la prima volta che Ben Hania mescola documentario e fiction, ma The Voice of Hind Rajab fa una scelta così estrema che non può davvero lasciare indifferenti.

Non si può che partire dalla voce del titolo: quella appartenuta a una bambina uccisa nella Gaza occupata a inizio 2024. Una voce già circolata sui social network durante il disperato tentativo di salvarla, pubblicata dai soccorritori nella speranza di velocizzare la burocrazia necessaria a ottenere i permessi per andarla a prelevare. Un gesto che nn è bastato a salvarla, ma è stato sufficiente a renderla un simbolo, una delle tante voci senza più corpo o anima delle vittime di un conflitto caldissimo, lontano dalla sua risoluzione. Il film parte da quella vera voce e ci costruisce attorno lo stretto necessario, in termini narrativi, per trasformarla in cinema. Non in un resoconto documentaristico, ma in una narrazione per immagini del dramma del popolo palestinese, raccontato da una regista tunisina che ha convinta la famiglia della piccola vittima ad affidarle le sua voce, la sua storia.

Basta esplicitare la scelta alla base di The Voice of Hind Rajab per spiegare cosa l’abbia reso il film più discusso dell’ultima Mostra del cinema di Venezia, cosa lo renderà uno dei film simbolo di questa annata di cinema e geopolitica molto tormentata. La regista tunisina Kaouther Ben Hania non è nuova all’idea di trasformare storie vere in materia cinematografica: lo aveva già fatto con L'uomo che vendette la sua pelle e con Quattro figlie, opere in cui documentario e invenzione formale si intrecciavano in un ibridazione affascinante. Qui però la sfida è portata alle estreme conseguenze in un’opera che non concede tregua, che trasforma l’orrore in un’esperienza diretta, quasi impossibile da sostenere.
Una storia semplice e insopportabilmente reale
Il 29 gennaio 2024 la piccola Hind Rajab, cinque anni, rimane intrappolata nell’auto della sua famiglia a Gaza,circondata dai corpi dei suoi cari uccisi e dai carri armati israeliani che hanno crivellato di colpi la vettura. Per ore la bambina resta al telefono con la Mezzaluna Rossa, oscillando tra l’illusione che i genitori stiano dormendo e la consapevolezza progressiva della loro morte, fino a percepire anche la propria violenta dipartita come imminente. “Venite presto, ho paura del buio”, implora. Parole normali, quasi banali, che ogni bambino potrebbe dire. Ed è proprio questa banalità a renderle devastanti: nessun artificio narrativo avrebbe potuto avere lo stesso effetto del sapere che la voce che sentiamo è quella di una bambina che, alla fine, in quella macchina è morta per davvero.
Se quella frase fosse stata scritta per un’attrice sarebbe sembrata calcolata, manipolatoria, pensata per strappare lacrime. Ma sentita dalla voce reale di Hind, tremante e insistente, diventa inconfutabile, pura verità. A parere di chi scrive il film supera così ogni ombra morale di sfruttamento del dolore e della tragedia, proprio perché è la realtà stessa a parlare, senza mediazioni. L’argomento trattato è così attuale, il mezzo scelto così estremo, la reazione così viscerale che rimane ampio spazio per opinioni anche diametralmente opposte, a testimonianza del fatto di quanto questo film colpisca al cuore e diventi qualcosa di serio, di profondamente personale da vivere, amandolo o odiandolo.
È altrettanto vero che l’impatto emotivo del film può sembrare eccessivo. Le lacrime degli attori, la loro disperazione nel riascoltare quella voce, i pianti in sala durante la proiezione veneziana: per alcuni tutto questo può risultare ridondante, persino manipolatorio. Eppure, di fronte alla forza del materiale, Ben Hania riesce a mantenere un equilibrio fragile ma sincero. Può sembrare che la storia le sfugga di mano, che superi le capacità del cinema stesso, ma la regista affronta la materia con delicatezza, tentando in ogni istante di onorarla e non di sfruttarla.

The Voice of Hind Rajab il nostro presente, assoluto e imperfetto
Il film abita una zona liminale, sospesa tra ricostruzione e archivio. Le registrazioni reali della voce di Hind sono accostate alla recitazione degli attori che interpretano la squadra della Mezzaluna Rossa a Ramallah, impegnata quella notte a tentare invano di salvarla. Attraverso i loro dialoghi si ricostruisce la burocrazia assurda dei soccorsi: l’ambulanza che deve ottenere autorizzazioni dal Ministero della Salute palestinese, dalla Croce Rossa, dall’esercito israeliano – lo stesso che aveva appena falciato l’auto degli Hamadeh con 350 colpi. Questa catena di permessi, visualizzata anche con schemi tracciati sul vetro trasparente che divide l’ufficio del capo dei soccorritori dagli spazi comuni, mostra in diretta la meccanica della crudeltà.
Il momento più memorabile arriva quando una mano fuori campo regge un cellulare e inquadra gli attori. Sullo schermo del telefono i loro volti sfumano in quelli dei veri operatori della Mezzaluna, ripresi durante le dirette di quella notte. È un’immagine tecnicamente rozza, ma concettualmente dirompente: il cinema che collassa nel giornalismo, la ricostruzione che diventa prova a farsi storia, la finzione che si dissolve nella realtà.
The Voice of Hind Rajab non è raffinato dal punto di vista formale: è ruvido, urgente, a tratti disordinato. Ma questa urgenza è la sua forza. Non racconta una tragedia passata, già filtrata dalla distanza storica. Racconta l’adesso, il presente che brucia, mentre un’altra Hind potrebbe in questo stesso istante implorare aiuto. Non c’è ideologia dichiarata, non c’è tesi politica da dimostrare: resta solo la voce di una bambina, e il buio che temeva.
Durata: 89'
Nazione: Tunisia
Voto
Redazione

The Voice of Hind Rajab
Dato l'enorme impatto emotivo registrato in sala, data la strabordante eco mediatica suscitata, il film di Ben Hania sembrava predestinato al Leone d’Oro, che invece è stato solo sfiorato, fermandosi al Gran Prix (ovvero il secondo premio più importante del Festival). È per questo che arriva già questa settimana in sala, presentato solo con l’audio originale sottotitolato, con la vera voce di Hind, senza sottotitoli, per precisa decisione del distributore I Wonder. Non solo per il peso insopportabile del suo soggetto, ma per la capacità di trasformarlo in un cinema intimo e universale, fragile e implacabile, The Voice of Hind Rajab è un film che è quasi troppo da sopportare, eppure impossibile da ignorare.


