Mars Attracts, recensione - il gestionale marziano che trasforma gli umani nelle attrazioni del parco
Dal mondo pulp di Mars Attacks! arriva un gestionale satirico e grottesco: recinti tematici, esperimenti crudeli e dialoghi alieni compongono un’esperienza che ribalta ogni regola del genere.
Immaginate di entrare in un parco divertimenti e scoprire che le attrazioni principali siamo noi, gli umani. È questa la promessa di Mars Attracts, gestionale che prende l’immaginario grottesco e satirico di Mars Attacks!, l’iconico film di Tim Burton del 1996, e lo trasforma in un’esperienza di management spiazzante e ironica. All’epoca il film divise critica e pubblico: per alcuni era un eccesso di kitsch e nonsense, per altri un atto d’amore verso la fantascienza pulp e le carte collezionabili Topps da cui tutto nacque. Qui quello stesso DNA viene riscritto in chiave interattiva, con un tono che alterna comicità nera e satira sociale.
Invece di costruire montagne russe e ruote panoramiche per famiglie sorridenti, in Mars Attracts siamo chiamati a progettare recinti – veri e propri spazi di cattività in cui collocare uomini e donne rapiti attraverso le epoche, dalla Roma antica al Selvaggio West – e a mantenerli “presentabili” oppure a sperimentare sui loro corpi per accumulare punti ricerca. Il termine inglese enclosures evoca la gabbia dello zoo o la riserva naturale, ma qui diventa la prigione grottesca che ci riduce a fenomeni da baraccone.
Il parco appartiene ai Marziani, ma a finire sotto osservazione siamo noi, prigionieri di un esperimento che ridicolizza l’idea stessa di zoo e capovolge la prospettiva antropocentrica tipica del genere. Se in Jurassic World Evolution 2 siamo i custodi di dinosauri che minacciano di sfuggire al controllo, qui siamo le cavie di un sistema che ribalta i ruoli e ci fa oggetto di curiosità. Non si tratta più soltanto di pianificare percorsi, servizi e flussi di visitatori: l’obiettivo è mettere in scena la crudeltà come spettacolo, dosando ironia, sadismo e ingegneria gestionale per soddisfare ospiti alieni affamati di divertimento.
La trama di Mars Attracts: marziani alla guida di un parco a tema
La “narrazione” di Mars Attracts non si affida a un copione con protagonisti e colpi di scena, ma emerge dalle sfide gestionali che ci vengono poste. Come in altri simulatori, il gioco offre una sequenza di obiettivi progressivi: costruire un certo numero di edifici, accumulare una soglia di denaro, sbloccare un nuovo tipo di ricerca o mantenere la soddisfazione dei visitatori sopra una percentuale. È questa struttura a missioni che dà forma a un percorso di crescita, sostituendo la trama lineare con una progressione scandita da livelli e milestone.
L’ambientazione però rende questo schema più pungente. Gli habitat accurati non sono soltanto recinti funzionali: diventano spazi tematici, arricchiti da decorazioni coerenti con l’epoca degli umani catturati. Se ospitiamo legionari romani, possiamo abbellire il recinto con colonne e architetture classiche; se intrappoliamo cowboy, avremo staccionate e ambientazioni da frontiera. Questa attenzione estetica non serve solo a “fare scena”, ma incide sul comportamento degli ospiti marziani: c’è chi apprezza il richiamo culturale e chi invece preferisce vedere i prigionieri maltrattati. Ne risulta un doppio binario che aggiunge varietà alla gestione.
Quanto alla longevità, la questione è delicata. Il concetto di novelty – la novità che colpisce subito per la sua originalità – è fortissimo nelle prime ore: il ribaltamento dei ruoli, l’ironia crudele, l’idea stessa di essere cavie da laboratorio sono stimoli freschi e inusuali. Ma un’idea, per quanto brillante, rischia di consumarsi se non supportata da sistemi profondi. È qui che il titolo dovrà dimostrare solidità: espandere l’albero delle ricerche, arricchire le sfide economiche, introdurre eventi dinamici o complicazioni gestionali in grado di sorprendere anche dopo molte ore. Senza questi innesti, l’effetto novità potrebbe affievolirsi rapidamente, trasformando l’esperienza in una skin grottesca sopra uno schema troppo familiare.
Umani come cavie da laboratorio, le carte prodotte da Topps prendono vita!
Il cuore pulsante di Mars Attracts sono i recinti umani: veri e propri palcoscenici in cui si intrecciano meccaniche, estetica e morale. È qui che si costruisce la reputazione del parco, perché la qualità e il tema dei recinti determinano non solo la soddisfazione dei visitatori marziani, ma anche l’afflusso di pubblico e i ricavi complessivi. Più il recinto è curato – con decorazioni storiche coerenti e servizi funzionali – maggiore sarà il guadagno, mentre il suo deterioramento o la trascuratezza possono portare a fughe e cali di valutazione.
