Jotunnslayer: Hordes of Hel, un bullet heaven che trasforma il mito in sfida - La Recensione
Dalle nebbie di Niflheim alle fiamme di Muspelheim, Jotunnslayer: Hordes of Hel trasforma la sopravvivenza in un rituale mitologico, tra caos, strategia e l’eco eterno delle leggende norrene.
Il genere dei bullet heaven e dei roguelike d’azione ha vissuto una trasformazione sorprendente nell’ultimo decennio. Partito come una nicchia sperimentale, con il fenomeno Vampire Survivors che ha dimostrato come semplicità e immediatezza potessero conquistare un pubblico vastissimo, oggi rappresenta un terreno fertile per studi indipendenti e team di medie dimensioni che cercano di innovare senza tradire le regole fondamentali: sopravvivere a orde incessanti, potenziare il proprio personaggio e spingersi sempre più in là in termini di sfida e progressione. In questo panorama affollato si inserisce Jotunnslayer: Hordes of Hel, sviluppato da Gamesfarm e Artillery e pubblicato da Grindstone, con un obiettivo chiaro: dare nuova linfa al genere attraverso l’immaginario solenne e oscuro della mitologia norrena.
Fin dal primo impatto, Jotunnslayer non si limita a replicare la formula nota, ma cerca di reinterpretarla attraverso un’estetica più realistica e un sistema di crescita che punta sulla varietà. Non ci troviamo di fronte a un clone seriale, ma a un progetto che intende legare le dinamiche caotiche del bullet heaven a un contesto più strutturato, in cui classi, abilità ed entità divine concorrono a definire la personalizzazione e la longevità dell’esperienza. L’idea è chiara: unire la soddisfazione immediata delle prime run alla profondità di un percorso che incoraggia la sperimentazione e premia chi sceglie di padroneggiare i diversi sistemi.
Rispetto a prodotti simili come Achilles: Survivor, che ha dimostrato come l’epica mitologica possa arricchire di significato un gameplay altrimenti ripetitivo, Jotunnslayer sceglie un approccio ancora più ambizioso. Non solo prende in prestito l’immaginario scandinavo, ma lo utilizza come spina dorsale per costruire ambientazioni, nemici e poteri, restituendo al giocatore l’impressione di trovarsi in un universo coerente, capace di sostenere decine di ore di gioco senza perdere di attrattiva.
Con questa impostazione, il titolo di Gamesfarm e Artillery si candida a essere non soltanto un’alternativa, ma un nuovo punto di riferimento per chi cerca un bullet heaven capace di unire caos, strategia e identità mitologica in un’unica, avvincente esperienza.
Jotunnslayer prova a reinventare i miti nordici in salsa bullet hell
Se l’introduzione mette in chiaro l’ambizione del progetto, è con la narrazione e la trama di fondo che Jotunnslayer: Hordes of Hel definisce la propria identità. Non si tratta di un racconto lineare, con sequenze animate o lunghi dialoghi, bensì di un impianto mitologico che si esprime attraverso la cornice dei regni norreni e il profilo dei personaggi giocabili. Ogni guerriero non è un avatar anonimo, ma porta con sé una condanna o una maledizione, e si getta nella battaglia con l’obiettivo di conquistare la libertà o la vittoria in un universo che non concede tregua.
I mondi che il giocatore attraversa non sono semplici mappe decorative: Niflheim, Muspelheim, Svartalfheim, Jotunheim e Helheim incarnano le prove stesse del cammino. Ognuno di essi riflette un archetipo — il gelo eterno, il fuoco inestinguibile, la miniera oscura, la terra dei giganti, l’oscurità dell’aldilà — traducendo i miti nordici in sfide ludiche concrete. Questo approccio fa sì che la progressione non venga percepita come un susseguirsi di livelli intercambiabili, ma come un viaggio che alterna paesaggi, ritmi e nemici in grado di rafforzare la coerenza del racconto.
La trama minimale, che lascia ampi spazi all’interpretazione del giocatore, si fonde con le logiche del roguelike. Ogni run diventa parte di un ciclo che non racconta una storia nuova, ma ripete e rinnova il mito della lotta: cadere, rinascere e tornare a combattere con nuove forze. In questo senso, la narrazione si lega intimamente alla struttura di gioco, trasformando la ripetizione in rito. Non è una storia fatta di colpi di scena, ma un percorso di resistenza che acquista spessore proprio nella sua iterazione continua.
Quanto alla longevità, il titolo dimostra di avere una visione precisa. Non si limita ad affidarsi al volume di contenuti, ma costruisce la durata sulla varietà delle combinazioni possibili. Ogni eroe offre stili differenti, ogni abilità divina apre scenari inediti, ogni regno introduce condizioni uniche. A questo si aggiunge la progressione permanente tra una run e l’altra, che incentiva il ritorno senza scalfire il senso di sfida. Il risultato è una longevità che non nasce dal semplice grind, ma dalla curiosità di scoprire come ogni partita possa trasformarsi in un’esperienza nuova.
A tutti piacerebbe essere Thor! Ma Jotunnslayer fa qualcosa di più...
Il cuore di Jotunnslayer: Hordes of Hel è il gameplay, ed è qui che il titolo dimostra di avere la solidità per distinguersi in un genere ormai inflazionato. La struttura di base resta quella tipica dei bullet heaven: il personaggio attacca in automatico e il giocatore deve concentrarsi su movimento, schivate e scelte di crescita. È un’impostazione semplice da apprendere, ma che viene arricchita da una serie di sistemi che danno varietà e profondità a ogni run.
