David Fincher racconta The Killer: "Tra sicari e registi ci sono molti punti in comune"

David Fincher racconta a Venezia il dietro le quinte di "The Killer", tra musica, ansie contemporanee e una buona dose di humour nero.

David Fincher racconta The Killer Tra sicari e registi ci sono molti punti in comune

David Fincher arriva alla conferenza stampa di The Killer di buon umore, circondato dalla squadra tecnica del film. Il protagonista Michael Fassbender e Tilda Swinton, le due star del cast, sono assenti causa sciopero degli attori a Hollywood. 

Non mancano di certo le domande al regista, che spaziano dalla lavorazione di un film connesso al suo passato ma più sperimentale del solito a qualche battuta sul presente di Hollywood e sul suo modo di leggere la contemporaneità.

Puoi anche leggere la recensione di The Killer.

David Fincher racconta The Killer:

Qual era il tuo obiettivo stavolta nel raccontare un personaggio sociopatico, un criminale di questo tipo?

Ero interessato all’idea di un killer che vive in modo tangibile nel nostro mondo. In fase preliminare abbiamo parlato di James Bond, “The Accountant”… volevamo che fosse una cosa differente. Ho notato che sembra esserci uno stile preciso anche nell’arredamento delle case di questi serial killer, nelle serie e al cinema.

Con questo film mi interessava far capire che la nostra epoca è perfetta per un sociopatico, perché i social e la tecnologia aiutano a dissociarsi. Non sapevo nemmeno, prima di cominciare a girare, che esistesse un McDonald’s che è solo una finestra: ordini via app, ritiri il tuo cibo, interagisci il minimo e te ne vai.

L’ultima cosa che cercavo era la creazione di un senso d’empatia con il sicario di Michael Fassbender. Volevo qualcuno che non spaventasse da subito, lo scopo non era terrorizzare. La mia speranza è che "The Killer" renda lo spettatore nervoso rispetto alla persona dietro di lui in fila mentre fa acquisti al negozio di bricolage, giorni dopo.

Questo film in qualche modo è molto semplice: è un dramma diretto, molto procedurale, nel senso vero della parola. Non è però un film sull’assassino, è più un film sulla vendetta, di genere. È anche la storia di un uomo che uccide persone che non centrano nulla col mantra che si ripete in testa. Il mantra è una sorta di personaggio: si interrompe, interagisce in qualche modo con il resto dei personaggi. Michael ha amato questa idea e ci ha aiutato a farla prendere forma.

Hai rivelato che non avresti fatto "The Killer" senza Michael Fassbender e hai dovuto aspettarlo perché aveva l’agenda piena. Era davvero così insostituibile?

Michael è perfetto per il ruolo: ha una serie di capacità recitative che lo rendono un attore davvero eccellente. Inoltre riesce a gestire bene le grandi produzioni. Prima di "The Killer" l'ho visto interpretare benissimo personaggi robotici e persone che sono strumenti senz'anima, che entrano in realtà molto limitanti e sopravvivono. Siamo stati fortunati ad averlo, lui era molto impegnato e ci siamo dovuti arrangiare tra pandemia e stagione dei premi. Se non fossimo riusciti a girarlo in quella finestra di tempo, lo avrei rimandato ancora. Ormai non riuscivo più a vedere questo film, che volevo fare da anni, senza di lui.

Ha dato una mano attiva alla realizzazione, ha influenzato il film. A un certo punto il killer ha bisogno di duplicare una carta elettronica. Michael ha suggerito che cercasse qualcosa su Amazon, ma eravamo dubbiosi sulla possibilità che esistesse qualche aggeggio simile a disposizione del semplice cittadino. Michael prende il telefono, fa una veloce ricerca e 10 secondi dopo scopriamo che non solo esistono 20 modelli differenti di questa tecnologia, ma costano tutti meno di 20 dollari.

In effetti ha questo sguardo senza vita, privo di luce. È impressionante.

Una descrizione ricorrente del suo personaggio è che la luce è stata risucchiata dai suoi occhi. "The Killer" vuole essere il ritratto di un autentico sociopatico, perciò volevo mostrare quest’uomo senza rivelare niente, così come è l’iterazione con un sociopatico nella realtà. Ci sono solo alcuni elementi che ci aiutano ad immaginare la sua interiorità.

