Alien Syndrome

Alien Syndrome
La protagonista è una giovane ragazza, equipaggiata con fucili e armature futuristiche. Si fa strada sterminando mostri alieni di ogni sorta, sola ma determinata, in un mondo lontano. L'incipit potrebbe indurre a pensare alla celebre Samus di Metroid; invero, la sommaria descrizione si rifà ad un altro videogame che affonda le proprie radici negli anni ottanta, Alien Syndrome. Questa somiglianza fra i due giochi è senz'altro riconducibile ad una comune influenza, quella che la fantascienza ha esercitato sulla produzione ludica del periodo. Nello specifico, il paradigma dell'eroina opposta all'orda extraterrestre è sicuramente la Sigourney Weaver di Alien. Nella trama di Alien Syndrome è facile rinvenire tracce consistenti di tale influenza. Fa da scenario l'universo colonizzato dall'uomo: la stazione Seti-Alpha 5, posta su un remoto pianeta, cessa di inviare segnali alla Terra. Come da copione, viene inviata una spedizione per verificare l'accaduto, di cui fa parte Aileen (l'intrepida soldatessa sopra richiamata). Vicende che all'osservatore odierno purtroppo appaiono abusate e banali, meritevoli di una svecchiata che renda giustizia all'evoluzione del gusto.


Anche il gameplay riecheggia l'influsso degli anni passati. Alien Syndrome infatti è fondamentalmente uno shooter con visuale in terza persona, genere molto in voga "ai tempi". Una venatura ruolista non molto convincente si va ad aggiungere a questo nucleo principale, pur senza snaturarlo. Il controller dello Wii recita invece una ruolo importante: il puntamento dei nemici viene effettuato volgendo direttamente il telecomando verso l'area dello schermo interessata.
Entrando nel dettaglio, l'azione di gioco si riduce ad un costante vagare per corridoi anonimi, enormi dungeon metallici che invocano vanamente maggiore varietà. I mostri che si dovranno fronteggiare, nonostante il centinaio di specie annunciato sul retro della confezione, soffrono anche loro d'una continua ripetizione. Essa si manifesta col classico cambio di colore (ossia quando un nemico già incrociato si ripresenta, identico, ma di un altro colore) e perfino nel re-impiego di boss, declassati ad avversari comuni. Riguardo le boss battle, va notato come manchino decisamente di incisività. La tattica migliore consiste nello scappare e sparare contemporaneamente, ad un antagonista troppo stupido perché riesca a raggiungere Aileen prima di morire. A dispetto di quanto affermato all'inizio, va confessato che la ragazza non è sola nel suo peregrinare, bensì accompagnata da un fastidioso robottino, denominato Scarab. Il piccolo automa serve essenzialmente a rifornire la soldatessa di oggetti proficui, oltre ad offrirle un fuoco di supporto di dubbia utilità.

La componente RPG, una "moda" attuale ed inflazionata, si esterna in un mucchio di parametri ed abilità, con i quali fare i conti fin da inizio partita: il personaggio di cui valersi va infatti scelto fra cinque differenti classi di soldato. Nel corso dell'avventura, immancabilmente, si avrà modo di potenziare certe caratteristiche piuttosto che altre. Questa sovrabbondanza di opzioni collide però con le meccaniche prettamente immediate ed arcade di uno shooter, finendo per appesantirle. D'altro canto, l'orientamento ruolista si riscontra anche in una pletora di armi ed armature. Quel che preme è soprattutto la quantità di armi a disposizione, suddivise in cinque categorie (corpo a corpo, a proiettili, a bombe, incendiarie, laser). Tale assortimento è determinante nell'arricchire il gameplay, che tuttavia non può giovarsene molto; la monotonia e l'intelligenza artificiale molto limitata inficiano l'esperienza ludica sul nascere.


Al fine di completare il discorso, è doveroso citare i minigiochi che si incontreranno lungo il percorso. I minigames consistono nel governare dei microrganismi, i naniti, attraverso dei semplici gesti col controller. I naniti assolvono compiti quali ad esempio la modifica del codice genetico di Aileen (vale a dire un miglioramento dei suoi parametri). Interessanti le prime volte, a lungo andare questi diversivi annoiano.
Le potenzialità del pad trovano concreta espressione nel sistema di puntamento, che permette di mirare ai mostri in modo non molto dissimile da quanto si farebbe con una periferica come la pistola. Dirigere i fucili di Aileen contro il bersaglio, come si intuisce, è così ben più godibile, in confronto al semplice utilizzo dell'analogico. Oltretutto questa attività è completamente indipendente rispetto al movimento. Un risvolto negativo sta nella necessità ricorrente di sparare alla cieca, qualora l'obiettivo esca dall'inquadratura sullo schermo. Il puntamento è esteso alla navigazione dei menu, mediante un cursore, con esiti però mediocri in tema di comodità. Un'altra peculiarità è la gestione della telecamera tramite l'inclinazione a destra o sinistra del nunchuck; scelta che, oltre a sacrificare la precisione, può scatenare come effetto collaterale una disastrosa rotazione improvvisa del quadro, con la visuale che gira su sé stessa più volte, incontrollabile.

Il comparto grafico è insoddisfacente sia per quanto riguarda prettamente la tecnica, sia per le scelte stilistiche effettuate. Esso desta perplessità circa la cura riposta nella sua realizzazione. Non è esagerato notare come una simile resa visiva sia rinvenibile in videogames di una decina d'anni fa. Impressione non molto migliore desta il sonoro, dove dei motivi musicali ricorrenti fanno da sottofondo ai versi strazianti delle creature spaziali.
Per concludere, Alien Syndrome ripropone le dinamiche arcade degli esordi, riviste frettolosamente sotto una fievole luce attuale. Il risultato lascia a desiderare, e non può bastare il particolare telecomando dello Wii (pur ideale per uno shooter di tal foggia) per risollevarne le sorti.

Alien Syndrome
4.5

Voto

Redazione

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Alien Syndrome

Ci sono dei giochi che, apertamente, si rifanno a certi classici del passato, a certe formule che vanno sotto la generica etichetta "arcade", foriera di partite immediate ma al tempo stesso coinvolgenti. Certo, qualora il tutto si risolva in un tributo agli anni che furono, senza che nulla di nuovo sia mostrato, ci si può chiedere se tali manifestazioni nostalgiche non siano fini a sé stesse. Ma c'è di peggio. Quando il classico è riesumato, mescolato a qualche elemento di novità per darlo in pasto al pubblico, è peggio. E Alien Syndrome desta proprio questa impressione, colpa di una realizzazione approssimativa, dalla quale scaturisce un'esperienza tutt'altro che coinvolgente.