Speciale Via col vento
Ottant'anni di Via Col Vento, un vero classico senza tempo
Il 15 dicembre del 1939, ad Atlanta, si tenne la premiere del nuovo film prodotto da David O. Selznick: Via col vento. L’evento, di per sé, poteva apparire (all’osservatore distratto) abbastanza di routine: le premiere cinematografiche (con tanto di cast presente in sala) esistevano dagli albori del cinema a stelle e strisce. E il produttore Selznick nonostante la giovane età nel 1939 aveva già prodotto grandi successi degli ultimi anni, collaborando con cineasti di grande talento come George Cukor (futuro regista Premio Oscar per My Fair Lady) e William A. Wellman che nel 1927 aveva realizzato il pionieristico Ali, il primo film premiato nella storia degli Academy Awards.
Al tempo stesso, in quella notte di Atlanta, si celebrava un film tratto da un romanzo (dell’autrice Margaret Mitchell) ambientato proprio ad Atlanta e nei territori della Georgia, cosa che rendeva la scelta del cinema dove si sarebbe tenuta la prima come una mossa obbligata. Ma l’evento e quella serata furono storici per un altro motivo. Perché da quel 15 dicembre 1939, il cinema non sarebbe stato più lo stesso.
Via col vento era un film, nelle intenzioni del produttore, programmato per vincere. Sarebbe stato uno dei primi film a colori della storia, avrebbe avuto una lunghezza epica, sarebbe stata la trasposizione di un romanzo di successo e avrebbe avuto un ricco cast.
Ma soprattutto doveva essere ‘il film del sud’ (così come anticipato nei titoli di testa del film, durante la struggente colonna sonora scritta da Max Steiner): in grado di rappresentare la quintessenza dell’America profonda, rurale, sudista e sostanzialmente non ancora in grado di accettare (erano passati meno di 80 anni falla fine della Guerra Civile) la sconfitta per mano degli yankees.
Uno spirito di rivalsa, quello del Sud, che sarà presente negli stati meridionali dell’Unione ancora per anni fino ad una legislazione per i diritti civili degli anni ’60 che proverà (nonostante le tante resistenze culturali e politiche) ad una totale equiparazione delle persone di colore col resto del paese. Ecco perché per Atlanta quei giorni di dicembre non furono giorni qualsiasi, ma festività nazionali. Gli uffici pubblici e le scuole furono chiuse dal 12 al 15 dicembre, in occasione della presentazione del film. Il giorno prima della premiere si tenne un ballo a tema a scopo di beneficenza, e nelle vicinanze del cinema scelto per la prima (il Loew’s Grand) venne montata un’intera scenografia raffigurante la tenuta di Tara, il regno incontrastato di Rossella O’Hara e della sua famiglia.

Quello di Via col vento fu dunque probabilmente il primo moto di orgoglio degli stati del Sud dopo tanto tempo. Un orgoglio rivissuto soltanto molti anni dopo quando (anche grazie ad un Presidente, Jimmy Carter, proveniente proprio dallo stato della Georgia) Atlanta si trovò al centro del mondo in quanto città organizzatrice dei Giochi Olimpici del 1996.
Via col vento, però, ad 80 anni dalla sua uscita non parla soltanto al Sud ma, idealmente, a tutta la storia del cinema. Programmato per vincere, abbiamo detto. E possiamo definirlo, per certi versi, come il primo vero film kolossal della storia della settima arte. Selznick credeva, infatti, così tanto nel progetto da investire un numero inimmaginabile di soldi per la produzione. Tra ricche scenografie (anche se alcune oggi appaiono antiquate e soprattutto oggettivamente artefatte), un numero elevatissimo di comparse, costumi ricercatissimi ed una cura maniacale per quanto riguarda il cast.