In questo senso ti è tornata utile l’esperienza televisiva con Mindhunter?

Si può dire di sì. Ai tempi di Mindhunter ho fatto tutto il lavoro di ricerca preliminare necessario per raccontare su schermo personaggi sociopatici. Per essere sociopatico lui deve avere dei difetti, delle mancanze che devi mostrare affinché possa definirsi un ritratto realistico. E no, non farò un’altra stagione di Mindhunter: per me è un capitolo chiuso.

David Fincher racconta The Killer:

In "The Killer" il voice over è un elemento costitutivo del film. Cosa ti ha dato l’idea per questo utilizzo innovativo della voce interiore del personaggio?

Ho già usato i voice over precedentemente nei miei film, è uno strumento che aiuta a creare monologhi interiori. Mi piace l’idea di seguire in questo modo un uomo che uccide. Mentre fa gli appostamenti, mentre si prepara a commettere un omicidio, sentiamo la voce nella sua testa. Questo killer è caratterizzato dai codici di comportamento che ha stabilito tanto quanto dalle bugie che si racconta. È il tipo di persona che dice che rimarrà fedele al suo piano ma poi finisce spesso per improvvisare.

Penso che lo spazio tra i suoi mantra mentali e il comportamento che è costretto ad assumere sia dove vive il film, l’intero film. Siccome il voice over è così sicuro, così confidente, fa da guida anche a livello ritmico. Quando per qualche motivo la sua voce interiore s’interrompe o perde sicurezza, cambia anche come il film è girato, compresa la luce, il montaggio. Con il direttore della fotografia Messerschmidt non abbiamo tanto parlato del look del film. Eravamo più concentrati a decidere cosa mettere e cosa togliere dall’inquadratura.

Anche a livello di costruzione sonora ci sono molte scelte controintuitive.

Volevo proprio esplorare un modo nuovo di usare il sound design. In un certo senso "The Killer" è documentaristico. Ho detto a Kayle che si occupava del sonoro che volevo che a ogni taglio di montaggio cambiasse la mappa sonora della scena. È esattamente il contrario del film medio che cerca omogeneità. Questa scelta crea un sottile senso di disagio e aiuta a immedesimarsi nel punto di vista del sicario. Kayle mi disse che era un’idea tremenda, ma alla fine avevo ragione io: il risultato ha l’effetto sperato.

Tra le scene più memorabili del film c’è quella del combattimento fisico tra Michael e un energumeno. Pur avvenendo nell’ombra, è sorprendentemente semplice da seguire.

La natura immersiva dei film è tutto quello che mi interessa. Questo film entra addirittura nella mente del personaggio, ovvio che voglia coinvolgere lo spettatore anche negli scontri. L’ultima volta che ho girato scene di questo tipo è stato molto tempo fa, in Fight Club. Stavolta volevo che il pubblico fosse esausto, che pensasse: “moriranno entrambi dissanguati”. Volevo che tutto fosse chiaro, che il pubblico mappasse la casa ancor prima che i due comincino a combattere.

Rispetto a Fight Club il mio approccio è cambiato moltissimo in questo tipo di scene, soprattutto per come uso la musica, il movimento della cinepresa, il suono. Allora volevamo che lo scontro restituisse quasi un approccio astratto, qui cercavamo un’intimità nel combattimento.

Anche se non emettono nemmeno urla o suoni. Mi piaceva l’idea di due assassini che si fronteggiano in una casa buia. Nessuno dei due vuole che arrivi la polizia, quindi sono silenziosi perché non vogliono che arrivi la polizia prima che uno dei due finisca il lavoro e l’altro muoia.

Trent a un certo punto mi ha proprio chiesto dove erano le urla, gli ansiti. Gli ho detto che cercavo di girare “the most deadly quiet fight”.

Senza fare spoiler: tu pensi che il killer sbagli di proposito nell’esecuzione iniziale, come suggerisce il personaggio di Tilda Swinton?

