Pain Hustlers - Il business del dolore: la recensione del film di Netflix su una storia vera e la crisi degli oppioidi

La crisi degli oppioidi raccontata dall’interno: ecco trama, storia vera e recensione di Pain Hustlers - Il business del dolore, su Netflix

Pain Hustlers  Il business del dolore la recensione del film di Netflix su una storia vera e la crisi degli oppioidi

2011, Florida. La crisi degli oppiodi - con un milione di morti per overdose fra gli anni ’90 e il 2022 per prescrizioni di farmaci e conseguente dipendenza anche da sostanze illegali come l’eroina - viene citata entro i primi 5 minuti dall’inizio del film.

Pain Hustlers - Il business del dolore è un film girato in parte in stile documentaristico. Gli attori vengono mostrati nella ricostruzione degli eventi - ispirati a fatti realmente accaduti - ma anche durante alcune interviste, in bianco e nero, quando parlano rivolgendosi direttamente a noi come se le domande fossero le nostre.

Ma le domande non sono nostre: sono quelle degli agenti federali.

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La storia vera: la crisi degli oppioidi e la dipendenza “da sistema” negli Usa

Fa male parlarne proprio pochi giorni dopo la tragica scomparsa di Matthew Perry.

Perché anche lui divenne vittima della dipendenza tramite il sistema sanitario: nel 1997, dopo un serio incidente sugli sci, gli venne prescritto il Vicodin in dosi massicce. E fu l’inizio di una guerra contro la dipendenza da farmaci, e poi da alcol, che avrebbe segnato il resto della sua vita.

“Crisi degli oppioidi” è il termine con cui si fa riferimento a tutti i casi di dipendenza da farmaci causati dai medici prescrittori, corrotti dalle aziende farmaceutiche, e ai loro pazienti che finiscono per morire di overdose da farmaci. Sostanze legali, autorizzate dalla FDA, che diventano strumenti per fare soldi sia per Big Pharma che per tutti i medici compiacenti.

Pain Hustlers ci racconta la storia vera della Insys Farmaceutica, tratta dal libro di Evan Hughes. Ma nel film sia l’azienda - che diventa la Zanna Pharmaceutics - sia i nomi dei protagonisti vengono cambiati.

Le vittime, però, restano. Insieme all’avidità, i milioni di dollari guadagnati sulla pelle dei malati, fino a che a una delle persone arricchite in questo modo viene uno scrupolo di coscienza che la porta a svelare ai federali l’intero sistema.

Attraverso gli speaker program, sorta di convegni di lusso organizzati per medici prezzolati disposti ad aumentare le prescrizioni di un determinato farmaco, l’azienda farmaceutica in sostanza passa bustarelle vere e proprie in altre forme, portando il suo farmaco alla conquista del mercato e l’azienda a guadagni milionari. Il tutto sulla pelle delle uniche vittime: i malati.

Nella realtà, il fondatore e amministratore della Insys si chiama John Kapoor ed è finito in carcere nel 2019 con la sentenza che lo condanna per corruzione: sono state provate le tangenti date ai medici compiacenti per prescrivere farmaci oppioidi non necessari. Con tutte le conseguenze del caso.

Pain Hustlers - Il business del dolore: la trama del film

Pain Hustlers - Il business del dolore: la recensione del film di Netflix su una storia vera e la crisi degli oppioidi

Liza Drake (Emily Blunt, A Quiet Place) fa la spogliarellista per sbarcare il lunario. Vive in un motel insieme alla figlia adolescente, Phoebe (Chloe Coleman, Dungeons & Dragons), che soffre di epilessia. La madre di Liza, Jackie (Catherine O’Hara, Glenn Martin - Dentista da strapazzo) vende creme per il viso create personalmente, cercando anche lei di cavarsela economicamente e aiutando Liza come può.

