Il meglio e il peggio di Cannes 2024: i film top e i flop dell’edizione

Quali sono i film che rimarranno e quali vorremmo dimenticare in fretta? È tempo di pagelle: ecco i film top e i flop di Cannes 2024.

Il meglio e il peggio di Cannes 2024 i film top e i flop delledizione

n attesa dell’assegnazione della Palma d’Oro in serata, è partito il conto alla rovescia per la chiusura del Festival di Cannes 2024. In attesa di scoprire chi verrà premiato dalla presidente di giuria Greta Gerwig, è arrivato il momento di tracciare un bilancio di questa edizione di Cannes.

Ovvero siamo al momento delle pagelle, in cui si dividono i film tra buoni e cattivi, stilando una sorta di classifica di top e di flop di quanto visto in Croisette. Solitamente il Festival di Cannes è un ottimo termometro per capire come sarà l’annata cinematografica e individuare alcune delle grandi pellicole che poi saranno protagoniste in autunno della scena e della corsa agli Oscar.

L’impressione quest’anno è che i grandi film non siano passati in Croisette, con alcune lodevoli eccezioni. In termini generali, il concorso ha tardato a prendere il volo, i grandi nomi molto attesi hanno deluso ancora più del solito e, con l’eccezione di un pugno di pellicole, è stata un’annata di qualità medio-bassa.

La politica, nonostante le previsioni, è stata più presente del previsto, dall’Iran alle imminenti elezioni in Europa e negli Stati Uniti, richiamate da alcuni film presentati. Le registe e i film dichiaratamente femministi hanno regalato le emozioni più belle dell’edizione. Il sesso, sempre più vituperato a livello mainstream, è stato protagonista di alcune delle pellicole migliori del Festival, confermando che, anche se alcuni non vorrebbero più parlarne, rimane un argomento su cui c’è ancora tantissimo da dire. Per saperne di più, puoi leggere anche il nostro toto Palma di Cannes 2024.

Continua a leggere per scoprire i top e flop dal Festival di Cannes 2024:

I film migliori visti a Cannes 2024

Se sarà ancora una donna a vincere la Palma, facendo il bis dopo Justine Triet nel 2023, sarà una vittoria più che meritata. Tra i film più belli e memorabili dell’edizione ci sono infatti quelli diretti dalle registe in concorso.

La sorpresa più dirompente è stata quella di The Substance della francese Coralie Fargeat. Un body horror eccessivo e amante del grottesco, che indaga senza mai troppo prendersi sul serio l’ossessione di Hollywood per la giovinezza e i corpi sodi. Qualley e Moore brillano anche quando se le danno di santa ragione. Non è il capolavoro di contenuti che qualcuno acclama, ma è decisamente un grande secondo film.

In direzione diametralmente opposta si muove il quieto, pacato ma intenso All We Imagine as Light della regista indiana Payal Kapadiya. Un film che si prende i suoi tempi per intessere un racconto femminile in un’India quotidiana, affolata, talvolta sfiancante, ma riesce alla fine a coinvolgere emotivamente nel profondo.

Due dei ritratti femminili più belli dell’edizione li hanno però diretti due uomini. Emilia Pérez è l’ennesimo, grandissimo film diretto dal maestro francese Jacques Audiard, che gira un musical tra i cartelli del narcotraffico pieno di ambiguità morale, in cui sboccia anche un racconto di transizione toccante e ottimamente recitato.

Bellissimo, disinibito e dall’energia inesauribile anche il ritratto di una giovane stripper statunitense di seconda generazione che finisce per legarsi al figlio viziato di un oligarca russo: Anora è forse il film più folgorante dell’edizione e il merito va a un Sean Baker che nasconde le sue carte più preziose per tutto il film, coronando in un finale da storia del cinema per intensità e potenza. E complimenti per aver puntato su due rivelazioni come Mikey Madison e Jurij Borisov.