Noi entriamo nei suoi pensieri del killer, ma non so se noi, non so se nemmeno lui riesca ad entrare nel suo subconscio. Non credo potremo mai sapere se voleva sbagliare o no.

Com’è stato tornare a lavorare con Tilda Swinton dopo Il curioso caso di Benjamin Button?

Tutti vogliono lavorare con lei, è un unicorno. Avevamo quest’idea di un personaggio che fosse una specie di fantasma dei Natali futuri, una versione più matura del protagonista. Lei nel film interpreta una manipolatrice, che come tutti gli altri tenta di salvarsi. Alla fine ci sono svariate scene in cui lui minaccia persone che uccidono di mestiere e ognuno di loro tenta un approccio diverso per salvarsi.

Di Tilda ho amato tutto il lavoro che fa con gli occhi quando vede il killer, la potenza di quel “oh dammit!” iniziale.

In "The Killer" c’è tanta musica degli Smiths, senza dimenticare il tuo sodalizio con Trent Reznor e Atticus Ross.

Trent e Atticus mi hanno chiamato poco prima dell’inizio del progetto, volevano tornare a lavorare con me: mi considero fortunato per questo motivo. Gli Smiths invece sono stati un’aggiunta dell’ultimo minuto, una decisione presa in post produzione. Mi piaceva che quella canzone (”How Soon Is Now?”) fosse il metodo per rilassarsi del killer.

Dato che il film non riesce a penetrare appieno il suo animo di sociopatico, che rimane sconosciuto anche e soprattutto a lui stesso, mi piaceva che fosse il suo mixtape di canzoni sull’iPod l’unico modo di entrare nella sua anima.

Tu sei noto per essere un regista maniaco del controllo… un po’ come il killer.

Penso che ci siano similitudini tra essere registi e assassini: l’utilizzo di molta tecnologia per fare bene il proprio lavoro, gli alti rischi finanziari e umani, il fatto che alla fine tutto si riduca alla decisione di fare qualcosa oppure no.

Cosa ci dici sulla paralisi di Hollywood causata dallo sciopero degli sceneggiatori e degli attori?

Sapete, ho girato questo film durante la pandemia e spero di non doverne mai fare un altro in queste circostanze. Per questo provo tristezza nel vedere che tutto si è di nuovo fermato. Capisco entrambe le parti, ho ascoltato tutte le motivazioni. Credo che l’unica cosa che possiamo fare è riaprire il dialogo.

David Fincher racconta The Killer: “tra sicari e registi ci sono molti punti in comune”

The Killer, i segreti del film svelati da David Fincher a Venezia

David Fincher racconta il film che ha girato durante la pandemia con protagonista Michael Fassbender, rivelando le somiglianze tra il mestiere e quello del sicario.

David Fincher racconta a Venezia il dietro le quinte di The Killer, tra musica, ansie contemporanee una buona dose di humour nero.

Qual era il tuo obiettivo stavolta nel raccontare un personaggio sociopatico, un criminale di questo tipo?

Ero interessato all’idea di un killer che vive in modo tangibile nel nostro mondo. In fase preliminare abbiamo parlato di James Bond, TheAccountant…volevamo fosse una cosa differente. Ho notato che sembra esserci uno stile preciso anche nell’arredamento delle case di questi serial killer, nelle serie e al cinema. Mi interessava far capire che la nostra epoca è perfetta per un sociopatico, perché i social e la tecnologia aiutano a dissociarsi. Non sapevo nemmeno, prima di cominciare a girare, che esistesse un McDonald’s che è solo una finestra: ordini via app, ritiri il tuo cibo, interagisci il minimo e te le vai.

L’ultima cosa che cercavo era la creazione di un senso d’empatia con il sicario di Michael Fassbender. Volevo qualcuno che non spaventasse da subito, lo scopo non era terrorizzate. La mia speranza è che The Killer renda lo spettatore nervoso rispetto alla persona dietro di lui in fila mentre fa acquisti al negozio di bricolage, giorni dopo.

Questo film in qualche modo è molto semplice: è un dramma diretto, molto procedurale, nel senso vero della parola. Non è però un film suill’assassino, è più un film sulla vendetta, di genere. È anche un film di un uomo che uccide persone che non centrano nulla col mantra che si ripete in testa.