Un giorno, allo strip club in cui lavora, Liza conosce l’affascinante Pete Brenner (il vero Captain America in persona, Chris Evans) e lo colpisce per la sua capacità di capire le persone. Pete le lascia il suo biglietto da visita: è un rappresentante farmaceutico e potrebbe avere un lavoro da offrirle.

Sveglia, intraprendente e disperata, Liza il giorno successivo lo rintraccia, si presenta sul suo posto di lavoro e riesce a farsi assumere - con un curriculum totalmente inventato - dal capo dell’azienda, il dottor Jack Neel (Andy Garcia, Gli intoccabili). Liza fatica a conquistare il suo primo cliente, il dottor Lydell (Brian D’Arcy James, Il caso Spotlight), ma da quel momento in poi la strada è in discesa.

L’intelligenza e la furbizia di Liza le fanno conquistare sempre più medici prescritto, tanto che lei e Pete iniziano ad assumere un’intera squadra - perlopiù donne bisognose di lavorare e senza qualifiche - inclusa la madre di Liza. In breve tempo arrivano i soldi, a palate. Liza si trasferisce con Phoebe in uno splendido appartamento vista mare e viene promossa. L’azienda conquista l’86% del mercato in tre mesi, viene quotata in borsa e i soldi fanno girare la testa. Tanto che Jack Neel inizia a mostrare segni d’instabilità e spinge perché il farmaco - il suo Lonafen, una forma di fentanyl in spray - venga prescritto anche al di fuori del regime oncologico, per cui era stato autorizzato dalla FDA.

Liza cerca di impedire la cosa, ma Neel e Pete sono inarrestabili. Fino a quando la gente inizia a morire e Liza, tormentata dal senso di colpa, decide di vuotare il sacco con gli agenti federali… Ma Jack Neel è furbo. E incastrarlo non sarà semplice.

La recensione di Pain Hustlers: Il dolore è dolore

Pain Hustlers - Il business del dolore: la recensione del film di Netflix su una storia vera e la crisi degli oppioidi

Pete è del mestiere, Liza è sveglia… E ambiziosa. Ma non tanto quanto i suoi colleghi. Dopo aver costruito un impero economico dal nulla, in brevissimo tempo e senza qualifiche, Liza ha imparato abbastanza da sapere che l’avidità di Neel la metterà nei guai.

I suoi scrupoli di coscienza sono l’unico aspetto umano di tutta questa storia: madre di un’adolescenta con un importante problema di salute, riesce a mettersi - alla fine - nei panni dei famigliari delle persone che il suo farmaco, il Lonafen, ha portato sull’orlo del baratro. E anche oltre.

Finché si tratta di corrompere qualche medico non proprio brillante, lisciandogli il pelo per avere le prescrizioni, è un conto. Ma i morti sulla coscienza sono tutt’altra cosa.

Non voglio rinunciare a me stessa, non voglio rinunciare ai miei sogni, voglio che la mia vita conti qualcosa.

Liza se lo ripete continuamente, mentre cerca di dormire in un posto squallido e inadeguato a crescere una figlia. Ma quando ha conquistato tutto ciò che desiderava, incluso il denaro necessario per far operare Phoebe, si rende conto che le cose davvero importanti nella vita sono altre.

Sembra la solita morale, ma l’interpretazione di Emily Blunt è davvero convincente, toccante e verosimile.

Sapendo, poi, che tutto quello a cui stiamo assistendo narra fatti realmente accaduti, il cinismo inattaccabile di Neel e di Pete Brenner - l’altrettanto bravo Chris Evans - diventa ancora più difficile da accettare. Non solo per Liza.

Veniamo messi di fronte a un sistema di malaffare che gioca con la vita delle persone, scatenando i loro demoni interiori per fare soldi.

