Il Corvo: la rivoluzione visiva degli anni '90, l'incidente sul set, le origini del mito

Uno speciale dedicato a Il corvo, di cui uscirà il remake

di Chiara Poli

È una coproduzione di Stati Uniti e Gran Bretagna, e arriverà al cinema il prossimo giugno.

Trent’anni dopo l’adattamento con Brandon Lee, che gli costò la vita, ritorna Il corvo - tratto dall’omonima graphic novel di James O’Barr.

Protagonisti saranno Bill Skarsgård (Pennywise in It) nei panni di Eric Draven, la cantante e musicista britannica FKA twigs in quelli della sua fidanzata Shelly e Danny Houston (30 giorni di buio) a guidare i cattivi della situazione.

Io non so come sarà il “nuovo” Corvo, se sarà diverso nella trama e nelle atmosfere, se sarà più o meno fedele ai fumetti da cui è tratto. So solo che non sono impaziente di vederlo.

Mentre Il Corvo del 1994, quello di Alex Proyas (Dark City, I, Robot), l’ho visto al cinema per tre volte.

Perché rappresentava alla perfezione l’estetica del cinema negli anni ’90.

L’estetica ribelle degli anni ’90, le ragioni di un cult


Il corvo, Pulp Fiction, Assassini Nati. Perché anche Il corvo rientrava in quella rivoluzione visiva e narrativa che avrebbe cambiato per sempre ciò che si poteva e non si poteva mostrare in un film.

Un film che spopolava grazie al passaparola, in un'epoca pre-social (e pre-internet).

Per la colonna sonora dei Cure, perché era una storia di vendetta, una storia dark piena di frasi destinate a fare storia e di immagini che rientravano appunto nella corrente “ribelle” di Assassini Nati e Pulp Fiction, di Leon e Serial Mom - La signora ammazzatutti. Oliver Stone, Quentin Tarantino, Luc Besson, John Waters. Tutti grandi autori che avevano scelto di mostrare ciò che prima era tabù: la violenza. La rabbia. La vendetta. L’odio (anche il film di Kassovitz sarebbe uscito a breve).

Queste furono le ragioni del successo del della trasformazione in un cult. Ma ad attrarre parte del pubblico era stato un ventottenne, figlio di una star del grande schermo, che per la prima volta si approcciava a un ruolo diverso da quelli che avevano reso celebre il padre e con cui aveva esordito anche lui con pochi titoli, fin da giovanissimo, morto sul set.

Con conseguente molto discussa decisione, all'epoca, di utilizzare la computer graphic per digitalizzare Brandon Lee, consentendo al regista di finire il film.

Oggi riesumano James Dean per uno spot pubblicitario. Ma nel 1994 non erano ancora stati usati gli effetti speciali digitali per sostituire un attore morto. Era la prima volta.

Molti andarono al cinema perché erano curiosi. Provano a riconoscere il “vero” Brandon da quello digitale. Ma c’era anche molto altro.

Non può piovere per sempre


Ci sono diverse frasi di diverse film che sono diventati tormentoni nella vita reale. Alcune sono legate al film e al contesto. Raramente un tormentone che tutti hanno trasformato in una frase di uso quotidiano non viene da un film diventato un classico del cinema.

“Domani è un altro giorno”, “Nessuno è perfetto”, “Potrebbe essere peggio, potrebbe piovere” e qui mi fornisco l’attacco per Il Corvo: “Non può piovere per sempre”.

Se Via col Vento e A qualcuno piace caldo ci hanno regalato due frasi iconiche  che racchiudono due perfette chiusure, Frankenstein Junior ci ha insegnato a ridere della sfortuna. Ma Il Corvo ha fatto di più.

Ha preso la pioggia e l’ha trasformata nel sinonimo di quei momenti in cui va tutto male. Il mondo è un posto ostile e spaventoso. E piove, mentre con il sole perfino i luoghi più inquietanti hanno tutto un altro aspetto.

Già quanto ho scritto finora dovrebbe bastare per spiegare il “fenomeno” Il Corvo, con tre perdibilissimi sequel che - diciamolo - si sono visti solo i fan del film di Proyas e una serie TV canadese che scimmiottava il film e per questo non piacque a molti.

E ora arriva un remake di cui credo che nessuno, francamente, sentisse urgente bisogno.

Sappiamo che ormai non esiste più niente di “sacro”, ma per tutte le ragioni che vi ho raccontato si sarebbe potuto pensarci un attimo, prima di andare a toccare qualcosa che ha coinvolto anche la morte di un giovanissimo attore, e che è stato ispirato da un lutto. Il personaggio di Shelly infatti è ispirato alla fidanzata di O'Barr, uccisa  giovanissima da un ubriaco al volante.

L’incidente sul set: la morte di Brandon Lee


L’ultimo caso, in ordine cronologico, è stato quello del discusso film prodotto e interpretato da Alec Baldwin, Rust. Una morte sul set perché le pistole non erano caricate a salve, come previsto, bensì con proiettili veri. Come nel caso di Law & Order: Los Angeles, con il ritrovamento sul set di una pistola vera con proiettili veri. Prontamente consegnata dalla produzione alla polizia per scoprire se fosse anche stata usata in qualche crimine. Nessuno ha mai saputo spiegare davvero come fosse finita sul set.