Del resto Via col vento per quanto abbia narrativamente come protagonista assoluta la figura di Rossella O’Hara, dispone di un numero di personaggi di contorno che (considerando anche la lunghezza di quattro ore della pellicola) rivestono un ruolo fondamentale nello sviluppo dell’intreccio. Ma l’unico veramente sicuro di far parte del cast era Clark Gable. Non solo in quanto l’attore di gran lunga più importante dell’intero cast (si era già aggiudicato un Premio Oscar come Miglior Attore nel capriano Accadde una notte del 1934). Ma anche perché, a detta della stessa autrice del romanzo Mitchell, il personaggio di Rhett Butler era modellato su Clark Gable, e la stessa scrittrice si era ispirata nel delineare il suo personaggio sui modi gentili ma anche gradassi dell’attore statunitense.
Per la scelta di Rossella O’Hara invece Selznick fece 1400 provini per selezionare l’attrice protagonista. Vivien Leigh, in realtà, (che si trovava in quel momento degli Stati Uniti per accompagnare il marito Laurence Olivier sul set di Cime tempestose di Wyler) fu notata dallo stesso produttore mentre l’attrice britannica si trovava visita sul set. Partecipò ai provini e sbaragliò la concorrenza di attrici ben più rinomate ed importanti (la Leigh allora aveva soltanto 27 anni ed era sconosciuta ai più, soprattutto negli Usa) tra cui quella di Paulette Goddard, allora moglie di Charlie Chaplin. La scelta dell’attrice protagonista fu così lunga che le prime scene girate tra Rhett e Rossella in realtà furono realizzate con una controfigura della protagonista (come per esempio nella celebre scene dell’incendio di Atlanta).

La scelta fu coraggiosissima da parte del produttore, che assunse un ruolo così importante nel film da cambiare regista in continuazione. Formalmente il regista era Victor Fleming, ma la pellicola fu iniziata da George Cukor, sostituito per dissidi col produttore.
Perché Via col vento è il primo kolossal della storia proprio per questa impostazione produttive: il produttore va oltre, sconfina ogni confine ed ogni frontiera tecnica. Svolge il ruolo di supervisore della sceneggiatura, determina alcune inquadrature (litigando e mettendo dunque in ombra il regista) ed ha un ruolo fondamentale sia nell’impostazione narrativa del film sia ovviamente sulla scelta degli attori.
In questo sfarzo, in quattro ore in cui avviene di tutto, vediamo alcune scene tipo capaci di rendere il film un vero e proprio universo di situazioni cinematografiche: città che si incendiano, balli nelle tenute fondiarie, momenti musicali, inseguimenti, corpi distesi, scene belliche, drammi familiari e amori non corrisposti. Via col vento rappresentò una cesura netta. Sin dai tempi di Grand Hotel (1932, Edmund Goulding) gli studios si erano posti l’obiettivo di realizzare film dotati di un grande cast capace di spingere il pubblico a riempire le sale dei cinema. Ma con Via col vento si fa un passo ulteriore verso scene d’insieme, durate narrative ed effetti visivi mai visti prima.
Il film batté altri due record del periodo: il più grande incasso della storia del cinema ed il maggior numero di Premi Oscar vinti (10, fu superato soltanto vent’anni dopo da Ben Hur). Il cinema da quel momento in poi sacralizzò ancor di più la figura del produttore, a scapito di quella del regista e dello sceneggiatore rafforzando ulteriormente lo studio system e l’impostazione verticale della piramide produttiva hollywoodiana. Tutt’ora una delle colonne sonore più celebri della storia fa parte di questo film: il celebre Tara’s theme, composto dall’austriaco Max Steiner, è stato inserito nel 2005 dall'American Film Institute al secondo posto nella classifica dei migliori musical themes cinematografici, subito dietro quello di John Williams per Star Wars.
La più grande battuta della storia del cinema (“Francamente, me ne infischio”) è pronunciata in questo film. Forse bloccò il cinema su questa impostazione epica ed iper-classicista: ma Via col vento, rivisto oggi non è soltanto un capolavoro della messa in scena. Ma la sintesi perfetta di un cinema che per quanto tradizionalista e conservatore comunque sapeva osare, prendersi dei rischi. E mettere al centro il concetto di spettacolo. L’intrattenimento come prima missione dell’industria hollywoodiana.