Wolverine: L'immortale

Che Hugh Jackman tornasse a vestire i panni del “sempreverdeWolverine era inevitabile. Gli innumerevoli fan della serie, compresi noi, non vedevamo l'ora di poter entrare nelle sale e goderci questo nuovo capitolo dedicato ad un personaggio della Marvel tanto conosciuto quanto amato, ma dobbiamo ammettere infine che lo stare seduti in poltrona per ben 126 minuti (pubblicità escluse per fortuna) é stato tanto piacevole quanto tedioso. Il motivo? Semplice.

Quando la storyline di un film si basa unicamente sulla “presenza” dei personaggi, e non sul loro spessore o verosimiglianza con le loro controparti fumettistiche, si rischia di far camminare lo spettatore come un funambolo su un filo decisamente traballante dove la caduta può rappresentare la differenza tra lo spiacevole flop o una gradevole riuscita.


Wolverine: L'immortale


James Mangold (Innocenti Bugie, Quel Treno per Yuma) dirige un Logan combattuto da un esistenza in bilico fra la ragione e il sogno, motivato a non estrarre più gli artigli di Wolverine a seguito dell'ultima esperienza “tragica” che gli ha segnato l'esistenza. L'uccisione di Jean Grey (in X-Men: Conflitto Finale) segna irrimediabilmente la vita del supereroe e si trasforma in uno spettro che lo perseguita, tormentandolo, con sogni dalle enigmatiche discussioni delineando l'estremo -bisogno di ogni soldato- nel trovare la pace. Strano ma vero, nel mezzo del cammin di tale sbando, ecco apparire una vecchia conoscenza, tale Ichiro Yashida (Haruhiko Yamanouchi), che dopo aver avuta salva la vita in passato in quel di Nagasaki resta debitore dell'eroe e vuole ricompensarlo donandogli il sogni di ogni essere “immortale”, ovvero la Mortalità.

Tutto questo sembra avere un prezzo decisamente irrisorio, visto che il signor Yashida stesso desidera solo “trasferire” tale dote rigenerante in se stesso, ritrovandosi purtroppo in fin di vita con un pugno di mosche in mano ed una risposta secca da manuale di un Logan visibilmente stanco “Fidati, tu non vorresti quello che ho io..”
La storia procede, Wolverine si risveglia da un sonno debilitante (in tutti i sensi) e si ritrova spogliato del suo super fattore rigenerante a combattere una serie di nemici ninja super accessoriati, accostati alle tipiche tatuate bande Yakuza senza scrupoli, per salvare la bella nipote in pericolo Mariko Yashida (Tao Okamoto alla sua prima apparizione) e ritrovare la sua identità perduta, in un cammino introspettivo fatto di lunghe pause riflessive e momenti di azione purtroppo sporadici e purtroppo eccessivi.

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Abbiamo apprezzato come questo capitolo si collochi su una linea temporale che lo pone, con tutta propababilità, immediatamente dopo di X-Men: Conflitto Finale. Ovviamente in questo computo lasciamo perdere Origini, che aveva mischiato troppi personaggi in una “insalatona” scialba e priva di carattere. Fortunatamente, invece, questo Wolverine ci ha regalato uno scorcio del tutto inedito sulla parte più oscura di sé stesso. Una parte fatta di insicurezze del tutto umane, accentuate dalla consapevolezza di aver perso non solo l'amore della propria vita, ma anche lo scopo prima della vita stessa. Wolverine si trasforma quindi in un ramingo mortale, regredito ad una vita da eremita all'interno di una caverna, con l'unica preoccupazione di sopravvivere alla propria immortalità.

Tale linea introspettiva, piacevolmente scritta dai produttori, ci fa prendere per mano l'eroe tormentato mentre gli viene donato uno “scopo” che ne salva l'animo combattuto, restituendogli finalmente la vitalità persa ed acquistando anche nuovi compagni di viaggio, come la spadaccina veggente Yukio (Rila Fukushima) che si investe a guardiana del nostro protagonista, aiutandolo più volte nel corso dell'avventura fino alla fine.

> End Game Trailer


Gli antagonisti a nostro avviso sono risultati decisamente privi di spessore, elemento che invece ne caratterizza le controparti in ambito fumettistico, vista l'apparizione di una Viper (Svetlana Khodchenkova) decisamente sciapa e poco attinente al contesto, date le sue mosse basilari ed il suo cambio di muta completamente inutile. E' stato proprio quest'aspetto ad appesantire oltremodo la visione della pellicola, permettendoci di godere molto poco delle qualità distintive di combattente di Logan, che ha potuto sguinzagliare i propri artigli solamente in duelli spericolati sul dorso di un treno ad alta velocità o contro un samurai meccanico, che speravamo fosse Silver Samurai, vista la presenza di Kenuichio Harada (Will Yun Lee) che ha poi rivelato tristi e discordanti verità (in tutti i sensi) che non ci teniamo a rivelarvi.

Cos'altro aggiungere?! La pellicola sente la pesantezza del tema del viaggio, trasportando lo spettatore in momenti troppo lenti e poco accostabili ad un personaggio “dinamico” come Wolverine, impoverito non solo dei propri poteri ma anche di antagonisti degni di nota, ricavando quindi uno spettacolo sufficiente che resta certamente un must-see per gli appassionati della serie, evitabile dalla visione in prima istanza al cinema, dato che gli 8 euro spesi non sono stati proprio meritati.

Wolverine: L'immortale