5 film ambientati a Parigi da vedere se avete amato Emily in Paris
Vi portiamo alla scoperta di cinque titoli che hanno rappresentato e sfruttato il fascino di Parigi in maniera più o meno iconica.
Negli ultimi giorni tutti i fan della popolare serie Emily in Paris hanno potuto assistere ai nuovi episodi della loro iconica eroina, questa volta divisa tra la città del titolo e quella Roma che è diventata la sua nuova casa. Per tutti coloro che hanno nostalgia delle atmosfere della città dell'amore per eccellenza, abbiamo deciso di preparare uno speciale con cinque titoli, tra classici d'autore e non, ambientati proprio in quei luoghi magici che il cinema ci ha raccontato in molteplici occasioni.
D'altronde esistono poche città al mondo che abbiano intrattenuto con la Settima Arte un rapporto così carnale, simbiotico e mutevole come Parigi. Culla storica del cinema, lì dove i fratelli Lumière proiettarono per la prima volta i loro sogni, non si è mai limitata al ruolo passivo di palcoscenico scenografico. Parigi è, a tutti gli effetti, una vera e propria co-protagonista: capace di mutare pelle, di farsi ora cartolina patinata per amori impossibili, ora labirinto grigio di solitudini esistenziali, ora palcoscenico onirico dove il reale cede il passo al surreale. Dalle passeggiate lungo la Senna agli appartamenti angusti della Rive Gauche, dai grandiosi boulevard ai vicoletti di Montmartre, i film ne hanno mappato ogni centimetro. In questo speciale, attraversiamo cinque decenni e cinque visioni diametralmente opposte, per scoprire come la stessa città possa contenere infiniti mondi, riflessi nello sguardo di altrettanti grandi autori.
Fino all'ultimo respiro (1960, Jean-Luc Godard)
È l'anno zero della modernità cinematografica, il momento in cui la grammatica filmica viene smontata e rimontata sui marciapiedi degli Champs-Élysées. Jean-Luc Godard prende la Parigi monumentale e la scuote con la camera a mano, trasformandola in un terreno di caccia febbrile e anarchico. La capitale francese qui non ha nulla di romantico nel senso classico: è sporca, rumorosa, frenetica, il teatro perfetto per la fuga senza meta del Michel Poiccard di Jean-Paul Belmondo.
Parigi diventa complice e trappola. Il regista filma la città "rubando" le inquadrature tra la folla ignara, catturando una verità documentaristica che si scontra con l'artificio del noir. Dalle redazioni dei giornali agli hotel economici, la città pulsa di un ritmo jazz fuori controllo, rimarcando l'urgenza di una generazione che corre verso il nulla, fino a quel tragico e iconico epilogo, dove l'asfalto parigino accoglie l'anima più pura, il manifesto, della Nouvelle Vague.
Angel-A (2005, Luc Besson)
Luc Besson spoglia la città dei suoi colori saturi per vestirla di un bianco e nero tormentato, lucido e iperrealista, che restituisce una metropoli quasi deserta, sospesa in un tempo indefinito. La storia dell'improbabile incontro tra un piccolo truffatore indebitato e una misteriosa donna, biondissima e altissima, è un pretesto per un esercizio di stile intimo, lontano dal solito stile del regista, con i due protagonisti Jamel Debbouze e Rie Rasmussen a incarnare i molteplici volti di Parigi.
Parigi che qui diventa un purgatorio d'acciaio e pietra, con il regista di Leon (1994) che sfrutta i ponti sulla Senna come luoghi di transizione tra la vita e la morte, tra la disperazione e una potenziale rinascita. Svuotata dal caos del traffico e delle persone, diventa uno specchio dell'anima degli antitetici e complementari personaggi, riflettendo nelle acque del fiume e nelle architetture verticali la solitudine di due figure che cercano di risalire la corrente tramite il loro nascente legame.
Holy Motors (2012, Leos Carax)
Un'odissea notturna, folle e malinconica, che attraversa il corpo di Parigi come fosse un organismo in disfacimento e al contempo in perenne mutazione. Leos Carax ci porta a bordo di una limousine bianca, camerino mobile per il misterioso Monsieur Oscar (un gigantesco Denis Lavant), impegnato a recitare diversi "ruoli" in altrettanti angoli della città. È un requiem per l'era analogica, un film che scardina ogni logica narrativa per farsi pura esperienza sensoriale, disturbante e affascinante in egual misura.
Il tutto in un suggestivo palcoscenico a cielo aperto, un set infinito dove ogni quartiere ospita un genere cinematografico diverso. Dal realismo sporco delle fogne alla magnificenza decadente degli ex grandi magazzini, la capitale diventa un luogo sfuggente, popolato da mostri, varia umanità e creature digitali. Il regista filma una Parigi che è memoria del cinema stesso, un luogo dove la realtà non esiste più, se non come performance, per uno dei film più importanti dello scorso decennio.
Un americano a Parigi (1951, Vincente Minnelli)
Se esiste una Parigi dei sogni, platonica e perfetta, è quella ricostruita per gran parte negli studi della MGM da Vincente Minnelli. Qui la città smette di essere un luogo geografico per diventare uno stato d'animo, un'esplosione di Technicolor che danza sulle note di George Gershwin. Gene Kelly, pittore ed ex soldato che in guerra aveva prestato servizio proprio in Francia, si muove in un mondo dove l'arte e la vita si fondono senza soluzione di continuità.
È il trionfo dell'apparenza che supera il vero. Minnelli non cerca la fedeltà, ma l'evocazione pittorica: i set richiamano le tele degli impressionisti, trasformando ogni scena in un quadro in movimento. Parigi è qui l'idea stessa di romanticismo, una città mentale dove i sentimenti sono così vasti da poter essere espressi solo attraverso un balletto di 17 minuti che resta una delle vette assolute del musical classico.
Il favoloso mondo di Amélie (2001, Jean-Pierre Jeunet)
Probabilmente il titolo che stavate più aspettando, tanto che molte vacanze a Parigi sono ormai organizzati per andare a visitare le location dove è stato girato. Con questo film Jean-Pierre Jeunet compie un'operazione cult in tutto e per tutto: la sua Parigi è una scatola di cioccolatini, un microcosmo iper-saturo virato al verde e al rosso, dove ogni dettaglio, dal nano da giardino alla macchinetta per le fototessere, acquisisce una valenza magica. È una fiaba moderna che celebra la bellezza delle piccole cose e la gentilezza come atto rivoluzionario.
Montmartre non è mai stata così fiabesca. Il regista ci restituisce un quartiere senza tempo, quasi un villaggio incantato sospeso sopra il resto della metropoli. La topografia parigina (dal Canal Saint-Martin al Café des 2 Moulins) diventa la scacchiera su cui l'Amélie Poulain dell'irresistibile Audrey Tautou si muove e muove le sue pedine emotive, trasformando Parigi in un enorme campo da gioco per cuori solitari in cerca dell'anima gemella.