Il mantra è una sorta di personaggio, s’interrompe, interagisce in qualche modo con il resto dei personaggi. Michael ha amato questo idea e ci ha aiutato a far prendere forma a questa idea.

Hai rivelato che non avresti fatto The Killer senza Michael Fassbender e hai dovuto aspettarlo perché aveva l’agenda piena. È davvero così insostituibile?

Michael è perfetto per il ruolo: ha una serie di capacità recitative che lo rendono un attore davvero eccellente. Inoltre riesce a gestire bene le grandi produzioni. Prima di The Killer gli ho visto interpretare benissimo personaggi robotici e persone che sono strumenti senz’anima, che entrano in realtà molto limitanti e sopravvivono. Siamo stati fortunati ad averlo, lui era molto impegnato e ci siamo dovuti arrangiare tra pandemia e stagione dei premi. Se non fossimo riusciti a girarlo in quella finestra di tempo, lo avrei rimandato ancora. Ormai non riuscivo più a vedere questo film, che volevo fare da anni, senza di lui.

Ha dato una mano attiva alla realizzazione, ha influenzato il film. A un certo punto il killer ha bisogno di duplicare una carta elettronica. Michael ha suggerito che cercasse qualcosa su Amazon, ma eravamo dubbiosi sulla possibilità che esistesse qualche aggeggio simile a disposizione del semplice cittadino. Michael prendere il telefono, fa una veloce ricerca e 10 secondi dopo scopriamo che non solo esistono 20 modelli differenti di questa tecnologia, ma costano tutti meno di 20 dollari.

**In effetti ha questo sguardo senza vita, privo di luce. È impressionante. ****

Una descrizione ricorrente del suo personaggio è che la luce è stata risucchiata dai suoi occhi,- The Killer vuole essere il ritratto di un autentico sociopatico, perciò volevo mostrare quest’uomo senza rilevare niente, così come è nella realtà. Ci sono solo alcuni elementi che ci aiutano ad immaginare la sua interiorità.

In questo senso ti è tornata utile l’esperienza televisiva con Mindhunter?

Si può dire di sì. Ai tempi di Mindhunter ho fatto tutto il lavoro di ricerca preliminare necessario per raccontare su schermo personaggi sociopatici. Per essere sociopatico lui deve avere dei difetti, delle mancanze che devi mostrare affinché possa definirsi un ritratto realistico. E no, non farò un’altra stagione di Mindhunter: per me è un capitolo chiuso.

In The Killer il voice over è un elemento costitutivo del film. Cosa ti ha dato l’idea per questo utilizzo innovativo della voce interiore del personaggio?

Ho già usato i voice over precedentemente nei miei film, è uno strumento che aiuta a creare monologhi interiori. Mi piace l’idea di seguire in questo modo un uomo che uccide. Mentre fa gli appostamenti, mentre si prepara a commette un omicidio sentiamo la voce nella sua testa. Questo killer è caratterizzato dai codici di comportamento che ha stabilito tanto quanto dalle bugie che si racconta. È il tipo di persona che dice che rimarrà fedele al suo piano ma poi finisce spesso per improvvisare.

Penso che lo spazio tra i suoi mantra mentali e il comportamento che è costretto ad assumere sia dove vive il film, l’intero film. Siccome il voice over è così sicuro, così confidente, fa da guida anche a livello ritmico. Quando per qualche motivo la sua voce interiore s’interrompe o perde sicurezza, cambia anche come il film è girato, compresa la luce, il montaggio. Con il direttore della fotografia Messerschmidt non abbiamo tanto parlato del look el film. Eravamo più concentrati a decidere cosa mettere e cosa togliere dall’inquadratura.

Anche a livello di costruzione sonora ci sono molte scelte controintuitive.

Volvevo proprio ersplorare un modo nuovo di usare il sound design. In un certo senso the killer è documentaristico. Ho detto a Kayle che si occupava del sonoro che volevo che a ogni taglio di montaggio cambiasse la mappa sonora della scena. È esattamente il contrario del film medio che cerca omogeneità. Questa scelta crea un sottile senso di disagio, e aiuta a immedesimarsi nel punto di vista del sicario.

