Gravity

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Ci sono pellicole che durante la loro gestazione diventano vere e proprie chimere per i registi che seguono il progetto. Nel caso di Alfonso Cuaron, Gravity, il suo ultimo progetto che dal 3 Ottobre invaderà le sale dei cinema italiani, ha significato quattro anni di sacrificio. In questo lunghissimo lasso temporale il progetto ha rischiato più volte l'interruzione a causa di diversi problemi che il regista messicano e la sua troupe hanno dovuto superare. Quale sarà stato il risultato finale? scopriamolo insieme.

Uno spazio che condanna l'umanità

Di Gravity ne abbiamo parlato in lungo ed in largo sulle pagine di Gamesurf. Il film ci porterà a vivere l'esperienza di due astronauti che si troveranno a vivere una situazione estrema e apparentemente disperata.

Faremo quindi la conoscenza della Dottoressa Ryan Stone - una bravissima Sandra Bullock - che alla sua prima esperienza in una missione spaziale, verrà affidata al veterano di turno, Matt Kovalsky interpretato a sua volta ma un convincente George Cloney. Come il miglior cinema di genere vuole, una semplice missione di routine si trasforma in una possibile tragedia quando una calamità inaspettata porta i due astronauti a rimane orfani di qualsiasi mezzo di trasporto, fluttuando nello spazio profondo, con una ristretta riserva di ossigeno.

Gravity


Un incipit interessante e che nel corso dei suoi 90 minuti viene sviscerato dal regista in maniera quasi inattesa. Si, perché la sceneggiatura a più mani scritta da Cuar n stesso, insieme a suo figlio Jon s e Rodrigo Garcia (Albert Nobbs) sembra una naturale evoluzione di quanto già aveva fatto vedere nel suo precedente lavoro I Figli degli Uomini.

Come ci tiene a sottolineare il regista all'inizio del film nello spazio esiste unicamente il silenzio e nessuno può sentire (citazione neanche troppo velata all' Alien di Cameron) e così lo spazio profondo diventa una sorta di luogo in cui i due astronauti oltre alla paura della morte, si trovano a doversi confrontare con i loro conflitti interiori, specchio di problemi ben più grandi che il regista non hai mai mancato di denunciare all'interno delle sue pellicole, facendo riferimento sempre a I Figli degli Uomini per inquadrare lo stile.

Così lo spettatore per tutta la durata della pellicola si trova a vivere gradualmente due tipi di esperienze. Da una parte quella più marcatamente da blockbuster hollywodiano, con scene altamente spettacolari condite da piani sequenza magistrali che più volte Cuar n ha dimostrato di saper padroneggiare, dall'altro lato invece un graduale inserimento di dialettiche e situazioni che riportano i binari su un piano più umanistico, a tratti quasi di condanna sociale.

Quello che piace di Gravity però, é la perfetta amalgama che il regista ha trovato nel raccontare l'evoluzione di due personaggi che, nonostante siano costantemente all'interno di tute quasi asettiche, attraverso di esse, riescono a trasmettere qualcosa allo spettatore. Si potrebbe obiettare che molte volte, sopratutto nei dialoghi si scade nella demagogia più spicciola, ma in un film che ambisce sopratutto ad intrattenere, grazie ad un uso della Computer Grafica massiccio e quanto mai funzionale, il Cuar n più introspettivo visto ad esempio nel suo Paradiso Profondo, lascia spazio a quello esplosivo e altamente spettacolare che abbiamo potuto ammirare nelle scene d'azione di Harry Potter: Il Prigioniero di Azkaban o ne I Figli Degli Uomini.

> The Shadow and the Flame - Launch trailer


A conti fatti Alfonso Cua ron ha avuto la bravura di cucire su un film che utilizza il contesto spaziale in maniera abbastanza atipica, una storia che al di là della condizione estrema può essere cucita sulla pelle di qualsiasi persona. Il classico esempio dell'assoluta volontà di sopravvivenza che nelle situazioni più estreme - la più estrema di tutte quella scelta dal regista - spinge l'essere umano ha confrontarsi con se stesse per cercare di sopravvivere superando paure e problemi, altrimenti apparentemente invalicabili. Cosi troviamo Cloney e la Bullock come "strumenti" scelti dal regista per trasmettere attraverso intensi e profondi primi piani, queste sensazioni.

Proprio per questo motivo Gravity é un film che passando per gli occhi arriva dritto al cuore dello spettatore, dimostrando ancora una volta - come se ce ne fosse bisogno - quanto ci sappia fare il cineasta originario di Città del Messico.

Tutto questo é condito ovviamente da una mano tecnica che contraddistingue in maniera marcata ed indelebile questo viaggio a tratti esistenziale. Oltre ai già citati piani sequenza e Computer Grafica, bisogna aggiungere paesaggi da brivido "dipinti" da una cura nei dettagli che dimostrano quanto il regista tenga a questo progetto. Sicuramente non ci troviamo davanti a qualcosa che fa gridare al miracolo, ma piuttosto ad un ulteriore dimostrazione di come la componente digitale all'interno di una pellicola può tranquillamente essere paragonata a quella di una scenografia reale, senza rimarcare deficit di qualunque tipo. A questo si aggiunge un 3D che per quanto non sia di vitale importanza, regala una profondità di campo decisamente godibile ed in grado di immergere ancora di più lo spettatore all'interno di questo contesto decisamente atipico.

Gravity quindi si trova a metà tra un Open Water in salsa spaziale e il film introspettivo, con una marcata predominanza della prima componete sulla seconda, sopratutto nella prima parte della pellicola. Un film particolare, che potrebbe non piacere a tutti i palati, ma che noi consigliamo comunque di guardare, almeno una volta, per la particolarità della sceneggiatura e per l'ottima regia.

Biglietti: 4/5

Gravity