Lo strano caso di Io sono ancora qui, film brasiliano agli Oscar con 3 candidature

Io sono ancora qui è un piccolo film brasiliano che ha conquistato 3 nomination agli Oscar, tra cui miglior film, trainato da una figlia d’arte leggendaria in patria.

Lo strano caso di Io sono ancora qui film brasiliano agli Oscar con 3 candidature

Alle volte abbiamo voglia di edificanti fiabe a lieto fine: Io sono qui è esattamente questo. Non per la trama in sé, dolce amarissima e ispirata a una drammatica storia vera, ma per il contorno. Il film di Walter Salles - non esattamente uno sconosciuto, dato che girò I diari della motocicletta - ha messo a segno forse la nomination più sorprendente di questa tornata di Oscar. Non solo infatti ha centrato una candidatura piuttosto scontata in Miglior film internazionale, non solo dopo la vittoria della Coppa Volpi alla Mostra del cinema di Venezia la sua protagonista Fernanda Torres ha conquistato una prestigiosa nomination agli Oscar come miglior attrice protagonista. Io sono ancora qui è persino riuscito a infilarsi tra i dieci film candidati a miglior pellicola dell’anno.

Lo strano caso di Io sono ancora qui, film brasiliano agli Oscar con 3 candidature

Certo il blocco di votanti latinoamericani avrà fatto da traino. D’altronde al di fuori del Messico con il suo “trio di buoni amici” (Del Toro, Cuaron, Inarritu) sono rarissimi i riconoscimenti per una regione geografica dalla cinematografia vivacissima (vedi l’Argentina e il Cile). Fernanda Torres poi in patria è praticamente una leggenda, per giunta figlia d’arte, con una lunghissima carriera alle spalle e una persona pubblica arguta, affascinante. Se i social avessero un peso agli Oscar, la statuetta sarebbe già nelle sue mani.

Il successo di Io sono ancora qui però non si può ridurre al notevole tifo patriottico che genera. È invece un esempio perfetto del tipo di pellicola che finisce per diventare simbolo di qualcosa, il riferimento più noto. Senza esserne né il miglior esempio, né il più memorabile, quanto piuttosto il più accessibile.

Fernanda Torres è il cuore pudico e drammatico di Io sono qui

La medietà è il fulcro e il pregio di del film di Salles, che a partire dal romanzo di uno dei testimoni di questa storia racconta la drammatica vicenda della famiglia Paiva. Siamo nel Brasile degli anni ‘70, che come un po’ le nazioni vicine negli decenni precedenti o successivi, presto o tardi fa i conti con una dittatura di stampo militare repressiva e violenta. Io sono qui è un dramma borghese perché la famiglia al centro della storia è benestante e culturalmente in vista: il papà Rubens, ex politico di spicco, fa l’architetto e ha contatti in tutto il mondo culturale. Vive con la bella moglie Eunice e i cinque figli in una villetta graziosa che dà sulla spiaggia di Rio. I bambini fanno la spola tra le onde del mare e le camerette, Eunice è una perfetta padrona di casa che si diverte con gli amici dando cene e preparando il suo celebre soufflé.

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La coppia ha un passato di sinistra e una mentalità progressista, aperta. Nella loro cerchia culturale i timori per il giro di vite del governo spingono molti a fuggire, ma i Paiva pensano di essere al sicuro, dato il loro status e la loro visibilità. Invece Rubens viene portato via dalla polizia militare, la casa sorvegliata per settimane da strani figuri loschi. Anche Eunice e una delle figlie conoscono gli interrogatori, i cappucci, le celle sporche e le minacce, ma senza veri pericoli, appunto perché giustificarne la sparizione sarebbe complicato.

Rubens però non torna a casa e, a mezz’ora dall’inizio del film, si apre la vera storia: quella di una moglie e madre costretta a reinventare sé stessa alla luce della sparizione del marito, finito tra i migliaia di desaparecidos brasiliani. Io sono qui racconta la storia di una famiglia unita prima della scomparsa e che trova un nuovo equilibrio per ricercare dalla verità, sorretta da una matriarca che si crea quasi da zero una nuova vita.

A centro c’è ovviamente la performance di grande intensità di Fernanda Torres, che anche nei passaggi più crudi e drammatici infonde come una sorta di pudica dignità al suo personaggio, che rende la sua performance memorabile. È circondata da interpreti capaci, che danno vita e vivacità a un film il cui bene più prezioso è l’energia familiare che ci vive dentro. I’m still here è un raccolto plurigenerazionale di “come si cambia, per non morire”, rimanendo fedeli ai propri congiunti e ai propri ideali.

Salles approccia la storia nel più classico dei modi: in ordine cronologico, senza grandi guizzi di regia, ma con grande costanza e solidità. Una di quelle visioni che si sarebbe tentati di definire “utile” o “necessaria”, non solo per l'importanza della storia vera che porta con sé ma per la quieta forza di un personaggio femminile forgiato da una lotta pluridecennale contro il governo, il silenzio, l’ignoto.

Lo strano caso di Io sono ancora qui, film brasiliano agli Oscar con 3 candidature

Io sono qui non è il miglior film recente sulle dittature sudamericane e forse per questo è finito agli Oscar

Dove sta il limite, il problema? Che il cinema sudamericano negli ultimi 20 anni ha raccontato con cadenza annuale dittature vicine e simili per ferocia e metodi, storie vere altrettanto importanti, drammatiche, vibranti. Costruendoci però sopra film meno convenzionali, meno prevedibili nella loro visione, ancora più forti, ancora più spiazzanti. Pablo Larraín per esempio sulla narrazione della dittatura di Pinochet ha costruito un’intera carriera, con vette altissime di cinema (basti pensare che il più accessibile di questi film, No - i giorni dell’arcobaleno, è infinitamente più sorprendente e ricercato di questo). C’è poi il cinema argentino - con Ortega, Trapero, giusto per citare registi che come Salles sono passati per Venezia in anni recenti - che ha raccontato le stesse storie cupe dalla parte di chi la violenza l’ha perpertrata, sostenuto o tollerato dal regime.

Il sospetto dunque, anzi la certezza quasi matematica, è che Io sono qui sia il film più mediale, più convenzionale, più rassicurante nel raccontare questo tipo di “anni di piombo” latini, con per giunta la famiglia perfetta, borghese e adorabile, con tanto di cagnolino e domestica. Un punto di partenza con cui si solidarizza ed empatizza di più di un’attivista, un giovane ribelle e altri personaggi più scomodi.

Io sono ancora qui

Durata: 137'

Nazione: Brasile

7

Voto

Redazione

TISCALItestatapng

Io sono ancora qui

Fernanda Torres regala una performance che rende chiaro perché sia diventata una leggenda vivente in patria. Io sono qui si affida a lei e al suo dolore composto e toccante per raccontare una storia familiare propositiva e commovente, anche se ricca di dolore. Il film intorno però è poco più di un racconto convenzionale e prevedibile, per quanto solido e curato nella messa in scena.

È il film che piace agli spettatori abitudinari in sala, perfetto per le scolaresche, ma è lontano dall’essere un punto di riferimento (cinematografico almeno) per il racconto dei periodi dittatoriali del secondo Novecento in Sud America. Essendo tutto sommato così…inoffensivo? è stato prevedibilmente notato e apprezzato dall’Academy, che ama struggersi per le drammatiche storie vere, ma non venire messa in difficoltà con i messaggi potenziali che si portano dietro.

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