Final Destination è tornato ed è in forma: Bloodlines farà la gioia dei fan
Più gore del passato, sempre diabolicamente divertito nell’ideare trucide morti per i suoi sfortunati protagonisti, Final Destination torna in sala con un nuovo film all’altezza dell’amore dei fan per la saga.
Leggenda vuole che i due registi di Final Destination: Bloodlines siamo stati scelti tra un centinaio di candidati provinati da Warner Bros per rinverdire un franchise rimasto dormiente per oltre un decennio, nonostante la crisi creativa in cui è immersa hollywood. Adam B. Stein e Zach Lipovsky avrebbero ottenuto la regia del sesto film della saga preparando un complesso colpo di mano con cui chiudere la videochiamata durante cui avevano sottoposto la loro idea ai dirigenti dello studio. Mescolando sequenze preregistrate e facendo uso di effetti speciali, hanno inscenato una sorta d’incidente alla Final Destination a fine chiamata, mettendo in scena la loro stessa morte.
In questo aneddoto c’è un po’ tutto quello che bisogna dire su questo film e sul franchise che rispolvera. Come molti altri predecessori e concorrenti - penso per esempio a Scream - in questi anni si assiste al passaggio di testimone tra chi ha avuto per primo la visione, l’idea di base geniale nella sua semplicità ed efficacia, e chi con quella visione è cresciuto, amandola e diventandone fan. È uno slittamento non così rilevante, ma che si fa comunque sentire e ci racconta molte cose: per esempio di come oggi si cerchi non tanto chi ha idee in grado di affascinare il pubblico, quanto piuttosto chi è in grado di stimolarne la nostalgia per il passato cinematografico nel modo giusto.
Anche Final Destination è finito in mano ai suoi stessi fan
In questo senso Adam B. Stein e Zach Lipovsky sono perfetti per questa sfida. A partire dalla sceneggiatura di Guy Busick e Lori Evans Taylor, puntano proprio a quegli elementi che i fan della saga amano. Final Destination non è esattamente noto per la sua raffinatezza: è un franchise che fa dell’esagerazione e anche delle vie d’uscita narrative un po’ idiote la sua forza e il suo vanto. I primi cinque capitoli sono amati nella loro bellezza ma anche nella loro bruttezza, perché fondati sull’assunto che l’importante è rilanciare, architettare una morte sempre più roboante: non importa poi troppo se ci si muove verso l’alto o verso il basso. Anche i passaggi più bruttarelli dei primi film sono cult a modo loro, talvolta anche di più di quelli più azzeccati.
Bloodlines quindi si muove agile e spedito sin dall’avvio, anche se gli effetti speciali sono davvero dozzinali e la resa visiva qua e là davvero misera (e chi scrive non l’ha visto in IMAX, dove questi limiti saranno ancora più evidenti). Nell’antefatto seguiamo una lunga premonizione che avvia la solita catena di sopravvissuti che sarebbero dovuti morire in un incidente ma si sono salvati. Il tutto è ambientato in un ristorante panoramico la cui resa è tanto finta quanto la brutta parruccona rifilata alla protagonista. Non importa, anzi, con un po’ di furbizia si può persino spacciare questi problemi per “omaggi” al passato.
Bloodlines vuole soprattutto essere un buon film ancor prima di rilanciare la saga
Il punto di Final Destination sono sempre state le idee rispetto alla sostanza e Bloodlines ha parecchio da mettere sul piatto. Tanto da trascurare spesso la caratterizzazione dei personaggi (abbastanza monodimensionali) o farci dubitare della loro intelligenza. Non importa, perché la vera partita è tra lo spettatore e il film, che tenta di continuo di sorprendere il primo ricorrendo a indizi, avvertimenti, suggestioni e poi muovendosi bruscamente in direzione opposta. La maggior parte delle volte Bloodlines riesce a sorprendere, talvolta a prendere in contropiede, con morti deliziosamente crudeli e arzigogolate.
La trama ha lievi connessioni con il quinto film della saga, di cui di fatto è un sequel. Più che altro i protagonisti di questo film - due famiglie che non sarebbero dovute esistere se qualcuno non avesse fermato la morte - vengono messi a parte di quanto desunto nei capitoli precedenti. A fare da raccordo è il compianto Tony Todd, che con questo ruolo saluta il suo pubblico con la sua ultima interpretazione, dato che è morto poco dopo le riprese. Il ritorno di William Bludworth è il raccordo narrativo tra il passato e il presente della saga, ancora una volta giocata sulla consapevolezza dei personaggi e del pubblico sulle regole del gioco contro la morte. Il ruolo di Todd è poco più di un cameo, ma gestito con grande acume e capace di dare un senso di compiutezza al personaggio, perciò in grado di commuovere i fan della saga.
A parte la povertà visiva e una certa faciloneria nella scrittura - ottimi colpi di scena vengono purtroppo controbilanciati da passaggi un po’ pigri di sceneggiatura - non c’è molto che si possa rimproverare a Bloodlines perché è davvero un’operazione fatta con passione e cuore, il cui obiettivo è palesemente divertire il proprio pubblico con quel particolare humour che caratterizza questa saga. Rispetto al passato si ride e si sanguina di più, con una svolta più gore e dal tono più brillante che convincerà i fan storici. Sfruttando la premessa sempre efficacissima alla base di Final Destination si potrebbe anche attirare un’altra generazione di spettatori in sala, perché non è necessario aver visto i film precedenti del franchise per godersi Bloodline.
A mancare è invece il carisma dei personaggi, davvero dimenticabili, ma se c’è un franchise che non ha problemi a sopravvivere alla debolezza dei suoi protagonisti quello è proprio Final Destination, che anzi li rende memorabili attraverso le loro morti. Tuttavia la struttura narrativa in sé del film non solo è solida e coerente, con elementi ricorrenti che aleggiano sui personaggi come presagi molto prima che muoiano, ma trova un finale che dà un senso di compiutezza al film, dando priorità alla chiusura di questa storia piuttosto che a stuzzicare i fan con l’idea di un sequel, dimostrando ancora una volta di avere rispetto per il proprio pubblico.