La struttura del gioco segue una spirale ben definita: si catturano umani da diverse epoche storiche, li si colloca nei recinti e si decide se mantenerli in condizioni accettabili oppure destinarli a esperimenti scientifici. Ogni test produce punti ricerca in tre aree – biologia, fisica e chimica – che consentono di sbloccare nuove attrazioni e tecnologie. Il rovesciamento dei ruoli è completo: ciò che in un tradizionale gestionale sarebbe un laboratorio o un centro studi diventa qui una sala torture travestita da scienza, applaudita da un pubblico che non ha nulla di umano.
Le attrazioni seguono un percorso progressivo: si parte con giostre riconoscibili, “martianizzate” nello stile, per arrivare a creazioni grottesche come la Ruota dell’Alluce (dominata da un enorme unghione giallo), la Dreadmill (una variante crudele della nave vichinga trasformata in tapis roulant punitivo) o la Scala del Vomito, che integra persino il sistema idrico. Una scelta intelligente è legare le attrazioni alla ricerca: non ci vengono date subito, ma guadagnate sperimentando, così la loro comparsa non soffoca il resto del parco e accompagna la crescita gestionale.
Oltre agli esperimenti, entra in gioco la parte logistica: magazzini separati per prodotti marziani e beni umani, addetti che riforniscono mangiatoie e docce, generatori e condutture d’acqua che alimentano i servizi ma aprono anche rischi di fuga. Il sistema di sicurezza, con guardie e stazioni di pattugliamento, è indispensabile per evitare che gli “ospiti” scappino. Allo stesso tempo, la pulizia del parco – cestini, addetti alle pulizie, stazioni di manutenzione – influisce direttamente sul giudizio dei visitatori. In altre parole, non è solo la crudeltà a generare valore, ma la capacità di far convivere brutalità e ordine gestionale.
Un punto che merita attenzione è l’interfaccia grafica: pur essendo funzionale, la disposizione dei menu e la leggibilità dei comandi non sempre risultano intuitive. Si percepisce un margine di miglioramento soprattutto sul piano visivo, per rendere più immediata la navigazione tra edifici, recinti e opzioni di ricerca. È un aspetto cruciale, perché un gestionale vive anche della fluidità con cui il giocatore interagisce con le proprie creazioni.
In definitiva, il gameplay di Mars Attracts mette al centro i recinti come fulcro narrativo e gestionale, costruendo attorno a essi un ecosistema che lega ricerca, attrazioni e logistica. La vera sfida non è quante giostre costruire, ma quale identità dare al parco: puntare su un’immagine “culturale” con habitat accurati, o abbracciare senza scrupoli lo spettacolo sadico che i Marziani sembrano desiderare.
Ack ack ack ack! (c'è molta carne al fuoco, ma tutto è ancora migliorabile)
Dal punto di vista visivo Mars Attracts si presenta con uno stile semplice e immediato, frutto di un team creativo ridotto che ha scelto la chiarezza funzionale piuttosto che il dettaglio iperrealista. Le ambientazioni, i modelli dei Marziani e degli umani rapiti, così come gli edifici e le attrazioni, hanno un aspetto volutamente basico, quasi caricaturale, che richiama il tono pulp e satirico dell’opera originale. È una scelta che risponde a due obiettivi chiari: mantenere il gioco accessibile anche a macchine meno potenti e lasciare spazio alla fantasia grottesca piuttosto che a un realismo grafico che avrebbe rischiato di rendere tutto troppo cupo o disturbante.
Non bisogna dimenticare che il progetto è nato come una scommessa indie, costruita attorno all’idea di rovesciare la prospettiva del gestionale classico. La priorità, fin dall’inizio, è stata quella di definire un linguaggio estetico marziano coerente con le illustrazioni retrò di Mars Attacks e con l’immaginario kitsch degli anni Sessanta. Alcune giostre “corporee” mostrano bene questo intento: più che per la qualità poligonale, colpiscono per il concept bizzarro e surreale, capace di restare impresso.
Tuttavia, è innegabile che la resa grafica sia molto basilare: i modelli hanno pochi dettagli, le animazioni risultano essenziali e la varietà visiva non è ancora in grado di supportare sessioni prolungate senza un senso di ripetitività. Anche l’interfaccia utente, pur avendo fatto passi avanti rispetto alle versioni preliminari, resta migliorabile sul piano visivo: i menu non sempre guidano in modo intuitivo, e la leggibilità delle icone può confondere soprattutto durante le prime ore.
Manca inoltre una localizzazione in italiano, e per un titolo che punta molto sull’ironia questo pesa: certe sfumature dei dialoghi rischiano di andare perse. Ed è un peccato, perché l’amore per il franchise si nota chiaramente, soprattutto nei dialoghi dei marziani: da un lato gli inconfondibili “Ack ack ack ack!”, dall’altro la loro traduzione testuale che ci viene mostrata per comprendere cosa stanno dicendo. È un dettaglio sottile ma azzeccato, capace di restituire al giocatore la sensazione di trovarsi davvero di fronte agli alieni di Burton.
Il gioco, insomma, è ancora agli inizi e graficamente resta migliorabile, ma la passione per l’universo di Mars Attacks traspare e lascia sperare che i futuri aggiornamenti possano arricchire e raffinare un impianto che ha già una sua identità precisa.