Five Nights at Freddy’s 2 continua a parlare ai fan dell’universo di Scott Cawthon, infischiandosene di essere un buon film
Anche il secondo capitolo della saga di Five Nights at Freddy’s commette l’errore di credere che per fare un buon adattamento non sia necessario fare un buon film.

In termini commerciali la regista Emma Tammi e lo sceneggiatore Scott Cawthon sono del tutto giustificati nel perseverare negli stessi errori che hanno reso Five Nights at Freddy’s un film particolarmente inviso alla critica. Un botteghino da trecento milioni di dollari a livello internazionale, da top venticinque degli adattamenti videoludici più redditizi al cinema, dà loro ragione in termini economici, così come l’entusiasmo generato tra i fan.
Ancor più importante è il fatto che Five Nights at Freddy’s ha convinto un pubblico che al cinema va occasionalmente: i giovanissimi e chi come medium narrativo preferisce i videogiochi. Inoltre, a differenza di altri campioni videoludici del botteghino come Sonic, Super Mario e Minecraft, non l’ha fatto contando su un titolo celeberrimo noto anche ai non giocatori, ma su una saga nata indie e di nicchia, diventata popolare grazie all’entusiasmo dei fan. Che quindi Five Nights at Freddy’s 2 sia ancor più del primo un affaire tra "conoscitori della lore" (un termine che ho sentito sussurrare per tutta la durata della proiezione stampa, a cui ha partecipato un nutrito gruppetto di esperti dell’opera di Scott Cawthon) ha più che senso.
Anzi, il film è quantomeno un'operazione interessante proprio per come si sia lasciato plasmare dai desiderata dei fan, che hanno richiesto ancor più aderenza alla storia originale, spingendo Tammi a replicare non solo la vena orrorifica e violenta del videogioco, ma persino il gameplay nell’impostazione delle scene e dei movimenti di cinepresa, come raccontato nell’intervista sul film.
Freddy's 2 si rifiuta di trasformare il materiale originale
In un decennio in cui i videogiochi stanno vivendo la stessa parabola dei fumetti negli anni dieci – diventando sempre più popolari, ambiziosi e redditizi al cinema – vale la pena chiedersi come lo stiano facendo. A differenza della prima fase Marvel, Five Nights at Freddy’s non sente la necessità di adattare realmente il proprio linguaggio al grande schermo. Laddove dieci anni fa c’era l’intenzione (spesso sbagliata) di nobilitare il materiale fumettistico, qui c’è quasi l’arroganza di pensare che ciò che funziona sullo schermo di un computer o di una TV funzioni allo stesso modo in sala.
Non è così, e lo si capisce sin dall’inizio del film, che ci trasporta nel 1982, nel primo Freddy Fazbear's Pizzeria. Davanti agli occhi di tutti si consuma il macabro accoltellamento di una ragazzina derubricato come un tragico incidente (e già qui il sopracciglio si alza). Il sospetto è che sia la trama stessa del secondo gioco a essere debole: una duplicazione di elementi già visti e di cui il protagonista Mike Schmidt (Josh Hutcherson) incomprensibilmente non era a conoscenza. C’era un altro Freddy Fazbear's in città, ci sono stati altri omicidi, esisteva persino un’altra entità animatronica che, pur chiamandosi Marionette, era in realtà (concedetemi la citazione metal) il master of puppets. O la cronaca locale negli anni '80 lasciava particolarmente a desiderare, o bisogna chiudere entrambi gli occhi per non notare come ci sia un ampliamento della storia chiaramente non pianificato dall'inizio e un po' farraginoso.
Gli animatronics del primo film compaiono qui in versione primigenia, affiancati da nuovi pupazzi animati in condizioni non ottimali. Il tutto per la gioia dei fan e la perplessità di chi è in sala e percepisce come l’apparizione della volpe o del bambino animatronico dovrebbe essere un momento importante, ma il film non fa nulla per renderlo tale, a meno di conoscere già tutto e godersi il puntuale arrivo di ogni easter egg.
Questo secondo film è quindi una riproposizione del primo, a partire dal cast. Non solo gli interpreti sono gli stessi, ma l’unica variazione sostanziale è che la giovane interprete di Abby (Piper Rubio) è cresciuta tanto da sembrare un’adolescente, mentre Vanessa (Elizabeth Lail) continua a essere un personaggio teoricamente ambiguo a cui viene dato pochissimo da fare. Non essendo una videogiocatrice, l’unico vero brivido me l’ha dato l’apparizione di Skeet Ulrich nei panni di un personaggio viscidissimo che completa, in un certo senso, la reunion dal primo Scream con Matthew Lillard. Poca cosa però, anche perché il film mette in pausa la sua presenza (introdotta in avvio) per quasi tutta la durata, risolvendola alla buona nel finale.
Il ritorno di Freddy è meno audace e più prevedibile
Il problema principale di Five Nights at Freddy’s 2 è continuare a ritenere che ciò che ha reso il gioco così popolare funzioni al cinema a scatola chiusa. È chiaro che si tratta di una storia fatta di atmosfere, di una narrazione complessa che mescola elementi sovrannaturali e orrorifici a un immaginario infantile e gioioso, senza rifuggire la violenza. Sono elementi che si prestano al cinema, ma vanno mediati da un linguaggio all’altro. Scott Cawthon sembra invece concentrato soprattutto a dialogare con sé stesso, con la propria opera e con chi già la apprezza, scrivendo personaggi che in 104 minuti non riescono mai ad acquisire sostanza: ciò che funziona nel gioco, dove si impersona un personaggio e si trascorrono molte ore con lui, va sistemato per il film.
L’unico a rimanere vagamente interessante è Josh Hutcherson: un po’ per la particolare empatia che suscita (e che non ha mai esaurito dai tempi di Hunger Games), un po’ perché ad Abby, Vanessa e agli altri comprimari vengono imposti itinerari assurdi, da una parte all’altra della città, che rendono ancor più confuso un film privo di un’economia interna. Tanto che a uscirne meglio di tutti – a sorpresa – è Wayne Knight con il piccolo ruolo di un sadico professore di robotica: molto caricaturale, certo, ma capace di catturare meglio di tutto il resto ciò che rende Five Nights tanto amato e distintivo.
La cura delle location e degli animatronics non compensa l’incapacità di costruire un film che non sia una versione glorificata ma meno efficace del videogioco. Particolarmente deludente è la scelta di Emma Tammi di ripiegare su una versione più tradizionale e banale della componente orrorifica. Già nelle sequenze iniziali del primo capitolo si evocava una violenza davvero sinistra (specie se associata ai bambini) che qui viene scambiata per i più classici jump scare di basso livello. L’intenzione, parole sue, era rendere questo film più spaventoso del predecessore: obiettivo mancato, non per scarsità di svolte da paura, ma per la loro estrema prevedibilità, quando Freddy, Chica e gli altri animatronics potrebbero offrire brividi di natura diversa e più soddisfacenti.
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Nazione: Stati Uniti
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Redazione

Five Nights at Freddy's 2
Five Nights at Freddy’s continua a rivolgersi esclusivamente ai fan della saga videoludica, puntando più su easter egg e riferimenti visivi e narrativi al videogioco che adatta che su qualunque tentativo di coinvolgere chi non ha familiarità con la storia. In un certo senso, fa un disservizio a tutti, fan e non, perché questo approccio così poco trasformativo impedisce agli elementi che hanno reso i videogiochi della saga così apprezzati di mostrare il loro potenziale anche sul grande schermo.


