Il nibbio regala all’Italia la sua prima, vera spy story cinematografica di livello
Raccontare una storia vera trasformandola in un’austera, tesa spy story: Il nibbio regala al cinema italiano un film come se ne sono visti raramente: la recensione.

Il nibbio è un film davvero pregevole, specialmente alle nostre latitudini, dove purtroppo va quasi dato per scontato l’assunto che per raccontare una storia vera di cronaca bisogna necessariamente passare per assoluti e toni celebrativi: l’eroe o il mostro, insomma, senza nessuna sfumatura in mezzo. Gli sceneggiatori Sandro Petraglia e Lorenzo Bagnatori fortunatamente scelgono una strada differente, tanto scevra di sottolineature ed esaltazioni che chi non conosce o non ricorda la storia di Nicola Calipari, assisterà a un teso, efficace thriller nel mondo dello spionaggio italiano.
È una scelta di campo forte quella fatta dal film di Alessandro Tonda, che affianca alla volontà di raccontare un uomo dello stato alla necessità di guardare con onestà e talvolta distacco il mondo in cui si muove. Tanto che il film. ambientato nell’Iraq del 2003, si apre con una definizione che già di per sé è una scelta di campo: la nazione è infatti “occupata dalle forze della coalizione di cui fa parte anche l’Italia”. Non ci sono eroi o salvatori né Il nibbio, solo professionisti dei Servizi (SISMI, SISDE, DIGOS e gli alti papaveri in comunicazione continua con Palazzo Chigi) che monitorano la situazione.
Il rapimento Sgrena visto dal mondo dei Servizi
In Iraq infatti la realtà quotidiana è fluida e pericolosa: ci sono le truppe internazionali, la popolazione locale e un numero molto alto di osservatori e faccendieri. Tra questi si annovera anche Giuliana Sgrena (Sonia Bergamasco), una corrispondente di guerra per una testata storicamente legata alla sinistra italiana che a un certo punto viene tradita? presa di mira? e rapita. Così l’alto dirigente dei servizi Nicola Calipari (Claudio Santamaria) deve abbandonare in tutta fretta la prospettiva di una vacanza al mare e rientrare nella capitale, per poi volare in Iraq e dare il via alla complessa trattativa per la liberazione dell’ostaggio.
Il nibbio si basa sugli esiti di ben due inchieste processuali in merito alla conclusione di questo rapimento: due versioni molto contrastanti tra loro, ricostruite in anni e anni d’inchieste e indagini. Il film però al suo arrivo dedica, appunto, la parte finale. La maggior parte del contenuto minutaggio è invece spesa a raccontare, con sobria efficienza, il mondo dei Servizi italiani. Calipari, senza grandi fanfare, ci viene descritto come un uomo dell’apparato, sì, ma con una sua visione e dei suoi metodi; rigorosi, lontani da colpi di mano. È un racconto del mondo dell’Intelligence più vicino a Le Carré e Herron che a Fleming, fatto di trattative estenuanti, informatori, colloqui telefonici e sul campo, appuntamenti che possono rivelarsi trappole e molteplici interessi in gioco tutti da valutare.
Quello che ne emerge è un ritratto politico di un momento e un luogo unici nella storia recente, in cui si cristallizzano e manifestano visioni del mondo differenti. Lipari per esempio combatte su due fronti. Da una parte c’è la necessità tutta italiana di salvare l’ostaggio anche pagando un riscatto, laddove altre nazioni come gli Stati Uniti hanno come linea guida quella di non cedere mai alle richieste dei rapitori, anche laddove comportasse la morte del rapito. Tra l’altro l’ostaggio italiano per cui il governo e i servizi si spendono è una voce ostile alla maggioranza in Parlamento e molto criticarispetto a quanto sta succedendo nei territori occupati. Una vittima che la scrittura accosta con efficacia a chi sta tentando di salvarla: Sgrena e Lipari sono personalità spigolose, complesse, fredde, che hanno accettato di sacrificare tantissimo a livello personale in nome del proprio mestiere, che li vede solitamente contrapporsi.
Il nibbio non è il racconto di un eroe
Dall’altra c’è un fronte interno che sembra apprezzare la linea statunitense, o comunque desiderare una risoluzione veloce e pirotecnica della vicenda. Il film, che si avvale della consulenza e dalla collaborazione degli stessi Servizi, non glissa nemmeno sul “fuoco amico”, raccontando un mondo di alti burocratici attraversato da correnti e connivenze esattamente come quello politico (con tanto di cameo molto efficace dell’allora premier Silvio Berlusconi).
Quando arriviamo al finale e al punto dell’intera questione - cosa è andato storto, perché e per colpa di chi - Il nibbio ci ha già fornito tutti gli elementi d’insieme per capire cosa sta succedendo, per farci un’idea chiara di come la sua tragedia sia il risultato di errori ma anche di un preciso clima politico-militare, delle correnti che sul campo e nei palazzi attraversano i membri della coalizione. S’intuisce dunque come la priorità del film sia restituire uno spaccato politico e dare allo spettatore gli elementi per giudicarlo, non tanto quella di esaltare un eroe, come si è fatto all’indomani di questa vicenda.
Il tributo che il film fa al suo protagonista sembra rispecchiarne il carattere: efficace, diretto, fatto di non detti. Non c’è bisogno che il Calipari interpretato con quieta efficacia da Claudio Santamaria sia eroico, perché nel racconto dell’occupazione è già eroico in sé rimanere fedeli a certi principi di correttezza e sobrietà, non cedere alle lusinghe della politica e alle sirene di facili risoluzioni. Il momento migliore del film è quando riesce a suggerire come il problema di questo rapimento (e di molti altri) stia a monte, per come si sta tentando di manovrare la popolazione irachena e i suoi vertici affinché svolgano un compito preciso sullo scacchiere mediorientale, senza tenere minimamente conto della loro storia, delle loro sofferenze, dei loro desideri.
Un film come Il nibbio si giudica non tanto per come raccolta gli alleati e il fuoco amico, ma per quanta attenzione dà al supposto nemico: il ritratto del fronte iracheno è sfaccettato, ricco di sfumature e di una certa dose di comprensione e certifica più di ogni altro aspetto quanto Il nibbio sia un film rigoroso, coerente, solido.
Durata: 108'
Nazione: Italia
Voto
Redazione

Il nibbio
Fa un po' impressione vedere un film di spionaggio in cui non si va a riferire alla Casa Bianca ma a Palazzo Chigi, in cui quando messi alle strette non s'interpella l’FBI ma la DIGOS. Il Nibbio è un rarissimo esempio di film di spionaggio all’italiana e per giunta di grande fattura: sobrio, teso, cinico quando necessario, popolato su tutti i fronti da figure che hanno sacrificato molto della loro vita personale a quella professionale, raccontate senza eroismi e fanfare.
Davvero una bella sorpresa e il modo migliore per raccontare una storia tutta italiana, che ci ricorda che questa definizione può rimandare a molte realtà differenti, talvolta poco raccontate dal nostro cinema.