E come, naturalmente, il più celebre caso di un’arma caricata con colpi mortali su un set: il caso de Il corvo.

Il primo e più celebre utilizzo della computer graphic per sostituire un attore. Il protagonista, Brandon Lee - figlio di Bruce Lee e Linda Lee Cadwell - ucciso da un colpo di pistola sul set del film destinato a diventare un cult.

E non certo, come abbiamo visto, per l’omicidio di Lee sul set.

Il 31 marzo del 1993, durante le riprese in cui Eric Draven viene ucciso dai delinquenti che lo aggrediscono quando Eric rientra e li trova mentre finiscono la sua fidanzata Shelly (Sofia Shinas), dopo averla picchiata e stuprata.

Funboy (Michael Massee) impugna un revolver Smith & Wesson 629, calibro 44 Magnum. Come tutte le altre armi sul set, il revolver avrebbe dovuto utilizzare proiettili a salve. Ma era caricato con cartucce vere modificate, a cui il reparto degli effetti speciali aveva tolto la polvere da sparo. Senza controllare la canna prima di inserire i colpi a salve.

Come funzionano i colpi a salve e quale fu l’errore: la pistola


Nei proiettili a salve, restano presenti l’innesco con un minimo di polvere da sparo, coperta di solito da un tappo di carta. Manca il proiettile, cioè la parte “proiettata” fuori: la pistola “spara”, fa rumore e mostra il lampo del colpo, ma non fa uscire nulla che possa colpire il bersaglio.

Per girare una scena in cui il proiettile fosse visibile all’interno della canna della pistola, era stato prima utilizzato un proiettile svuotato dalla polvere da sparo, e premuto il grilletto. Il proiettile si era così separato dal bossolo, rimanendo incastrato nella canna: l’innesco non era infatti sufficientemente potente a farlo uscire, come previsto.

In seguito, nel caricatore sono stati inseriti i colpi a salve che, come abbiamo visto, contengono la polvere per l’innesco.

Nessuno ha controllato la pistola prima di esplodere il colpo a salve. Se qualcuno l’avesse fatto, si sarebbe accorto del proiettile presente nella canna. Proiettile che, con l’innesto del colpo a salve, è stato sparato contro Brandon Lee, colpendolo all’addome.

Brandon Lee, secondo il copione, sarebbe dovuto cadere in avanti, a faccia in giù. Ma l’attore, realmente colpito, è caduto all’indietro. Il regista ha dato lo stop alla scena, ma Lee - ancora vivo ma privo di sensi - non si muoveva.

Ci fu il pronto intervento del medico sempre presente sul set. Il dottor Baisey, non vedendo il sanguinolento dall’addome, era convinto che l’attore avesse sbattuto la testa cadendo. Nonostante il ricovero d’urgenza all’ospedale più vicino, l’intervento chirurgico di 6 ore per rimuovere il proiettile e i tentativi di rianimazione, Brandon Lee non riprese mai conoscenza. Era già morto pochi istanti dopo aver ricevuto il colpo, prima ancora di arrivare in ospedale.

Il procuratore Jerry Spivey, chiamato a decidere dopo le indagini della polizia sull’incidente, dichiarò che la morte di Brandon Lee era dovuta a negligenza, aggiungendo:

“Non c’è alcuna indicazione dal rapporto investigativo che qualcuno abbia ferito intenzionalmente Brandon […] C’è negligenza grave. Ma non ravvedo ora negligenza colposa, quella che mostra un totale disprezzo per la sicurezza umana e che secondo la nostra legge sarebbe omicidio colposo”.

Nessuno venne quindi accusato penalmente per la morte di Brandon Lee. La società di produzione fu multata e quando la madre di Brandon, Linda Lee Cadwell, fece causa a 14 persone per la morte del figlio, non si arrivò mai al processo: ci fu un accordo a porte chiuse, con un risarcimento economico e nessun’altra conseguenza.

Proyas, sconvolto, aveva deciso di lasciar perdere il film. Non voleva più saperne. Ma Linda Lee e la fidanzata di Brandon, Eliza, lo convinsero a ultimare le riprese. Mancava appena una settimana alla conclusione, e Proyas utilizzò gli effetti digitali per ricreare il personaggio di Brandon Lee per le poche scene mancanti.

Alex Proyas fece inserire la celebre dedica “A Brandon ed Eliza”, che si sarebbero dovuti sposare pochi giorni dopo la fine delle riprese, nei titoli del film.

Brandon Lee è stato sepolto accanto al padre Bruce. Sulla sua lapide è inciso un brano tratto da Il tè nel deserto di Paul Bowles, che Brandon Lee aveva citato poco prima di morire, durante un’intervista:

Poiché non sappiamo quando moriremo, si è portati a credere che la vita sia un pozzo inesauribile; però tutto accade solo un certo numero di volte, un numero minimo di volte. Quante volte vi ricorderete di un certo pomeriggio della vostra infanzia, un pomeriggio che è così profondamente parte di voi che senza neanche riuscireste a concepire la vostra vita - forse altre quattro o cinque volte, forse nemmeno. Quante altre volte guarderete levarsi la luna - forse venti - eppure tutto sembra senza limiti.