Mood Indigo - La Schiuma dei Giorni

Colin (Romain Duris) e Chloe (Audrey Tatou) sono due ragazzi che vivono una vita splendida nella cornice sempre incantevole di una Parigi estemporanea, trasmettendo quella genuinità che sembra accomunare due anime danzanti, unite per la realizzazione di un sogno che parla d'amore.

E' l'incontro ad una “festa da ballo combinata” a far nascere la scintilla tra i due, aiutati dalle note indimenticabili del maestro Duke Ellington e dall'originale “biglemoi”, che fa danzare i protagonisti al ritmo del suono ipnotico e particolare della “Chloe” omonima del performante jazzista e compositore. Uno dei romanzi più famosi di Boris Vian, L'Ecumé des Jours, prende vita grazie all'estro di un regista contemporaneo, ovvero Michel Gondry.

Basta pensare al cineasta per ricordare produzioni abbastanza famose e riuscite, come "Eternal Sunshine of the Spotless Mind", il “Se mi lasci ti cancello” nostrano del 2004, oppure il meno conosciuto ma non per questo meno coinvolgente, “Be Kind Rewind” del 2008, lavori che gli hanno fatto guadagnare un discreto prestigio, soprattutto dopo l'Oscar vinto proprio grazie alla prima pellicola citata nel 2005 per migliore sceneggiatura originale. E' forse con “The Green Hornet” e “The We and The I“ che perde quello stampo creativo che lo distingue, realizzando delle pellicole decisamente lontane dai suoi precedenti lavori visionari, con tematiche interessanti certo, ma non propriamente inseribili nel suo stile.

Mood Indigo - La Schiuma dei Giorni


Probabilmente é proprio con “Mood Indigo - La Schiuma dei Giorni” che lo stesso Gondry ripropone al suo massimo, quella verve creativa e caratterista che avevamo potuto apprezzare in “Eternal Sunshine”, ma che abbiamo soprattutto gustato nelle varie collaborazioni con i Bj rk (Crystallize, Human Behaviour ad esempio) in cui riesce a catalizzare innumerevoli stimoli visivi letteralmente in una dimensione più elevata, incastrando le scene in una lotta tra “ciò che é” e “ciò che sembra”. Tale metodologia viene incastonata alla base della pellicola visionata, dato che lo spettatore assiste al susseguirsi degli eventi e ne assimila i messaggi con una qualità visivamente più fantasiosa e creativa se vogliamo, ma concettualmente secca, diretta, ineluttabile ed a volte terribilmente triste. Con questo, sia chiaro, non si cerca di banalizzare il buon occhio di Gondry, ma anzi si tende a lodare la sua enorme fantasia ed interpretazione della realtà nell'accomunare idee ed immagini.

I fanatici dei libri saranno contenti di sapere che la pellicola segue abbastanza fedelmente le parole del romanzo, ricreandocon piacevole fantasia un incredibile rappresentazione pittoresca, dove sono gli stati d'animo a diventare i reali protagonisti, coadiuvati da un incredibile caleidoscopio di colori e situazioni strampalate sempre pronte a strapparci un sorriso (ringraziando doverosamente la sceneggiatura di Luc Bossi). Il film inizia da un concetto di totalità, caratterizzata dalla spensieratezza di vivere, per poi cadere fatalmente, scena dopo scena, nel baratro di una totale perdizione che (come nel romanzo) non lascia alcun tipo di scampo ai protagonisti.

