Barracuda Queens: recensione della miniserie Netflix immersa in una società ipocrita

Cinque ragazze iniziano a rubare per gioco, mentre il loro mondo svela le sue ipocrisie in Barracuda Queens, su Netflix

Barracuda Queens recensione della miniserie Netflix immersa in una società ipocrita

Si chiamano Barracuda Queens perché da ragazzine spiavano i ragazzi più grandi mentre facevano il bagno sulla spiaggia di Barracuda. Sono quattro amiche - le sorelle Klara (Tindra Monsen) e Frida Rapp (Sandra Zubovic) con Lollo Millkvist (Alva Bratt) e Mia Thorstensson (Tea Stjärne) - che si conoscono da sempre e condividono tutto. Incluso il debito derivato da una vacanza che hanno fatto e che ora dovranno coprire senza dire nulla ai genitori, ma come?

La trama di Barracuda Queens

Barracuda Queens: recensione della miniserie Netflix immersa in una società ipocrita

Per ripagare il debito accumulato durante l’ultima vacanza, la prima ad avere l’idea di rubare è Klara. Durante una serata nella ricca villa di Lollo, la più benestante del gruppo, senza pensarci afferra il costoso orologio della mamma di Lollo e lo impegna, insieme al proprio.

Quando la domestica viene licenziata per il furto dell’orologio, Klara confessa alle amiche di aver rubato. E insieme pensano si svaligiare la casa dell’ultima arrivata, Amina (Sarah Gustafsson), che nel weekend sarà con la famiglia all’estero. Ma Amina è in casa e le sorprende a rubare, senza però denunciarle.

Da quel momento, le cinque ragazze iniziano a derubare le case più ricche della zona, principalmente nel quartiere residenziale di Stoccolma in cui vivono, accumulando oggetti di grande valore…

La recensione di Barracuda Queens: una storia vera degli anni ’90 raccontata come negli anni ’90

Barracuda Queens: recensione della miniserie Netflix immersa in una società ipocrita

Fino al terzo episodio non succede quasi nulla di interessante: il modo in cui vengono introdotti e presentati i personaggi è molto convenzionale, noioso, eccessivamente lungo.

Ma poi, i conti iniziano a tornare. Bisogna capire e accettare le regole del gioco, per seguire questa miniserie. La storia delle Barracuda Queens, ispirata a fatti realmente accaduti, ci racconta le (dis)avventure di quattro ragazze appena maggiorenni nella Stoccolma del 1995.

E chi aveva la loro età in quegli anni si ricorda perfettamente com’erano le serie TV di allora: esattamente come Barracuda Queens.

L’approfondimento psicologico sulle protagoniste è volutamente quasi azzerato, tutto si svolge in maniera distaccata e perfino le tematiche più delicate, come quella della violenza sessuale, si affrontano con quel pudore tipico della TV dell’epoca. Si parlava di tutto, dalla sfida all’autorità genitoriale al furto come strumento di ribellione, punizione ed emancipazione - a seconda delle protagoniste - dall’amicizia alla solidarietà femminile.

Si parlava di tutto questo anche in Beverly Hills 90210, e in modo più “ravvicinato”, ma lo si faceva esattamente con lo stesso pudore nell’esplorare determinate tematiche. Perché il pubblico non ci era abituato e bisognava andare per gradi.

Barracuda Queens tira quel freno allo stesso modo, ma soprattutto tratta ogni evento come sarebbe stato trattato a metà degli anni ’90.

Barracuda Queens: recensione della miniserie Netflix immersa in una società ipocrita

Quello che è di fatto uno stupro passa quasi per una tappa obbligata della crescita per una ragazza giovane e bella, ma davvero troppo giovane, e a comprendere la gravità dell’evento possono essere solo altre ragazze della sua età.

Ai genitori si nasconde tutto, inclusa la sospensione da scuola, e con l’assenza di telefoni cellulari e telecamere ovunque le “ragazzate” degenerano facilmente. Mai con l’intenzione di far del male a qualcuno, sia chiaro: su questo gli autori sono determinati.

Così come sono determinati a raccontare i fatti senza giudicarli. Uno sguardo superficiale, la semplice esposizione degli eventi con la volontà di lasciare allo spettatore il compito di formarsi un’opinione su personaggi ed eventi.

Solo che noi lo facciamo con gli occhi di oggi, con lo sguardo di telespettatori che vivono in un mondo profondamente diverso da quello della metà degli anni ’90… Ma anche di telespettatori che, quel mondo, se lo ricordano.

Barracuda Queens: recensione della miniserie Netflix immersa in una società ipocrita

Le pillole dimagranti, il ricorso continuo all’alcol per divertirsi, come se senza le inibizioni necessarie a rubare non potessero cadere, l’ipocrisia dei genitori che educano i figli a essere irreprensibili ma poi giocano al gioco delle chiavi dell’auto facendo gli scambisti, si tradiscono e si mentono.

In Barracuda Queens c’è tutto questo, narrato con la superficialità tipica di una società che finge di non vedere. Le famiglie perfette in superficie, in cui non si parla dei problemi e si considerano i figli troppo piccoli anche quando sono grandi. Sempre ritratte con la dovuta distanza, senza mai usare primissimi piani e dettagli, senza indugiare sui momenti più drammatici, preferendo usare la musica come commento.

La colonna sonora è di gran lunga il pezzo forte di questa miniserie, che inserisce i più grandi successi dell’epoca servendosene come giudici morali di azioni, reazioni e scelte di tutti i personaggi mentre i media parlando di Lady D e dello scandalo sull’utilizzo privato di soldi pubblici da parte della vicepremier.

Con una grande lezione sul valore educativo dell’intervento dei genitori. Una lezione di un’attualità spaventosa.

Barracuda Queens

Rating: TBA

Nazione: Svezia

6.5

Voto

Redazione

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Barracuda Queens

Parlare di una storia ispirata a fatti realmente accaduti negli anni '90 come se fossimo ancora negli anni '90: fa questo Barracuda Queens, la miniserie svedese di Netflix in cui cinque ragazzine appena maggiorenni iniziano a rubare ai loro vicini per gioco e poi ci prendono gusto.

Tematiche importanti trattate con quel pudore narrativo tipico dell'epoca televisiva in cui è ambientata la storia, assenza di giudizio e presa di distanza dai personaggi con l'assenza di inquadrature troppo ravvicinate: tutto è volutamente impersonale, affinché siamo noi, i telespettatori, a giudicare fatti e protagonisti.

L'ipocrisia di una società che fingeva di non vedere le sue contraddizioni e nascondeva i segreti sotto al tappeto emerge prepotentemente, corredata da una storia ottimamente interpretata da attrici molto giovani e condita da una memorabile colonna sonora a cui viene assegnato il compito di commentare gli eventi. Cosa che regia e sceneggiatura si guardano bene dal fare. Volutamente. Affinché ci siano chiare le conseguenze delle azioni dei genitori sull'educazione dei figli.