1917

60 milioni di uomini in uniforme. 9 milioni di morti. Sono le terribili statistiche delle vittime (contando solo i militari caduti: vi furono altrettante perdite tra i civili) del primo conflitto mondiale. Una guerra tremenda, mai vista prima, iniziata pensando che sarebbe stato un conflitto come tanti altri e sfociata in un carnaio orrendo come non se ne erano mai visti, a causa dell’evoluzione tecnologica degli armamenti. Proiettili d’artiglieria esplosivi, mitragliatrici, gas asfissianti, carri armati e aeroplani si affacciarono sui campi di battaglia di Europa e Medio Oriente, mietendo in cinque anni la migliore gioventù di tutte le nazioni coinvolte, quella che alla chiamata alle armi dei rispettivi governi si era presentata senza cercare pretesti o scusanti, pronta a fare il suo dovere.

Nell’ormai lontano 1998 Salvate il soldato Ryan di Spielberg, con la terribile sequenza iniziale dello sbarco della 29ma Divisione di Fanteria sulla spiaggia normanna di Omaha, cambiò per sempre il modo di fare un film sulla guerra, obbligando i cineasti di fine Novecento a liberarsi una volta per tutte di ogni pretesa agiografica per mettersi di fronte al fatto di cronaca, nudo e crudo. La guerra moderna su scala globale non ha nulla di nobile e cavalleresco: è massacro sistematico, annientamento su scala industriale, tritacarne di esseri umani in nome di un’ideologia, politica o economica che essa sia. 1917, con la sua regia rivoluzionaria (vedi recensione) segna un'altra tappa fondamentale di quella storia, aprendo uno squarcio altrettanto vivido su un conflitto che oggi, dopo oltre cent’anni, ci sembra lontano ma che costituisce, invece, il primo esempio di scontro tecnologico di massa.

Può un solo uomo fare la differenza sul campo di battaglia di una guerra mondiale? Il film di Sam Mendes, ispirato dai racconti di guerra di suo nonno Alfred, portaordini della Prima Brigata Fucilieri di Sua Maestà britannica, racconta la storia di due semplici caporali, chiamati a compiere una missione impossibile che, per una volta non ha nulla di hollywoodiano (se non la perfetta ricostruzione dell’ambientazione storica e gli effetti speciali che la tecnica del ventunesimo secolo rende possibili).

Assomiglia piuttosto a ciò che il giovane soldato Mendes, nonno del regista, ha dovuto davvero affrontare davvero nelle trincee francesi. La sceneggiatura, ovviamente, si prende qualche libertà sul racconto reale. A cominciare dalla data scelta per l’inizio della missione. Quel 6 aprile 1917 non è un giorno qualsiasi, ma quello in cui gli Stati Uniti entrarono in guerra, inviando un corpo di spedizione sul suolo europeo per posare una pietra miliare della “dottrina Wilson”. Ritrovandosi non a caso qualche decennio dopo, alla fine di un altro conflitto mondiale ancor più sanguinoso, a sostituirsi alle vecchie potenze europee coloniali, vincitrici e vinte, nel ruolo di protagonisti dell’ordine mondiale nato sulle ceneri della guerra.

Per accordare la narrazione a questa data, Mendes non si fa scrupolo di “ritardare” di un paio di mesi l’Operazione Alberich, brillante rischieramento difensivo tedesco messo in atto allo scopo di accorciare il fronte sulla linea Hindemburg, migliorandone la tenuta difensiva e riducendo di ben 14 divisioni le risorse belliche necessarie a presidiarlo. Alberich ebbe luogo tra il 9 febbraio e il 20 marzo 1917 e, contrariamente a quanto si vede nel film, gli alleati si accorsero in ritardo del dispiegamento, perdendo l’occasione di attaccare le truppe germaniche in ritirata e trasformando la mossa del generale Ludendorff in un completo successo. Durante la ritirata, i tedeschi attuarono in maniera davvero teutonica la tecnica della “terra bruciata”, minando i ponti e le strade, distruggendo gli edifici, uccidendo il bestiame, abbattendo gli alberi da frutto e lasciando ovunque pericolose trappole esplosive come si vede nel film.

Se l’operazione Alberich fa da sfondo alla vicenda narrata, però, è alla battaglia di Poelcappelle, vissuta in prima persona da Alfred Mendes, che si ispira la storia individuale dei due eroici portaordini del film. Il 12 ottobre 1917 il suo reparto in cui serviva fu impiegato nel tentativo di riprendere il villaggio belga, prossimo al crinale di Passchendaele, teatro della tremenda battaglia di Ypres. 158 uomini dei 484 che componevano il battaglione di Mendes furono uccisi durante l’azione e molti altri risultavano feriti o dispersi nella “terra di nessuno”.

Qualcuno doveva uscire per localizzarli e aiutare le unità di soccorso a ricondurli nelle trincee amiche. Alfred Mendes, come scrisse anni più tardi nella sua autobiografia, aveva frequentato un corso da portaordini e, dal momento che “s’intendeva un po’ del lavoro”, si sentì obbligato a offrirsi volontario. Il suo gesto contribuì a salvare molte vite e gli fruttò una Military Medal al valore. Accendendo una piccola luce brillante di umanità e coraggio nella lunga e terribile notte della Grande Guerra.