Recensione Stagione 9 di Diablo IV: i Peccati degli Horadrim tra luci e ombre
L’Ordine ritorna con nuove meccaniche e promesse narrative, ma sotto la superficie si nasconde ancora un equilibrio fragile. Un’analisi concreta, senza mitologie.

C’è qualcosa di ironico nell’iniziare una nuova stagione di Diablo IV con la promessa di antichi segreti da decifrare, quando in realtà la sensazione di déjà vu è più forte che mai. Peccati degli Horadrim, ovvero la nona stagione di uno dei franchise più iconici di Blizzard, ci invita a raccogliere le ceneri magiche di un ordine ormai estinto, evocando il fascino perduto dell’epopea classica blizzardiana. Ma mentre si parla di magia, rituali e poteri dimenticati, ci si ritrova ancora una volta a "grindare" gli stessi dungeon, con la speranza che la prossima combinazione di gemme e oggetti leggendari renda il nostro personaggio “diverso da quelli precedenti”. Spoiler alert: non succede quasi mai.
Eppure quel richiamo funziona, specialmente per chi conosce i nomi e le storie che hanno costruito l’universo di Diablo. Gli Horadrim non sono solo un concetto, ma un lascito narrativo fatto di personaggi come Deckard Cain, che nel corso degli anni è stato molto più che un NPC: era la nostra guida, il nostro archivista, colui che dava senso a ciò che stavamo vivendo. Ritrovare oggi qualche eco di quell’eredità, anche se solo in forma di poteri o reliquie, non può che far piacere. È un modo per riconnettersi con un’identità che rischia di perdersi nel marasma delle stagioni a cadenza trimestrale.

La vera domanda, alla fine, non è tanto se Diablo IV sia ancora un gioco “attivo”, ma se abbia ancora senso giocarci al di fuori dei grandi eventi, delle espansioni, degli stravolgimenti veri. Le stagioni, in fondo, riescono davvero ad arricchire l’esperienza? Oppure servono solo a far passare il tempo mentre aspettiamo qualcosa di meglio?
Uno scontro con le colpe del passato: tornano gli Horadrim
La Stagione 9 di Diablo IV, intitolata Peccati degli Horadrim, riporta al centro della scena l’Ordine più influente e misterioso di Sanctuarium. Dopo secoli di silenzio, le Camere Rinforzate Horadriche riemergono all’interno delle Spedizioni da Incubo, portando con sé le Reliquie di Sangue, oggetti corrotti da un potere demoniaco ancora latente. Il loro risveglio riapre ferite mai del tutto rimarginate e mette in luce una verità scomoda: Donan, figura centrale della campagna principale, aveva scelto di sigillare quelle reliquie per proteggere il mondo... ma oggi le sue decisioni si ritorcono contro l’intera Sanctuarium.
Il cuore narrativo della stagione pulsa intorno a questo gesto antico: un atto di virtù dalle conseguenze maledette. I sigilli si infrangono, e con essi si risveglia una minaccia che credevamo sepolta. I druidi dei Picchi Frantumati, già alleati nel corso della campagna, vengono esplicitamente chiamati in causa, a conferma della volontà di Blizzard di mantenere saldo il legame con l’universo narrativo costruito sinora – un approccio simile a quanto visto nella serialità televisiva contemporanea, dove anche le stagioni antologiche tendono a ricollegarsi, in controluce, al corpus narrativo principale.
Non si tratta soltanto di un atto nostalgico, ma di un ritorno consapevole alle fondamenta della saga. Gli Horadrim non sono mai stati semplicemente un ordine magico: erano – e restano – la memoria, la giustizia, il fragile confine tra l’uomo e l’abisso. Ritrovarne le reliquie, oggi pervase dalla corruzione, è un gesto carico di tensione. E rievocare figure come Deckard Cain – mentore, narratore, coscienza morale dell’intero ciclo – diventa un modo sottile ma potente per ricordarci da dove veniamo. Perché Diablo non è fatto solo di demoni e build ottimizzate: è fatto di errori, colpe e redenzione, in un ciclo che richiama, per molti versi, la tragedia classica.

