George Lucas si racconta a Cannes: "Ho dovuto accettare che Star Wars fosse imperfetto"

George Lucas racconta il suo cinema al pubblico del Festival di Cannes 2024: dai primi passi all scuola di cinema al successo di Star Wars.

George Lucas si racconta a Cannes Ho dovuto accettare che Star Wars fosse imperfetto

Sala Debussy è stracolma, il brusio inarrestabile: si va verso il tutto esaurito per il rendez-vous con George Lucas, ospite d'onore e seconda Palma onoraria del Festival di Cannes 2024. In un panel dedicato, il regista ha ripercorso i suoi inizi nel mondo del cinema e le scelte che l'hanno portato a diventare il regista di una delle saghe di culto della storia del cinema. 

Dalla scoperta della fotografia, all'amicizia con Francis Ford Coppola e Steven Spielberg ai litigi con Universal sul montaggio di American Graffiti, fino all'intuizione di mantenere per sé i diritti di sfruttamento sul merchandise dei suoi film, che l'ha reso ricco. 

Così come avvenuto per il panel con Meryl Streep, abbiamo seguito l'evento in diretta qui su GameSurf, aggiornando domanda dopo domanda il report completo delle dichiarazioni del regista. 

Rendez-vous con George Lucas a Cannes 2024

All’epoca hai creato un gruppo di lavoro che fondò la nuova Hollywood, che cambiò la storia del cinema commerciale. Avevate previsto questo successo? 

All’epoca io, Francis…eravamo concentrati a cercare di fare film, non di fare soldi con i film. Amavamo davvero il cinema, anche se non sapevamo ancora molto di come farli e quando parlavamo con gente dell’ambiente ci diceva che non ne eravamo in grado. Quello era un periodo particolare per Hollywood. Chi aveva fondato gli studios andava in pensione, le grandi compagnie come la Coca-Cola compravano gli studios. C’era bisogno di un ricambio generazionale e cominciarono ad assumere giovani diplomatici dalle scuole di cinema. Pensavano sapessimo cosa facevamo. 

Mi ricordo quando con Francis andavamo in giro con una troupe di 20 persone, in giro per l’America a cercare location per il suo film. Giravamo in un magazzino abbandonato in Nebraska. Francis capì che io volevo andare a San Francisco e mi disse: “Rimani, scrivi un film che vorresti girare”.

Poco tempo dopo andammo insieme a San Francisco, fondammo una compagnia di produzione e girammo THX. Fu un fallimento commerciale, i finanziatori volevano indietro i soldi. 

È vero che firmasti il contratto per American Graffiti qui a Cannes? 

Mi ricordo bene quella Cannes, pioveva a dirotto. Eravamo veramente fuori dal nostro elemento, io e Francis. Qualcuno qualche anno fa mi chiese perché non partecipai alla conferenza stampa di presentazione del film THX. Non sapevo nemmeno ci fosse!

All’epoca Francis mi disse “Non fare un film di fantascienza autoriale, devi fare qualcosa che venda come me, che sto preparando una cosa sugli italiani per cui pagano bene (Il Padrino NdR). Ti sfido a scrivere una commedia.” Fu quello il momento in cui scrissi American Graffiti. 

American Graffiti sembra molto legato alla tua passione per l'auto e la velocità.

La mia fissazione per le automobili risale ai tempi del liceo, in cui ero ossessionato dalla loro velocità, dal loro movimento. Mi piacevano un sacco le auto da corsa. Per qualche tempo carezzai l’idea di diventare un pilota ma non ci ero proprio tagliato, per cui tornai a concentrarmi sulla fotografia.

Anche anni dopo, a seguito del mio divorzio, dopo che ero diventato un padre single di 3 figli (uno naturale e due adottati) continuai a sentire il richiamo delle corse. Mi ha fermato solo la consapevolezza della disperazione di quelli intorno a me, preoccupati che morissi  in un incidente.

Non fu facile per te trovare qualcuno che producesse American Graffiti.

È un film basato su una fantasia, all’epoca volevo fare un film come negli anni ‘40. Francis stava girando Il Padrino. Per lui fu un periodaccio per lui, lo studios gli imponeva scelte stilistiche contro cui lui doveva lottare tutti i i giorni. Io dormivo nel suo appartamento insieme alla moglie di Francis, che era incinta. Un giorno lui era convinto che sarebbe nato il figlio, era il giorno del mio compleanno! 

Venni a Cannes, provai a propormi per questo progetto intitolato Flashforward, ma mi dissero che volevano Fellini. Realizzai che non volevo girarlo veramente, volevo girare una cosa mia.

Proposi a tutti American Graffiti, sull’onda di Easy Rider. Girai gli studios per anni, finché dopo tantissimi no Universal disse forse. Francis lo spinse come un film per i giovani. Alla fine strappai un mese di riprese, 150mila dollari. Alla fine Universal mi disse di sì, ebbi una buona produzione. 

Non finì lì però la tua lotta con gli studios.

Io e Francis però dovemmo combattere, perché quando mostrammo il montaggio finale ci dissero dallo studio che non aveva qualità, non era all’altezza della distribuzione cinematografica. Francis era arrabbiatissimo, lottò per me e per il film. Il reparto marketing arrivò a considerare l’idea di proporlo per la TV, all’epoca non era un’opzione prestigiosa. 

Alla fine riuscimmo a ottenere un’uscita in sala, ma scelsero una data da suicidio, in bassissima stagion: agosto, in 42 sale. Il successo di American Graffiti fu strepitoso: rimase in sala per oltre un anno, fece più di 100 milioni di dollari, mentre dallo studio pensò di non ricavarci niente. 

