Red Dead Redemption: la saga dei Marston torna su PS4 e PS5 - Recensione

Take Two affida a Double Eleven il compito di realizzare il porting di uno dei più grandi capolavori di Rockstar. Grande ritorno o operazione nostalgia?

Red Dead Redemption la saga dei Marston torna su PS4 e PS5  Recensione

Red Dead Redemption, per tutti RDR, è un gioco che ha fatto storia: sebbene forse non sia mai stato amato e osannato quanto il fratello maggiore di Rockstar, Grand Theft Auto, è riuscito comunque a ritagliarsi una fetta di estimatori tale da oscurare velocemente la fama dell'altro RDR, il suo padre spirituale Red Dead Revolver. Pubblicato nel 2010, da allora il gioco ha venduto la bellezza di 15 milioni di copie su PS3 e Xbox 360, raccogliendo premi e consensi in tutto il mondo – tranne dai PC-gamer che ancora oggi chiedono ardentemente un porting. A distanza di 13 anni e con in mezzo un prequel di ancora maggior successo – quel Red Dead Redemption 2 che dal 2018 ha venduto un numero di coppie pressocché doppio – Take Two rilancia RDR sul mercato in un porting curato dallo studio Double Eleven. È solo un'operazione nostalgia o sotto la cenere il fuoco cova ancora? Vediamolo insieme.

Mi chiamo Marston: John Marston

Per buona parte della vicenda il protagonista sarà John Marston, il quale nell'anno 1911 viene spedito da due agenti del Bureau of Investigation [il prototipo di quello che diventerà poi l'FBI] dalla stazione di Blackwater fino alla cittadina di Armadillo, sul confine col Messico, con l'incarico di catturare o uccidere Bill Williamson. Questi è infatti il terzo ed ultimo membro rilevante della banda del defunto (pare) Dutch van der Linde di cui lo stesso John era membro, e la cattura di Bill è il suo passaporto verso la grazia e una vita pacifica con sua moglie e suo figlio Jack [lo stesso Jack avrà poi un ruolo da co-protagonista nell'epilogo della vicenda, ma eviteremo ulteriori spoiler]. L'incontro tra John e Bill, che nel frattempo ha messo su una sua propria banda, non va a buon fine e Marston viene raccolto in fin di vita da una mandriana locale, Bonnie McFarlane: dal suo ranch e dalla cittadina di Armadillo partirà poi l'avventura del cowboy nella sua ricerca della redenzione.

Il gioco ha la struttura dell'avventura open-world: i tre stati fittizi del New Austin, West Elizabeth e Nuevo Paraiso – quest'ultimo in Messico – sono in generale esplorabili liberamente, possibilmente in sella ad un buon cavallo in quanto percorrerli a piedi sarebbe decisamente lungo e snervante, sebbene in realtà le zone effettivamente disponibili dipenderanno dai progressi ottenuti nella trama principale. Quest'ultima, sebbene presenti alcuni snodi di passaggio ineluttabili, è in generale strutturata in maniera abbastanza libera: dovrete sì svolgere alcune missioni o mini-storie, ma spesso potrete scegliere l'ordine in cui affrontarle, per esempio quando avrete a che fare col terzetto di West Dickens, Seth e l'Irlandese. Alla vicenda principale si accostano naturalmente tutta una serie di missioni opzionali, cacce al tesoro, taglie, mini-giochi da casinò e di destrezza (come il lancio dei ferri di cavallo), corse a cavallo o su carretto, duelli sotto il sole di mezzogiorno e tanto altro che rende grande un open-world in un Vecchio West non più tanto vecchio dopo l'arrivo della ferrovia.

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Le vecchie armi non invecchiano mai

Per realizzare il porting, i ragazzi di Double Eleven hanno optato per la formula “squadra che vince non si cambia”: questo significa che il sistema di controlli ed interfaccia del gioco del 2010 è stato riproposto pedissequamente, limitandosi ad adattare il touchpad e il tasto Options ai vecchi Select e Start. Se da un lato chi ha amato l'opera 13 anni fa non farà fatica a ritrovare “tutte le cose al loro posto”, dall'altro è innegabile che alcune soluzioni allora accettabili trasmettano oggi una sensazione un po' legnosa, soprattutto in quanto si discostano dalla configurazione standard moderna degli sparatutto; per fare un esempio: si corre con Croce e ci si accovaccia con L3. Probabilmente sarebbe stato sufficiente avere la possibilità di personalizzare i controlli tramite menù, ma ciò non è purtroppo possibile nel porting di Double Eleven.

Si tratta comunque di uno scoglio non insormontabile: ok, la sensazione iniziale è un po' quella di trovarsi fuori dalla propria comfort-zone, ma dopo una o due ore di cavalcate e sparatorie diverrà progressivamente tutto più naturale. Persino una sensibilità scarsa dell'analogico in fase di mira, seppur settata al massimo, si può digerire facilmente grazie all'utilizzo del “Dead Eye”, cioè la versione RDR del classico Bullet Time: John è in grado di “concentrarsi” in modo da rallentare il tempo e prendere la mira con cura, sparando poi automaticamente su tutti i bersagli marchiati. Non è da escludere che questo sistema di controllo, che oggigiorno forse definiremmo embrionale e studiato appositamente per un controller da console, possa essere uno dei motivi principali per cui non si sia mai messa sul piatto una versione PC del gioco.

