Recensione Non ci resta che il crimine

Si muore dalle risate nel nuovo film di Massimiliano Bruno

In sala il 10 gennaio arriva “Non ci resta che il crimine” il nuovo film di Massimiliano Bruno. Una pellicola di genere dove fantascienza, commedia e gangster movie si fondono per una ricetta tutta italiana; uno sguardo che, probabilmente, creerà un modo diverso di fare cinema.


Per Sebastiano, Moreno e Giuseppe – rispettivamente Alessandro Gassman, Marco Giallini e Gianmarco Tognazzi – l’arte dell’arrangiarsi è uno stile di vita, tanto da inventare modi sempre più creativi per “fare i soldi con la pala”. Nel pieno centro di Roma, dotati di Ray-Ban Carrera, parrucca, jeans a zampa, giubbotti di pelle e pistole “made in china”, decidono di organizzare un “Tour Criminale” alla scoperta dei luoghi bazzicati dalla banda della Magliana. Uno scherzo del destino li catapulterà nei gloriosi giorni del Mondiale di Spagna, ritrovandosi faccia a faccia con Renatino – il capo della banda – che all’epoca gestiva le scommesse clandestine sul calcio. Questa sembra essere una ghiotta opportunità che permetterà loro di lasciarsi alle spalle la mediocrità delle loro vite, pensando di poter sfruttare le loro conoscenze sul futuro per poter fare un po’ di soldi.

I tre divertenti protagonisti sembrano fare le veci de “il buono, il brutto e il cattivo” e molte battute del film sembrano proprio sottolineare questi aspetti nella loro caratterizzazione. Sebastiano viene più volte definito lo “scemo buono”, quello che si adegua allo status quo cercando di “tirare avanti” al meglio; nei momenti in cui Giuseppe è senza parrucca viene sottolineato quanto sia brutto; mentre Moreno con la tua tempra da carogna solitaria è il cattivo dei tre. L’82 farà crescere, paradossalmente, la loro versione adulta più di quella bambina. I tre si evolvono rendendosi conto di quanto importante sia la loro amicizia che si rafforzerà durante le vicissitudini, un po’ alla “non ci resta che piangere” di Troisi e Benigni. Un percorso che spingerà Sebastiano a non accontentarsi più, mentre Giuseppe imparerà ad ascoltare la sua voce interiore e infine Moreno verrà a patti con i suoi stessi errori.


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Ma non sarebbe un gangster movie senza il cattivo e la sua donna: Renatino, interpretato da Edoardo Leo, e Sabrina, i cui panni sono svestiti da Ilenia Pastorelli. Lui perfettamente calato nella parte, fa esplodere rabbia e gelosia nei momenti più opportuni, creando un cattivo che riesce a far sorridere sia per la sua credibilità sia per paradossi che spezzeranno il ritmo delle sue azioni. Lei è una perfetta Fujiko, una femme fatale che con il corpo riesce a manipolare gli uomini a proprio piacimento, ma che cambierà comprendendo quanto potere abbia e quando non debba dipendere da un uomo per poterlo esercitare.

La storia non scende nello storico o nel bibliografico. Non vi è neanche l’ombra di una tale pretesa. I fatti citati vengono romanzati se non addirittura modificati dalla presenza stessa dei tre protagonisti. Il continuo spazio-temporale viene completamente sovvertito da ogni singola variabile introdotta dai vari attanti in campo aprendosi a numerose possibilità.

Costumi, musiche, fotografia e inquadrature sono tecnicamente studiati, con meticolosa attenzione, per poter restituire un preciso clima al pubblico. La ristrettezza del campo sulle espressioni degli attori influisce al film un sapore tipico del cinema di una volta. Attenta, inoltre, è stata l’analisi fatta su ogni singolo personaggio, sul loro modo di porsi, o sui vestiti che indossano; confezionando delle maschere sartoriali sulle loro personalità. Le citazioni e i vari richiami alla cultura pop e rock conferiscono alla pellicola la capacità di catapultare anche chi non ha vissuto gli Anni '80 in quello stesso ambiente.


Recensione Non ci resta che il crimine
5

Voto

Redazione

Recensione Non ci resta che il crimine

Non ci resta che il crimine è un film che mostra quanto sia possibile scherzare su tematiche importanti come quella della criminalità organizzata, mostrandone con leggerezza i punti di ombra. Una ricetta tutta italiana per poter fare genere, in grado di prendere le giuste distanze da prodotti simili per tematiche, ma non di certo per contenuto.