Lo strano caso del Leak Sony

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Questi ultimi mesi per Sony Pictures non sono stati per niente facili. Come molti di voi sapranno, la major ha subito verso fine Novembre un duro attacco da parte di un gruppo di hacker, i Guardians of Peace (Guardiani della Pace), che ha reso pubblico moltissimo materiale sensibile riguardante gli impiegati dell'azienda, il loro lavoro e i progetti di cui si stanno occupando. Ma ciò che ha scosso maggiormente l'opinione pubblica é stata (l'iniziale) cancellazione di The Interview, in seguito ad alcune minacce presentate dal gruppo GoG e alla reazione dei cinema americani. In questo articolo vogliamo approfondire l'intera vicenda, e seguire passo passo quelle che sono state le scelte e le rivelazioni compiute e messe in atto ai danni di Sony fino ad oggi.

Come é cominciata



Il 24 Novembre 2014, i server Sony venivano violati dal gruppo GoP, ma il loro intento sarebbe stato chiaro solo qualche settimana dopo, e più precisamente il 9 Dicembre, quando dopo il rilascio del seguente messaggio: “Stop immediately showing the movie of terrorism which can break the regional peace and cause the War!” imponevano alla major il ritiro del film The Interview, con Seth Rogen e James Franco, la cui trama prevede infatti che due giornalisti americani tentino di assassinare il dittatore nord coreano Kim Jong-un. Secondo le fonti citate inizialmente dal sito Deadline e poi confermate dall'FBI, l'attacco é stato successivamente imputato proprio alla Corea del Nord, che con questa azione di cyberwarfare voleva mettere a tacere quel film che tanto riteneva offensivo.
Nel frattempo, svariate catene di cinema americani annunciavano il loro rifiuto nel voler proiettare The Interview come previsto, spaventati dalle minacce e dalla situazione pesante che si era venuta a creare. Una reazione a catena che ha coinvolto centinaia di migliaia di schermi in tutti gli States.

Dopo 9 giorni dalla comparsa del primo messaggio, Sony ha ceduto sotto i colpi degli hacker, e ha annunciato il ritiro della pellicola dalle sale americane e da qualsiasi altro tipo di mercato, proprio come avevano suggerito gli stessi Hacker con il secondo messaggio “Ora vogliamo che non facciate mai uscire il film, in alcuna maniera, quindi nemmeno in DVD o attraverso la pirateria” complimentandosi con la scelta molto saggia di Sony, a detta loro. Appena l'annuncio é stato fatto, il mondo é esploso in commenti e critiche contro la major, soprattutto sul social network Twitter. Date un'occhiata ai cinguettii di alcune star:
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Persino il Presidente Obama si é espresso a riguardo: “Non possiamo vivere una società nella quale un dittatore, da qualche parte nel mondo, impone la propria censura negli Stati Uniti. Non possiamo cambiare il nostro comportamento, non possiamo smettere di andare a vedere il football per paura di un attacco terroristico. Avrei preferito ne parlassero prima con me. Gli avrei detto di non andare a cacciarsi nella situazione in cui si finisce per essere intimiditi da questo tipo di attacchi criminali. Gli Stati Uniti risponderanno proporzionatamente” continua il Presidente, “con modalità che sceglieremo e in tempi che decideremo”, tuttavia non é entrato nel dettaglio di cosa potrebbe succedere ora. “Abbiamo appena ricevuto la conferma che é stata la Corea del Nord, e ora stiamo prendendo in considerazione una serie di possibilità che poi mi verranno sottoposte”. In seguito, intervistato da ABC News ha espresso un ulteriore parere: “L'attacco di cyberwarfare ai danni della Sony é estremamente serio. Stiamo investigando, lo stiamo prendendo molto seriamente. Saremo vigili: se noteremo qualcosa che reputeremo come una minaccia credibile avvertiremo i cittadini, ma per il momento posso raccomandare a tutti di andare al cinema.”.