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Il sole nel cielo è una palla di fuoco

Per quanto concerne il porting tecnico c'è da fare due considerazioni: la prima è relativa al materiale originale, il quale ha naturalmente perso un po' di smalto dopo 13 anni, soprattutto per quanto concerne le animazioni, un po' troppo “robotiche” rispetto agli standard a cui siamo abituati quest'oggi. Però è anche vero che l'opera non si proponeva assolutamente di ri-sviluppare una parte così consistente della componente grafica, quindi è bene spostare il focus su ciò su cui di fatto i ragazzi di Double Eleven hanno messo le mani, come ad esempio le textures. In questo senso dobbiamo riconoscere che il lavoro svolto è rimarchevole: la ripulitura e l'adattamento alle alte risoluzioni sono veramente ottimi, così come l'ottimizzazione che permette di avere su schermo un gran numero di modelli siano essi statici – alberi, cactus, edifici – o dinamici e mantenere sempre un frame rate ad ottimi livelli. C'è stato poco lavoro da fare sotto il profilo audio: il gioco godeva già di una colonna sonora adeguata all'opera e di ottimi doppiaggi in Inglese, più una valida traduzione in Italiano per i sottotitoli. Unica perplessità: il volume dell'audio di gioco è stranamente molto basso.

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I'm a poor lonesome cowboy...

Dopo 13 anni dal debutto non ha ovviamente senso alcuno esprimere un parere sull'opera originale: azzardare paragoni coi prodotti moderni sarebbe irrispettoso, senza contare che molti di quei prodotti forse non esisterebbero neppure se prima di loro non ci fossero stati giochi come RDR e altri, un'importanza che è tale da rendere il prodotto interessante a prescindere ancora e sempre. Ciò a cui siamo chiamati è perciò un giudizio sul porting, che da questo punto di vista possiamo definire buono. Ok, non abbiamo lesinato critiche e perplessità su un sistema di controllo e di interfaccia che avremmo gradito rivedibile – ma davvero era così difficile inserire la personalizzazione dei tasti? – ma abbiamo anche ammesso che se ne viene a capo e che l'esperienza di gioco è pertanto godibile come prima e più di prima.

Abbiamo però anche considerato l'ottimo arrangiamento grafico, non da vero e proprio remake ovviamente ma ampiamente al di sopra del minimo sindacale richiesto: è sufficiente una galoppata nel deserto roccioso tra cactus e cespugli mentre il sole tramonta per rendersene conto. È comunque un lavoro partito da lontano, probabilmente con l'adattamento a 4K della versione Xbox 360 ancora disponibile in retrocompatibilità sulle nuove Xbox. Ciò che veramente manca nel gioco, in cui è stato inserito anche il DLC Undead Nightmare, è la componente multiplayer, e questo nonostante Rockstar abbia smentito le voci secondo cui i server sarebbero stati chiusi proprio quest'anno. La domanda è: cosa succederà quando, nel 2024, chiuderà lo Store di Xbox 360? Il porting arriverà anche su Xbox One e Series X/S? Solo Take Two lo sa.

Una delle questioni più spinose di questa edizione, che in rete ha sollevato non poche polemiche, è quella del prezzo: siamo in effetti al cospetto di un gioco di una o due generazioni fa riproposto pulito e lucidato ma sostanzialmente identico con allegato un DLC ma privo del multiplayer... è lecito etichettarlo come un gioco AAA moderno o quasi, specie considerando che la versione Xbox 360 costa appena 20€ [senza DLC, venduto a parte a 10]? La risposta è solo una: dipende da voi. Se non avete mai – ma proprio MAI – giocato a RDR e volete recuperare una vera perla del passato, il prezzo di copertina è certamente commisurato alla qualità del prodotto; se invece aveste già vissuto l'epopea di John (e Jack) Marston forse potrebbe essere meglio passare oltre e rimandare l'operazione nostalgia ad un calo di prezzo o un'offerta speciale.
Il resto è olio di serpente e chiacchiere da saloon...

 

Gallery

Red Dead Redemption

Versione Testata: PS4

8

Voto

Redazione

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Red Dead Redemption

Nonostante i 13 anni sul groppone Red Dead Redemption non ha assolutamente perso lo smalto: il gioco è ancora bello e godibile nonostante fornisca un'interfaccia che esula dalla moderna comfort-zone. L'operazione di ripulitura grafica è ottima ed in generale l'adattamento riesce a fornire una buona resa sui sistemi moderni. Certo, bisogna avere un'interesse molto forte per il prodotto in sé per accettare il prezzo di copertina, ma se non avete mai vissuto la storia di John Marston non dovreste farvelo sfuggire.