Devo riconoscere però che prima che arrivasse in sala, uno degli executive dello studio Fox mi si avvicinò a una delle ultime proiezioni per l’industria del film. Si avvicinò e mi disse una cosa che forse si è sentito dire solo Kubrick. Mi disse: “Voglio lavorare con te, farò quello che vuoi come progetto” e io gli parlai della mia matta fantasia fantascientifica. Il resto dell’ambiente di Hollywood però mi disse che era un film stupido, che nessuno l’avrebbe visto. 

Il successo commerciale di American Graffiti permise la nascita di Star Wars.

American Graffiti fece un incasso tale che fui il primo ad avere una fetta dei ricavi netti e a fare i soldi veri. Solo le grandi star con una fetta dei ricavi lordi diventavano ricche. Io all’improvviso ero il nome più caldo di Hollywood, tutti mi volevano. 

Io però stavo scrivendo Star Wars, non volevo ripetere gli stessi errori. Volevo godere del successo dei miei film. Per questo andai da un avvocato e gli dissi: “Devi scrivermi un contratto.” A ispirarmi furono gli eventi come il Comic-Con, le convention di Star Trek. Io ottenni di avere una parte dei ricavi su magliette, giocattoli, merchandise. Lo sfruttamento del film durante molto meno, i soldi si danno con i gadget, con i diritti delle colonne sonore, no?

Il piano era quello di ottenere un successo tale da garantirmi un sequel, perché il primo script era talmente lungo e complesso che avrebbe richiesto più film. Quindi con un piccolo team cominciai a girare le fiere, a vendere il merchandise ancor prima di finire il film. Quando uscì nelle sale, c’erano già fan con le magliette. Gli studios all’epoca non capirono il potere del licensing; io sì.

Oggi sarebbe impossibile, non pensi?

Mi sono ritirato da 10 anni, non saprei. Posso dire che c’è sempre un momento in cui, per qualche motivo, gli studios sono pronti a buttarti soldi addosso. È successo all’inizio dell’era dello streaming. 

Alla scuola di cinema ti insegnano come prima cosa che non si fanno i soldi, mai. Si perdono i soldi, meglio non investire nei propri progetti. Io però penso bisogna avere solo una qualità: persistere, persistere. Quando James Cameron diede allo studios la sua fetta di diritti pur di fine Titanic, la cui produzione era in ritardo e più costosa del previsto, gli dissi che era pazzo. Se stai già girando e sei a metà strada, non ti chiuderanno. 

Alle volte gli studios proprio non capiscono che dare scadenze, dire “tre settimane e poi ti chiudiamo tutto” è controproducente. È meglio sforare un po’, portare a casa il progetto. 

Anche tu, quando ne hai avuta la possibilità, sei tornato a ritoccare i tuoi film, suscitando anche scontento da parte dei fan.

Io non credo nel perfezionismo, per finire Star Wars ho dovuto fare pace con un sacco di difetti, di imperfezioni. Solo se eri Kubrick, all’epoca, potevi ottenere di girare alla perfezione prima di arrivare in sala, così come volevi. Per questo con l'avvento degli effetti visivi per me si è aperta un'era entusiasmante. Mi hanno permesso di tornare indietro, di sistemare cose che magari il pubblico non vede, ma che per me erano rimaste come dei nei, delle macchie sullo schermo.

Alcuni vorrebbero che tu pubblicassi un Blu-Ray le versioni originali dei primi tre film, senza i tuoi interventi successivi. 

Su insistenza dei fan abbiamo pubblicato la versione originale di Star Wars, senza i miei interventi, in laser disk. Il commento più gettonato è stato: “Ma sono tremendi!” Io ho pensato: “lo so!”.

Le versioni modificate mi hanno permesso di finirli come volevo all'epoca, ma non potevo fare. C'erano problemi di continuity, l'aspetto di Jabba era un enorme compromesso pur di portare a casa il film, poneva anche problemi per le sue apparizioni successive. Questi film non li ho fatti “brutti” apposta, come pensano alcuni. Anzi, ho pagato 6 milioni di dollari a film per permettervi di vedere come erano, per capire cosa non andava. Alla luce del progresso tecnologico di oggi, io credo fermamente che un regista debba avere la possibilità di vedere il film così come immaginato, se ce la possibilità di farlo. 

Ti ricordi come hai reagito sentendo la colonna sonora di John Williams, l'iconico tema di Star Wars, per la prima volta?

Star Wars era pensato come un film degli anni ‘40, nella sua interezza. Mi dissero che potevo avere una colonna sonora rock, dato che andava di moda all'epoca. Io dissi fermamente di no. Volevo addirittura che ogni personaggio avesse un tema, come avviene nelle composizioni di musica classica come Pierino e il lupo.

Quando si cominciò a parlare della colonna sonora, Steven (Spielberg NdR) mi convinse sul nome di John Williams.  Mi lasciai persuadere, ma ero scettico, sapevo che era un compositore che veniva dal jazz.

Andai a sentire la colonna sonora dove la stavano registrando. Il primo film lo girammo a Londra, la colonna sonora venne suonata agli studi di Abbey Road. Quando la sentii suonata da un’orchestra, ne rimasi sconvolto in senso positivo. Era esattamente quello che volevo.

La colonna sonora è un investimento importantissimo in un film, uno sottovalutato ma molto redditizio. La parte sonora del film, dalle musiche al missaggio, costa infinitamente meno della produzione delle immagini, Incide poco nell’economia finale di un film, ma pesa per quasi la metà nella percezione dello spettatore. Io ho sempre pensato che quelle musiche siano state cruciali per il successo del film e che gli studios sbagliassero a investire così poco nelle colonne sonore.