Spiccano senza alcun dubbio invece, tra i commenti dei vip hollywoodiani, quelli di George Clooney che, oltre ad essersi fatto promotore di una petizione online a favore della “resistenza” della Sony alle irragionevoli richieste degli hacker, ha espresso tramite Deadline le sue perplessità riguardo la decisione finale della major. "Questo non é solo un attacco a Sony. Coinvolge ogni studio, ogni network, ogni business e ogni individuo di questo paese. Ecco perché noi sosteniamo pienamente la decisione di Sony di non cedere alle richieste degli hacker. Sappiamo che arrendersi a questi criminali adesso aprirà le porte ad ogni altro gruppo che voglia minacciare la libertà di espressione, la privacy e la libertà individuale", recita l'invito a firmare la petizione; e, ancora, George ci ammonisce amareggiato dalle pagine di Deadline, lamentandosi di coloro che hanno fatto sentire la loro voce (criticando Sony) solo dopo che la major aveva preso una decisione – non prima - e ricordandoci che “Abbiamo la responsabilità di sollevarci contro tutto questo" e, leggendo tra le righe, probabilmente non é da interpretare come un appello rivolto unicamente agli americani vittima di questa brutta faccenda, ma, in senso lato, come un'esortazione a tutti noi esseri umani a unirci per difendere ciò che di più prezioso abbiamo, senza chinare il capo.

Nelle battute finali, alludendo a un “nuovo paradigma” e a un “territorio nuovo”, l'attore-regista si addolcisce un po' lasciando spazio a toni meno apocalittici: “Credo che nessuno fosse preparato a questo. Ora saremo preparati, si spera". Lo speriamo anche noi.
Ma, alla luce di tutto questo, c'é da chiedersi se sia stato dato alla questione il peso che realmente meritava. Pare ovvio che, arrampicandoci su un versante unicamente umano, non abbiamo potuto che trovarci uniti e solidali con le decine di migliaia di persone coinvolte in questo vero e proprio furto di identità; d'altro canto, in termini squisitamente affaristici e di business, tralasciando implicazioni morali di vario genere, la questione Sony potrebbe aver avuto un risvolto inaspettato e vagamente positivo, se pensiamo a come ha attirato su di sé i riflettori dell'opinione pubblica di tutto il mondo sin da subito. Insomma, potrebbe essersi trattato, in qualche modo, di una sorta di pubblicità colossale e non voluta. La domanda che a molti sarà senz'altro immediatamente sorta spontanea é stata se The Interview, in termini di critica cinematografica, meritasse effettivamente tutta questa inaspettata fama che lo ha preceduto.

Con gran sorpresa di tutti, dopo aver ritirato il film da ogni mercato possibile e immaginabile sia nazionale che internazionale, Sony, a un giorno dalla data di release stabilita ufficialmente, annunciava che il film sarebbe stato comunque proiettato in oltre 200 sale americane, riprendendo la sua promozione come se nulla fosse accaduto. Tra le catene che hanno ospitato la tanto discussa pellicola anche i cinema di George R.R. Martin, schieratosi fin dal principio dalla parte di chi inneggiava alla difesa della libertà di espressione di un'America minacciata da un paese che "queste grandi corporazioni" a stelle e strisce avrebbero potuto "comprare per pochi spiccioli". Secondo i dati, il botteghino di The Interview si presenta così, per ora: $1, 794, 666 durante il giorno di Natale, in cui é uscito, per un successivo totale di $5, 352, 387. Rory Bruer, presidente della sezione distribuzione mondiale della Sony Pictures, ha così dichiarato in un comunicato stampa: “Siamo immensamente grati a quelle persone che sono venute a vedere il film il primo giorno di release nonostante le incredibili e avverse circostanze” e, in effetti, la paura di una possibile ritorsione o messa in pratica delle varie minacce che erano state fatte in precedenza, può aver allontanato dalle sale molti possibili spettatori. Ricordiamo anche che durante le vacanze USA c'erano molti altri film appetibili proiettati al cinema, come Unbroken, Lo Hobbit: La Battaglia delle Cinque Armate e Into the Woods, il musical della Disney.

E se la Corea del Nord non fosse il vero responsabile?



A un mese e mezzo dal “fattaccio” le iniziali dichiarazioni fatte dall'FBI – che avevano sollevate alcune polemiche da parte dell'intelligence della cyber community - sono state poi messe in discussione: “Penso che il Governo abbia agito prematuramente annunciando la Nord Corea come colpevole prima che le indagini fossero complete” asserisce Mark Rasch, del dipartimento federale dei cyber crimini. "Ci sono molte teorie a riguardo, su chi l'ha fatto e come. Il governo deve seguire ognuna di esse”. D'altro canto, l'FBI si é difesa dicendo che l'accusa fu basata su solide informazioni provenienti da una grande varietà di fonti, tutte attendibili. Alcune voci sostengono invece che l'attacco provenisse addirittura dall'interno della stessa Sony, per mano di alcuni ex dipendenti, che avrebbero avuto una maggiore conoscenza del sistema e un più facile accesso alle informazioni di security private dell'azienda.

