Piccoli disastri: la serie thriller sull'ansia materna
Diane Kruger veste i panni di una madre sospettata di negligenza o, peggior ancora, violenza nei confronti della figlia di dieci mesi. Sei episodi su Paramount+.
Jess, architetta di successo, è madre di tre bambini: due figli in età scolare e Betsy, di appena dieci mesi. Vive in una casa lussuosa, ha un marito amorevole e la sua vita sembra quella tipica dell'upper class londinese. In Piccoli disastri la facciata apparentemente perfetta crolla quando Jess porta Betsy al pronto soccorso, credendo che la bambina sia affetta da un qualche virus, solo per scoprire che la pediatra di turno è Liz, sua amica di lunga data.
Gli esami però rivelano qualcosa di ben più preoccupante: una frattura incompatibile con una semplice caduta accidentale. Liz si trova davanti a un dilemma e dovrà decidere se credere alla versione confusa e incoerente della sua amica o seguire i protocolli e chiamare i servizi sociali. Prende quest'ultima scelta, innescando una serie di conseguenze via via più drammatiche, con Jess ed Ed che perdono la custodia temporanea della piccola. La serie procede poi attraverso due timeline parallele: il presente dove detective, assistenti sociali e avvocati cercano di far luce su cosa sia realmente accaduto, e numerosi flashback che ci mostrano come Jess, Liz e altre due loro sodali si siano conosciute in un corso prenatale, ripercorrendo le fasi salienti del loro legame oggi quanto mai tormentato.
Piccoli disastri: dalla carta allo schermo
Ci troviamo davanti all'ennesimo adattamento di un bestseller contemporaneo, ovvero l'omonimo romanzo del 2020 di Sarah Vaughan, già autrice di Anatomia di uno scandalo, che si inserisce nel sottogenere quanto mai affollato del thriller domestico incentrato su donne benestanti le cui esistenze a prima vista idilliache nascondono delle ombre. Un territorio narrativo esplorato ossessivamente negli ultimi anni, da Big Little Lies a The Undoing, fino al più recente All Her Fault della quale vi abbiamo recentemente parlato su queste stesse pagine.
Progetto in sei episodi, Piccoli disastri cerca di farsi forza su un cast corale capitanato da un'intensissima Diane Kruger, pronta a calarsi negli scomodi panni di una donna accusata di negligenza o peggio nei confronti della sua ultimogenita. Una situazione che rischia di mandare in profonda crisi anche il suo matrimonio e le sue amicizie più strette, in un racconto che prova ad aggiornare quei fitti giochi di verità e bugie ai quali la serialità contemporanea ci ha ormai abituati.
La regista islandese Eva Sigurðardóttir, dietro la macchina da presa dell'intera stagione, si affida a un'estetica lucida e controllata, costruendo tensione attraverso inquadrature claustrofobiche quando Jess si trova sotto osservazione costante da parte di chi deve ritenerla o meno idonea alla maternità, utilizzando la camera da presa per sottolineare l'isolamento progressivo della protagonista dal suo mondo sociale. Non mancano nemmeno delle sorte di "interviste" alle principali figure femminili, chiamate a dare un giudizio morale su quella protagonista che si sente sempre più sola e smarrita nella sua personalissima battaglia per far valere la sua versione dei fatti.
Pro e contro
Laddove Piccoli disastri convince maggiormente è nel resistere alla tentazione di trasformare il materiale in facile melodramma, mantenendo invece un tono relativamente sottotono anche nei momenti più carichi emotivamente, affidandosi alle performance dell'eterogeneo cast. Una scelta azzeccata che paga soltanto un pizzico di lentezza negli episodi centrali, dove accade poco o nulla di effettivamente fondamentale, al punto che una o due puntate in meno non sarebbero state certamente uno scandalo.
La nota più dolente arriva però da quel finale dove il clamoroso colpo di scena cambia nuovamente tutte le carte in tavola, con tanto di scenetta a ritroso che ci mostra chiaramente cosa sia realmente avvenuto in quelle convulse ore precedenti il prologo. Si mescolano colpe e colpevoli in un epilogo fin troppo scontato, quasi una scorciatoia per evitare potenziali ambiguità: peccato che proprio su tali ambiguità il racconto avesse trovato fino ad allora i suoi momenti migliori e questa conclusione spiegata per filo e per segno lasci l'amaro in bocca.