Kayle mi disse che era un’idea tremenda, ma alla fine avevo ragione io: il risultato funziona.

David Fincher racconta The Killer:

Tra le scene più memorabili del film c’è quella del combattimento fisico tra Michael e un energumeno. Pur avvenendo nell’ombra, è sorprendentemente semplice da seguire.

La natura immersiva dei film è tutto quello che mi interessa. Questo film entra addirittura nella mente del personaggio, ovvio che voglia coinvolgere lo spettatore anche negli scontri. L’ultima volta che ho girato scene di questo tipo è stato molto tempo fa, in Fight Club. Stavolta volevo che il pubblico fosse esausto, che pensasse: “moriranno entrambi dissanguati”. Volevo che tutto fosse chiaro, che il pubblico mappasse la casa ancor prima che i due comincino a combattere.

Rispetto a Fight Club il mio approccio è cambiato moltissimo in questo tipo di scene, soprattutto per come uso musica, movimento della cinepresa, suono. Allora volevamo che lo scontro restituisse quasi un approccio astratto, qui cercavano un’intimità nel combatitmento.

Anche se non emettono nemmeno urla o suoni. Mi piaceva l’idea di due assassini che si fronteggiano in una casa buia. Nessuno dei due vuole che arrivi la polizia, quindi sono silenziosi perché no nvogliano arrivi la polizia prima che uno dei due finisca il lavoro e l’altro muoia.

Trent a un certo punto miì ha proprio chiesto dove erano le urla, gli ansiti. Gli ho detto che cercavo “the most deadly quiet fight”.

Senza fare spoiler: tu pensi che il killer sbagli di proposito nell’esecuzione iniziale, come suggerisce il personaggio di Tilda Swinton?

Noi entriamo nei suoi pensieri del killer, ma non so se noi o nemmeno lui riesca ad entrare nel suo subconscio. Non credo potremo mai sapere se voleva sbagliare o no.

Com’è stato tornare a lavorare con Tilda Swinton dopo Il curioso caso di Benjamin Button?

Tutti vogliono lavorare con lei, è un unicorno. Avevamo quest’idea di un personaggio che fosse una specie di fantasma dei Natali futuri, una versione più matura del protagonista.

Lei nel film interpreta una manipolatrice, che come tutti gli altri tenta di salvarsi. Alla fine ci sono svariate scene in cui lui minaccia persone che uccidono di mestiere e ognuno di loro tenta un approccio diverso per salvarsi.

Di Tilda ho amato tutto il lavoro che fa con gli occhi quando vede il killer, la potenza di quel “oh dammit!” iniziale.

In The Killer c’è tanto musica degli Smiths, senza dimenticare il tuo sodalizio con Trent Reznor e Atticus Ross.

Trent e Atticus mi hanno chiamato poco prima dell’inizio del progetto, volevano tornare a lavorare con me: mi considero fortunato per questo motivo. Gli Smiths invece sono stati un’aggiunta dell’ultimo minuto, una decisione presa in post produzione. Mi piaceva che quella canzone (”How Soon Is Now?”) fosse il metodo per rilassarsi del killer. Dato che il film non riesce a penetrare appieno il suo animo di sociopatico, che rimane sconosciuto anche e soprattutto a lui stesso, mi piaceva che fosse il suo mixtape di canzone sull’iPod l’unico modo di entrare nella sua anima.

Tu sei noto per essere un regista maniaco del controllo…un po’ come il killer.

Penso che si csiano similitudini tra essere registi e assassini: l’utilizzo di molta tecnologia per fare bene il proprio lavoro, gli alti rischi finanziari e umani, il fatto che alla fine tutto si riduca alla decisione di fare qualcosa o no.

Cosa ci dici sulla paralisi di Hollywood causata dallo sciopero degli sceneggiatori e degli attori?

Sapete, ho girato questo film durante la pandemia e spero di non doverne mai farne un altro in queste circostanze. Per questo provo tristezza nel vedere che tutto si è di nuovo fermato. Capisco entrambe le parti, ho ascoltato tutte le motivazioni. Credo che l’unica cosa che possiamo fare è riaprire il dialogo.

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