Frankenstein è il mostro che Guillermo del Toro ha sognato per 30 anni: genesi e curiosità sul film

Dagli schizzi da bambino alle riletture adolescenziali di Shelley, ecco come Del Toro ha lavorato per tre decenni al suo Frankestein presentato a Venezia.

di Elisa Giudici

Molto più di un semplice adattamento del celebre classico della letteratura gotica di Mary Shelley: il Frankenstein di Guillermo del Toro è un’opera profondamente personale, che riflette l’immaginario e le ossessioni del regista messicano giunto alla sua piena maturità artistica.

Tra i tanti mostri che popolano la sua filmografia - La spina del diavolo, il labirinto del fauno, la forma dell’acqua - questo è sicuramente il più desiderato e il più difficile da portare sullo schermo. Un progetto che affonda le radici in oltre cinquant’anni di passioni, disegni, tentativi e rinunce, che Del Toro ha raccontato alla presentazione del film al Lido.

Le origini di un’ossessione

Il primo incontro di Del Toro con il mito di Frankenstein risale al 1971, quando a soli sette anni rimane folgorato dalla visione del classico del 1931 diretto da James Whale, con l’attore Boris Karloff nei panni della Creatura.

Qualche anno dopo, ad appena undici anni, legge per la prima volta il romanzo di Mary Shelley: un colpo di fulmine destinato a trasformarsi in ossessione. Il giovane Guillermo lo rilegge di continuo, riempiendo quaderni di appunti, schizzi e idee che nel tempo andranno a costituire la base della sua creatura. Negli anni della formazione da regista e del suo ingresso nel mondo del cinema, Del Toro lavora già al design del mostro ispirandosi alle illustrazioni di Bernie Wrightson. Il lavoro al look della sua creatura s’intensifica ulteriormente dopo l’arrivo a Hollywood: Del Toro insomma non smette mai di coltivare l’idea di un suo Frankenstein, anche quando il progetto esiste solo nella sua testa.

Il sogno sembra pronta a realizzarsi nel 2007. Universal lo contatta per girare una nuova versione del mostro di Shelley e Del Toro accetta entusiasta. Tuttavia il progetto sfuma presto, sacrificato dall’ambizioso e fallimentare tentativo dello studio di lanciare un Dark Universe basato sulle creature che fecero la fortuna di Universal a inizio secolo (L’uomo invisibile, Il mostro della Laguna nera, la moglie di Dracula): la costruzione di un rinascimento dei mostri Universal però naufraga sul nascere con il flop di La Mummia con protagonisti Sofia Bautista e Tom Cruise.

Nel frattempo Del Toro si afferma con film premiati e amati, come La forma dell’acqua (vincitore di Leone d’Oro e Oscar), ma non rinuncia al sogno. Quando Netflix gli propone di finanziare il film imponendo vincoli creativi, ha investito così tanto tempo ed energia creativa nella sua idea che rifiuta la proposta, non avendo carta bianca su budget e direzione artistica. Preferisce presentare al gigante dello streaming un progetto per realzizare il suo Pinocchio animato, che si rivelerà un grande successo. Solo dopo, con il riconoscimento ormai consolidato, Del Toro trova da Netflix il via libera in termini economici e creativi per affrontare il suo Frankenstein.

Anche dopo il via libera, la genesi del film non è stata priva di ostacoli. Inizialmente la Creatura avrebbe infatti dovuto avere il volto di Andrew Garfield. Del Toro e il truccatore Mike Hill sviluppano un design attorno alla sua fisicità, ma dopo nove mesi di lavoro in questa su misura l’attore si ritira a causa di un conflitto di impegni provocato dal lungo stop legato allo sciopero degli sceneggiatori a Hollywood. Subentra così Jacob Elordi, giovane star in ascesa e imponente nella sua statura, che costringe a ripensare completamente l’estetica del mostro.

Elordi si sottopone a otto mesi di trucco quotidiano, dieci ore al giorno, durante le riprese in Canada. Un’esperienza che, a suo dire, lo ha aiutato a entrare nella psicologia del personaggio, sentendosi protetto dall’involucro della creatura e libero di mostrarsi vulnerabile.

Frankenstein come confessione

Del Toro ha spesso sottolineato come il suo film non voglia essere un adattamento fedele, ma uno specchio personale.Come Mary Shelley riversò nel romanzo paure ed esperienze della sua vita, così il regista dichiara di aver cercato la stessa sincerità:

“Il mio dovere era essere altrettanto confessionale e sincero. Il libro è lì, sullo scaffale. Il film è sullo schermo. Se ho fatto bene il mio lavoro, ne riconoscerete lo spirito. Il film chiede: cosa significa essere umani in un tempo di tecnologia accelerata, di disinformazione, di guerra?”

Come in gran parte del suo cinema, anche qui emerge una forte impronta morale. Il film inserisce un potente messaggio antibellico: Victor Frankenstein è finanziato da un nobile arricchitosi con il commercio di armi, e la guerra diventa lo sfondo su cui si intrecciano scienza, denaro e corpi violati.

Allo stesso tempo, il cuore della storia resta il legame tra creatore e creatura. Un rapporto padre-figlio fatto di amore, violenza e riconoscimenti reciproci, che riflette uno dei grandi temi della poetica di Del Toro.

Accanto a Victor e alla Creatura, spicca il personaggio interpretato da Mia Goth. In linea con la tradizione delle eroine del regista, è una donna che non teme i mostri ma anzi instaura con loro una connessione profonda. Moderna e indipendente pur dentro i canoni dell’epoca, studiosa di entomologia, è la prima a riconoscere l’intelligenza emotiva della Creatura, percependone l’umanità.