Al centro della nuova minaccia troviamo ancora una volta Astaroth, già conosciuto come uno dei Quattro Supremi Maligni. In questa stagione, torna in una forma rinnovata e ancor più brutale. La sua Amalgama – un ibrido grottesco tra cavalcatura e parassita – rappresenta il culmine della sfida stagionale. Ma c’è un elemento di rottura: per la prima volta, Astaroth e la sua creatura si scindono, obbligando il giocatore ad affrontarli come due boss distinti, ciascuno dotato di un proprio set di abilità. Comprendere le sinergie tra i loro attacchi diventa essenziale per la sopravvivenza, soprattutto quando l’Amalgama cercherà di rianimarsi autonomamente se lasciata indisturbata troppo a lungo – una meccanica che ricorda da vicino alcuni scontri epici della serie Dark Souls, in cui la pazienza e la lettura dei pattern nemici valgono più della forza bruta.
Gameplay, build e ritmo di gioco: la stagione 9 aggiunge cose interessanti su Diablo IV
La nona stagione di Diablo IV introduce una struttura di gioco più articolata e, per certi versi, più generosa nella distribuzione del potere e nella progressione. Al centro dell’esperienza troviamo gli Incantesimi Horadrici, una nuova meccanica di personalizzazione che consente di costruire attacchi potenziati su misura, modificabili in profondità. Ogni incantesimo è composto da tre elementi: il Catalizzatore, che ne determina la base funzionale; l’Infusione elementale e fino a tre Arcanum, che aggiungono effetti extra o bonus specifici. Questi incantesimi si legano direttamente alle abilità del proprio personaggio, dando vita a una sorta di doppio attacco capace di rivoluzionare l’approccio al combattimento, un po’ come accadeva con le sinergie avanzate in alcuni capitoli della serie Final Fantasy, ma declinate qui in chiave action-RPG.
Nel mio caso, ho scelto di creare un’Incantatrice e l’ho orientata verso una build basata sulle Idra, sfruttando il fuoco come Infusione per aumentare la presenza a schermo tramite attacchi continui. Ho collegato l’abilità Idra a un incantesimo personalizzato che, a ogni evocazione, genera un’esplosione a cono di fiamme capace di incendiare i nemici circostanti. Grazie agli Arcanum, ho potuto aggiungere una probabilità aumentata di colpo critico e una seconda esplosione ad area, attivata automaticamente quando il bersaglio è stordito. Il risultato? Un campo di battaglia costantemente in fiamme, con effetti concatenati in modo elegante, ma letale quasi coreografico, in senso cinematografico.
Uno degli elementi più riusciti della stagione sono le Camere Rinforzate Horadriche, nascoste all’interno delle Spedizioni da Incubo: micro-dungeon a tempo che spezzano il loop standard e premiano la capacità di adattamento. In parallelo, gli Incubi Crescenti offrono una variante interessante delle spedizioni classiche, articolata in tre dungeon consecutivi con difficoltà crescente, culminanti nello scontro con Astaroth. È una formula che funziona, anche grazie alla struttura modulare con cui i potenziamenti possono essere assemblati.