Effettivamente può sorgere il dubbio che la major possa avere problemi di sicurezza, visto che già nel 2011 il PSN fu attaccato e messo a tacere per diverse settimane, per un danno pari a diversi milioni di dollari, senza contare tutti i dati sensibili rubati ai giocatori. A sostegno di Sony, Joseph Demarest, della Cyber Division del FBI, afferma che il malware utilizzato per la violazione del mese scorso era estremamente sofisticato e avrebbe abbattuto le difese del 90% dei network conosciuti.
Scoprire chi sia dietro un attacco di cyberwarfare di queste dimensioni, é certamente un duro compito: dovremo attendere che le indagini proseguano prima di gridare al colpevole. Per ora possiamo solo rifarci a deboli prove e mere supposizioni rimbalzate di tastiera in tastiera.

Mail trafugate: tra imbarazzo e rivelazioni



L'attenzione non era rivolta però tutta sul film di Evan Goldberg. Ad essere colpita dall'attacco fu anche la corrispondenza privata di molti manager Sony, e non solo, così che venissero rivelati tantissimi dettagli riguardanti numerosi film, progetti in corso e future collaborazioni, per non parlare di svariati scambi di battute riguardanti personaggi famosi con cui la major aveva lavorato.
Tra le news più interessanti la presenza (ancora dubbia) di Spiderman in Civil War, il fuori budget di Spectre, il possibile film su Super Mario, spoiler su Ghostbusters 3, e via dicendo. Per non parlare della release online di alcuni film tra i quali Still Alice, Annie e Fury, il cui uso risulta evidente.
Non vorremmo invece trovarci nei panni di Amy Pascal, il co-presidente del colosso cinematografico, Scott Rudin, produttore, e altri malcapitati che hanno visto pubblicate online conversazioni private contenenti anche commenti poco carini su collaboratori, attrici/attori e chi più ne ha più ne metta.

Rudin ha definito Angelina Jolie una “mocciosa viziata senza il minimo talento” ed insieme alla Pascal ha cercato di indovinare i film “preferiti” dal Presidente Obama: Django Unchained, 12 Anni Schiavo e Poliziotto in Prova (Ride Along), tra i tanti. Notate per caso cosa li accomuna?
Insomma, siamo sicuri che molte persone avranno ricevuto fiori e cesti di frutta, in questo periodo.
C'é chi invece ha rivelato un insolita vena umoristica. Parliamo di Channing Tatum che, vantandosi del risultato ottenuto al botteghino dal suo film 22 Jump Street, ha esordito con questa simpatica mail, indirizzata alla co-star Jonah Hill, la già tormentata Amy Pascal e altri grandi capi degli Studios: “F YOU TED !!!! SECOND OF ALLLL TIMMMMME BEEEOTCH!!!! COME ON JUMPSTREETERS WE GOT CATE BLANCHETT WIT DIS BOX OFFICE BITCHES!!!!!!!!AAAAAAAAAHAHAHAHAHAHAHAHA” E questi non sono nemmeno la metà degli “ahaha” presenti nel testo.
Questo non fa di Sony una cattiva azienda in generale, anche se individualmente può risultare imbarazzante per chi é coinvolto personalmente. Sarebbe sufficiente dare un'occhiata alle mail di tante altre compagnia per trovare le stesse identiche “trash-talk”.

Cosa succederà?



Giunti a questo punto, non é ancora possibile tirare le somme e mettere la parole fine alla vicenda. Bisognerà aspettare la conclusione delle indagini e forse nemmeno allora avremo un colpevole da additare con sicurezza. Fino a quel momento, non ci resta che sostenere la libertà d'espressione in tutte le sue forme, specie ora che sembra sempre più calpestata e ostacolata. Alla luce dei recenti avvenimenti che hanno colpito la Francia e toccato milioni di persone in tutto il mondo, ci accorgiamo di quanto sia costoso mantenere questa “espressione” libera. Oggi più che mai, grazie a internet e ai social network, diffondere idee e opinioni é diventato quanto mai semplice: le parole possono davvero cambiare il mondo, ma suonano vuote e il loro uso vano se dietro ognuna di esse non c'é una reale consapevolezza ma soltanto un bisogno di approvazione che é sempre più a portata di mano. Una matita, un film, o qualsivoglia mezzo di trasmissione culturale, non sono e non devono diventare armi di distruzione di massa, ma possono smuovere le nostre coscienze e guidarle verso un pensiero più critico e perciò libero da costrizioni e dogmi imposti da altri. Perciò, Kim Jong-un, rassegnati.