Sul fronte autoriale più spinto, non hanno deluso due nomi: Grand Tour di Miguel Gomez è un puro distillato di cinema portoghese, che viaggiano per tutta l’Asia infrange le barriere del tempo e dello spazio, racconta una delle storie d’amore dal peggior tempismo mai viste al cinema. Motel Destino dimostra ancora una volta quanto sia imprevedibile Karim Aïnouz, che tira fuori un noir a luci neon che sa un po’ di Refn, intriso di sensualità e violenza, in attesa di vederlo misurarsi con il remake de I pugni in tasca di Bellocchio.

Arrivava da grande favorito e punta a un premio di peso l’iraniano The Seed of the Sacred Fig di Mohammad Rasoulof. Un film che per ambizione, lunghezza e risultato finale mai si direbbe girato in clandestinità, che parte da un ritratto dell’asfissiante dittatura iraniana e via via mette in luce una dimensione prevaricatrice esistenziale. La ribellione sui social dei giovani e delle donne coincide con quella di una madre e di due figlie intrappolate in una famiglia deteriorata dal peso dei segreti.

I film peggiori visti a Cannes 2024

Sfortunatamente bisogna annoverare i film italiani tra i meno soddisfacenti dell’edizione. Seppur non del tutto naufragato, Parthenope è una mezza delusione anche per i fan di Sorrentino. C’è dentro molto di buono, ma anche poco di nuovo e un approccio molto vecchio alla prospettiva femminile che vorrebbe portare con sé. Forse è ora di cambiare aria, di lasciare Napoli almeno per un po’.

La produzione italiana Marcello Mio aveva tra le carte migliori dell’edizione: la possibilità di raccontare dal di dentro una famiglia leggendaria come quella formata da Marcello Mastroianni e Catherine Deneuve, attraverso il “Mastroianni drag” della figlia Chiara. A esclusione di un paio di momenti davvero intensi, Christophe Honoré non riesce a mettere a frutto l’eccezionale occasione di indagare i fantasmi di questa famiglia, del divismo, del lutto.

Un po’ tutti i grandi vecchi del cinema hanno deluso in questa Cannes, a partire dall’attesissimo ritorno di Francis Ford Coppola. Se ne possono giusto apprezzare l’entusiasmo, le buone intenzioni, ma Megalopolis ha davvero poco da dire e a livello visivo è davvero sotto-prodotto, mal fatto.

Meno male che la salute di Paul Schrader è migliorata e quindi Oh, Canada! non rischia di essere il suo film di commiato, perché sarebbe davvero una chiusura mesta e non all’altezza della forza emotiva e spirituale del suo cinema, anche se Richard Gere probabilmente ce lo propineranno anche agli Oscar.

David Cronenberg parte col botto con The Shrouds, perché affrontare al cinema un lutto che gli ha sconvolto la vita lo porta ad avere tante, tantissime cose interessanti da dire. Troppe, in ultima istanza: ne si esce sommersi, il film perde la bussola a metà e fatica a ritrovare la via, ma se ne apprezza comunque il delizioso gusto del macabro, dello humour nero, del feticismo sessuale.

Qualche menzione speciale

A sindacabilissimo parere di chi scrive, il film più bello dell’edizione non stava in concorso, ma nella sezione Cannes Premiere, dove è stato presentato Misericordia di Alain Guiraudie: un po’ Delitto e Castigo, un po’ Hitchcock, la solita capacità sovraumana di raccontare il desiderio come pericoloso. Stavolta però mettendoci dentro la volontà, umana e divina, di avere misericordia degli errori di chi si ama.

In un mondo cinematografico migliore, Anora di Sean Baker sarebbe già il film dell’anno, capace di raccontare le storture del sistema statunitense e della geopolitica mondiale partendo come una commedia romantica e un Pretty Woman con una prostituta vera, diventando poi un film alla Uncut Gems e coronando in un finale strepitoso.

Lo stesso dicasi per Emilia Pérez di Jacques Audiard, che fa un grande servizio al cinema queer, cosi come Guiraudie: dice basta a questi ritratti che hanno come presupposto il fatto che si debba parlare di minoranze sempre e solo in termini positivi e iper-elogiativi. Le persone queer moralmente ambigue esistono e, finché si farà così fatica a parlarne al cinema, significa che una piena accettazione ancora non è passata.