Colin é infatti il ritratto di una felicità genuina, quasi “bambinesca” direi, data la sua totale noncuranza dei problemi della vita reale a causa del suo patrimonio economico che lo rende ricco ed avvezzo ad ogni genere di agio. La sua casa ne é la rappresentazione più lampante, visto che ogni stanza straripa di fantasticherie, catapultandoci quasi quasi nel gemello meno infantile ed idealizzato del paese delle meraviglie, con accanto un cappellaio che proprio matto non é, ma che però assume il ruolo di mentore, cuoco, avvocato e maestro di vita; il poliedrico Nicolas (Omar Sy) irrompe nella scena senza fatica presentando pietanze colorate ed incredibili, uno chef 5 stelle dentro al frigo ed un modo di sparecchiare decisamente unico.In questo contesto già parecchio strampalato compare un altro personaggio, l'intellettuale Chick (Gad Elmaleh), il migliore amico di Colin, che con la sua fissazione per lo scrittore filosofo Jean-Sol Partre, ingabbia il protagonista con ragionamenti citati alla mano dello stesso autore e ne condanna, se vogliamo, il futuro lanciando l'unica moneta che può contrapporsi con tanta forza alla solitudine fittizia (ma non troppo) del protagonista, ovvero l'Amore.

Mood Indigo - La Schiuma dei Giorni


Il bello dell'Ecumé des Jours risiede forse nella sua stessa ineluttabile verità. E' una storia fondata nel sentimento fuso al fatalismo del suo racconto che non ti regala nulla, che non cerca in alcun modo di consolarti o di incitarti perché non é questa la natura del libro di Vian, visto che il messaggio alla base di una filosofia quasi ispiratrice di Sartre, si traduce nel suo “ens causa sui”, ovvero nella sua ossessionata visione di completamento dell'uomo che vede però una disperata ricerca della materialità, senza trovare alcuna effettiva corrispondenza obiettiva, tanto da trasformare l'ossessione (per tale completamento) in un'arma a doppio taglio, fatta ad hoc per rovinare irrimediabilmente piuttosto che creare qualcosa di puro e bello.

Sono proprio gli ottimi lavori di scenografia (Stéphane Rosenbaum) e fotografia (Christophe Beaucarne) ad aiutare lo spettatore nell'assimilare, quasi per osmosi, lo stato d'animo che aleggia nella pellicola in tutti i suoi punti, rappresentando set che fungono da cartina tornasole per stimolare il nostro inconscio, inizialmente usando molti colori accesi e sgargianti per poi passare a scenari tetri, claustrofobici, se vogliamo quasi sempre più denutriti di quella felicità iniziale che tutto colorava, come gli stessi fiori che sono costretti ad appassire per “guarire” il male di Chloe. Le scene che vedono i due protagonisti a bordo di un mezzo improbabile a forma di nuvola sorvolare l'incantevole cielo di Parigi sono suggestive, ed il passaggio di scene tanto romantiche a scene invece più noir, come la casa di Colin che si restringe mano a mano che il tempo passa, facendo addirittura invecchiare vistosamente le persone al suo interno, come se consumate loro stesse da un male che non può essere sconfitto, ecco questi sono gli espedienti che trasportano l'immaginazione del regista allo spettatore, quasi senza filtro. Tanto perché Gondry non lascia nulla al caso, la stessa colonna sonora funge da catalizzatore per questo scambio di sentimenti, sottolineando il buon lavoro di Etienne Charry nell'utilizzare musiche azzeccate e ricche di pathos, con Ellington che se la fa da padrone con le sue musiche magistrali di un jazz di inizio ‘900.

E' evidente che una pellicola simile non può rappresentare un passaggio tranquillo al cinema per una serata in compagnia, ma bensì un film dalle forti connotazioni artistiche, che però può prendere in contropiede se non abituati a questo genere di pellicole. Inizialmente il film sembra presentarsi facile, con uno stile da commedia molto semplice e pratico, ma con il passare del tempo e l'affacciarsi di nuove situazioni il ritmo incentrato da Gondry fa una frenata brusca, cominciando a diventare lento e pesante. Persino la cadenza delle battute degli attori sembra rallentare di pari-passo con l'incedere degli eventi, avanzando inoltre situazioni quasi grottesche come la scena sulla pista di pattinaggio, che non si cita nella sua completezza per ovvie ragioni di spoiler.

Concludendo il tutto, Gondry sembra essere “ritornato” alle sue origini, dimostrando che il suo occhio e la sua fantasia non sono state accantonate nel magazzino dei ricordi ma bensì messe da parte per creare nuovamente qualcosa di buono e bello

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