La differenza principale sta nelle classi, pensate per offrire stili di gioco realmente diversi. Personalmente, il Redivivo è stato quello che mi ha divertito di più: le sue abilità permettono di gestire meglio il campo, mantenendo un buon controllo anche nelle situazioni più caotiche. Non ho percepito classi sbilanciate, e anzi ognuna sembra costruita per adattarsi a un certo tipo di giocatore: chi cerca resistenza trova soddisfazione con il Berserker, chi preferisce la distanza può affidarsi alla Veggente, chi vuole aggressività pura sceglie la Sorella del Fuoco. È un sistema equilibrato, che invoglia a provare approcci diversi senza la sensazione che ci sia un “eroe migliore” degli altri.
Un aspetto altrettanto riuscito è quello delle abilità divine, che si integrano con quelle delle classi e danno vita a combinazioni sempre nuove. Le più vincenti mi sono sembrate quelle legate a Thor e Freya, soprattutto per il controllo del campo: fulmini devastanti e potenziamenti passivi garantiscono un equilibrio tra potenza offensiva e sicurezza. Anche Loki o Nidhogg offrono possibilità interessanti, ma richiedono più attenzione nello sviluppo, perché il trucco sta nel far combaciare le abilità del dio con quelle dell’eroe scelto. È un sistema che stimola la sperimentazione, e quando si trova la giusta sinergia la sensazione è quella di aver “rotto il gioco”, nel senso più appagante del termine.
Ogni run consente di accumulare monete d’oro, spendibili per potenziare in modo permanente eroi e divinità. Questo meccanismo garantisce che anche le partite concluse male lascino comunque un progresso tangibile. Tuttavia, la progressione tende a diventare lenta nel lungo periodo: non è un difetto vero e proprio, perché rispecchia la filosofia del roguelike, ma va tenuto presente da chi non ama la ripetizione prolungata.
Il ritmo delle partite è scandito dagli obiettivi temporizzati, che portano allo scontro con i boss. Si tratta di un’aggiunta utile e interessante, perché obbliga a variare le strategie, anche se con il tempo diventano un po’ prevedibili. Le boss fight meritano una menzione a parte: quelle dei livelli più avanzati propongono addirittura diverse fasi, e la più gratificante che ho affrontato è stata quella di Helheim, grazie alla sua suddivisione a zone che impone un approccio tattico.
Nel complesso, il gameplay funziona perché non si limita al caos frenetico tipico del genere, ma premia chi vuole ragionare sulle proprie scelte. Non è perfetto e poche volte mi ha dato la sensazione di “partita memorabile”, ma la varietà delle combinazioni tra classi, divinità e abilità mantiene viva la voglia di ricominciare. È qui che Jotunnslayer si guadagna un posto nel panorama dei roguelike: non per la quantità di nemici a schermo, ma per la capacità di far sentire ogni run diversa e significativa.
Lo scopo chiaramente, oltre al divertimento, risiede nel cercare di completare le run alle diverse difficoltà, magari gettandosi anche in massacri infiniti con l'obiettivo di sbloccare achievement dedicati (tipo resistere sessanta minuti nella stessa mappa!)
Una grafica realistica e accattivante, come fa
Se il gameplay rappresenta l’anima del titolo, la grafica ne costituisce la cornice visiva e identitaria. A differenza di molti concorrenti che scelgono un approccio minimale in pixel art, Jotunnslayer: Hordes of Hel punta su un’estetica più realistica e dettagliata, capace di restituire peso e consistenza al mondo norreno che vuole rappresentare. Fin dal primo ingresso in partita, i regni trasmettono una sensazione di coerenza tematica: il gelo soffocante di Niflheim, le fiamme divoranti di Muspelheim, le profondità oscure di Svartalfheim, fino alla cupezza inospitale di Helheim. Ogni scenario non è solo sfondo, ma diventa parte integrante della sfida, perché la densità cromatica, gli effetti particellari e la scelta delle palette contribuiscono a definire ritmo e atmosfera.
Il lavoro degli sviluppatori si distingue soprattutto per l’attenzione alla chiarezza visiva in contesti di caos estremo. Nei momenti in cui lo schermo è affollato da decine di nemici ed effetti, il design mantiene leggibilità senza sacrificare l’impatto spettacolare. La scelta di non spingersi verso la quantità esasperata di avversari, tipica dei titoli in pixel art, è un compromesso tecnico che paga: il numero minore di unità viene compensato dalla qualità delle animazioni, dalle proporzioni dei modelli e dalla sensazione di trovarsi comunque schiacciati da una massa ostile.
Un ulteriore pregio risiede nella ottimizzazione tecnica. Nei miei test effettuati con una RTX 4060 Ti e su un monitor ultrawide 2K, il gioco ha mantenuto una fluidità costante anche nelle situazioni più concitate, senza cali di frame rilevanti. È un risultato tutt’altro che scontato, considerando la mole di effetti a schermo e la varietà di ambientazioni. In questo senso, il lavoro svolto dagli sviluppatori garantisce un’accessibilità solida anche a chi non dispone di macchine di fascia altissima, senza rinunciare a un impatto visivo convincente.