Questa libertà di personalizzazione rafforza la sensazione che Diablo IV voglia premiare la creatività del giocatore. È possibile sperimentare in modo intuitivo, anche perché la progressione dei poteri è ora sensibilmente più rapida rispetto alle stagioni precedenti. Dopo una patch che ha corretto il tasso di drop degli Arcanum, completare un set di potenziamenti è diventato un obiettivo raggiungibile in circa venti ore di gioco. Per alcuni potrà sembrare un investimento modesto, ma per chi non ha intenzione di dedicare cento ore a ogni stagione, si tratta di un compromesso più che ragionevole.
Naturalmente, non tutte le build risultano altrettanto efficaci: alcune combinazioni appaiono subito leggibili e gratificanti, mentre altre faticano a emergere con pari incisività. Tuttavia, il nuovo sistema incentiva a testare, modificare, ricalibrare: un invito al perfezionamento continuo, che diventa fondamentale soprattutto in vista delle Camere Rinforzate e dei dungeon da incubo potenziati. In questi momenti, riaffiora quella sensazione familiare – e quasi tattile – che da sempre contraddistingue Diablo: ogni colpo, ogni potere, ogni rotazione ha un peso specifico, e fa la differenza.
A margine, è giusto citare anche l’introduzione dei Gioielli Horadrici, ottenibili tramite crafting e potenziabili con le Fiale Horadriche. Non hanno la centralità degli Incantesimi, ma rappresentano una variabile tattica interessante, in particolare nelle fasi più avanzate del gioco. Infine, il Percorso della Conoscenza Horadrica, con le sue ricompense suddivise in capitoli, aggiunge un ulteriore livello di coerenza e motivazione alla progressione stagionale, mantenendo vivo l’interesse anche quando i dungeon iniziano a risultare ripetitivi.
Qualcosa è cambiato oppure no? Luci e ombre su Diablo IV
Dal punto di vista tecnico, la Stagione 9 di Diablo IV conferma gli standard raggiunti con le ultime patch, offrendo un’esperienza complessivamente stabile e ben ottimizzata. Anche su PC di fascia media, il titolo riesce a sostenere la complessità delle Spedizioni da Incubo e delle nuove Camere Rinforzate Horadriche senza cali di framerate né glitch significativi. Tuttavia, più che di una vera evoluzione, si tratta di un consolidamento graduale: le prestazioni rimangono solide, ma l’impatto visivo e la varietà ambientale cominciano a mostrare i segni di una certa ripetitività, specie durante le sessioni più lunghe.
A livello artistico, lo stile dark fantasy di Sanctuarium continua a esercitare il suo fascino grazie a una direzione visiva coerente, capace di bilanciare ambientazioni decadenti, tonalità desaturate e dettagli gore con una cura che richiama – per densità e consistenza – l’estetica tragica di alcune tavole di Mike Mignola. Le nuove varianti cromatiche delle spedizioni, i filtri visivi applicati nelle micro-camere e il design disturbante di Astaroth e della sua Amalgama risultano riusciti, pur restando ancorati a un linguaggio visivo ormai familiare per chi conosce l’universo di Diablo.

Sul piano autoriale si avverte una certa stanchezza progettuale. Se da un lato è apprezzabile la reintroduzione di figure iconiche come Donan, e se la stagione attinge a un immaginario horadrico carico di memoria dall’altro colpisce il fatto che questa ricchezza tematica non venga pienamente valorizzata. I dialoghi sono radi e poco incisivi, mentre le cutscene risultano ridotte all’osso, lasciando spazio a schermate testuali e a una narrazione funzionale ma poco evocativa. In un gioco che ha saputo raccontare anche attraverso le immagini – si pensi all’introduzione del gioco base o ad alcune cinematiche dedicate a Lilith – è un peccato assistere a un progressivo affievolimento di questa componente.
Guardando al futuro, la domanda sorge spontanea: quale direzione sta prendendo Diablo IV? La stagione Peccati degli Horadrim introduce alcune migliorie meccaniche e finezze estetiche, ma resta ancorata a una logica di contenuti “a tempo”, incapaci di lasciare un segno duraturo nella memoria dei giocatori. I miglioramenti tecnici sono evidenti, ma non accompagnati da una visione forte o da una crescita strutturale. Se il ritmo dovesse restare invariato, l’espansione del 2026 rischia di non essere qualcosa da attendere con ansia, ma addirittura una svolta necessaria per ridefinire l’identità del progetto.
Versione Testata: PC

Diablo IV
Diablo IV non ha bisogno di giustificazioni. È un gioco solido, strutturato, che ha saputo rialzarsi dopo un lancio altalenante. Ma è anche un progetto che si trova costantemente in bilico: tra le aspettative di una community fedele e l’incessante necessità di proporre qualcosa di nuovo. Peccati degli Horadrim è, in questo senso, una stagione emblematica. Funziona, diverte, regala qualche spunto evocativo – ma lo fa con il freno tirato, come se Blizzard volesse tenere tutto sotto controllo in attesa del vero colpo di scena: l’espansione.
Eppure, qualcosa di buono rimane. Le nuove meccaniche, i richiami al passato, le Spedizioni da Incubo migliorate, la libertà nella personalizzazione delle build: tutti elementi che parlano a chi ha ancora voglia di tornare a Sanctuarium, anche solo per un’altra stagione. Ma per chi cerca una narrazione forte, una visione di lungo periodo, o una reale evoluzione autoriale... forse è il momento di attendere.