La terapia del dolore è uno dei più grandi business degli Stati Uniti. Le aziende farmaceutiche hanno portato alla dipendenza centinaia di migliaia di persone negli Stati Uniti, con il fenomeno noto come “crisi degli oppioidi” e Pain Hustlers ha il grande merito di raccontarcelo senza filtri, ma anche senza false ipocrisie. Il business è business. Il dolore è dolore. E la reazione di Liza è quella di una mosca bianca in un mondo intero di gente senza scrupoli.

Pain Hustlers - Il business del dolore: la recensione del film di Netflix su una storia vera e la crisi degli oppioidi

Mors tua vita mea, letteralmente. I soldi danno alla testa. Più soldi fai, più ne vuoi. Ammesso che tu sia avido. E la gente, si sa, è avida. Tanto che nessuno si preoccupa delle uniche vere vittime, i pazienti, persone che già hanno dei problemi gravi a cui la dipendenza da Lonafen aggiunge un carico insopportabile.

Il film ci mostra anche le parole dell’attore che interpreta il responsabile dello studio sul farmaco. Lo studio clinico era stato condotto su 200 pazienti, nel corso di 2 anni. Non creava dipendenza, o lo faceva in percentuali ridicole, semplicemente perché i medici erano responsabili e non aumentavano i dosaggi per guadagnare illegalmente le tangenti. Il tasso di overdose era quasi inesistente perché i pazienti erano tutti al quarto stadio del cancro e morivano.

Quando arrivano le sentenze, in Pain Hustlers, subito dopo il regista David Yates (già regista di 4 dei 7 film di Harry Potter) decide di mostrarci le immagini di repertorio con il vero telegiornale che annuncia la sentenza per la Insys Farmaceutica: senza mai citare i nomi dell’azienda o delle persone reali, Pain Hustlers ci ripete che abbiamo visto una storia vera. Che il drammatico spettacolo a cui abbiamo assistito è costato molte vite, mentre medici e rappresentanti farmaceutici facevano festa.

Liza sconta la sua pena e si reinventa. Con una nuova dignità che non la farà diventare ricca, ma probabilmente le permetterà di dormire sonni tranquilli.

Pain Hustlers - Il business del dolore

Rating: TBA

Durata: 134'

Nazione: USA

7

Voto

Redazione

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Pain Hustlers - Il business del dolore

Emily Blunt firma anche come produttrice esecutiva il film di cui è protagonista. La storia vera della Insys Farmaceutica ci viene raccontata da Pain Hustlers - Il business del dolore tramite la fittizia Zanna Pharmaceuticals, ma i fatti non cambiano. Il film di Netflix rappresenta una riflessione oggettiva sulla crisi degli oppioidi negli Stati Uniti, spiegandola senza mezze misure ma anche senza falsa retorica. I fatti vengono semplicemente esposti, nel bene e nel male. Fino allo scrupolo di coscienza della protagonista, si fa la (gran) bella vita sulla pelle dei pazienti. E non sono solo i dipendenti di Big Pharma a farla: sono anche i medici. Coloro che hanno giurato come prima cosa “non nuocere” tramite il giuramento di Ippocrate. Gli uomini e le donne pronti a vendersi l’anima per una vacanza pagata o per una bustarella extra ogni mese.

Pain Hustlers mette in luce le brutture di un mondo senza scrupoli, in cui solo il caso vuole che una donna si ponga il problema delle vite - un milione, stando alla cronaca - distrutte dalla prescrizione di farmaci oppioidi non necessari.

Chris Evans e Andy Garcia sono perfetti nel ruolo di uomini avidi e senza morale, che nemmeno si pongono il problema di pensare alle vite altrui: basta la loro, bella e agiata più che mai. Non sono dipinti come mostri. Pain Hustlers, dicevo, non gioca sulla retorica. Espone i fatti e le persone. Così come sono. E questo è un grande pregio, nel trattare un argomento delicato come questo. Perché la realtà, si sa, parla da sola. Soprattutto quando a restituircela è un cast perfetto diretto da un attento osservatore del mondo.