Vermiglio, recensione: se Piccole donne fosse ambientato tra le montagne trentine

Il film di Maura Delpero che rappresenterà l’Italia agli Oscar rilegge in chiave nostrana e autentica tanti topoi che potrebbero deliziare anche il pubblico internazionale.

Vermiglio recensione se Piccole donne fosse ambientato tra le montagne trentine

Se Piccole donne fosse ambientato in un’amena località montanara del Trentino Alto Adige somiglierebbe parecchio a Vermiglio, il film di Maura Delpero che rappresenterà l’Italia agli Oscar 2025. È un paragone che restituisce immediatamente solo una parte di ciò che è questo film, perciò si rivela estremamente funzionale ma un po’ limitante. Come nel romanzo più celebre di Alcott la narrazione è incentrata su un nucleo familiare così unito da essere un microcosmo, in cui svolgono un ruolo da protagoniste una o più sorelle dai caratteri molto differenti.

Il podcast di Vermiglio

 

C’è la mite Lucia che s’innamora di un soldato meridionale disertore che ha salvato un ragazzo del villaggio dal fronte: i due si nascondono in un piccolo maso sui picchi, mentre il paesello mantiene il silenzio. C’è la piccola di casa che dimostra una viva intelligenza e che il padre vorrebbe far studiare. C’è una sorella mezzana che ha un altro tipo d’intelletto, altrettanto se non ancora più acuto di quello della sorella, ma essendo poco compatibile con quello del padre la vede destinata a una vita casalinga, pur essendo la più irrequieta e ribelle del gruppo.

C’è quindi una guerra lontana di cui si sentono le conseguenze nel presente, una famiglia dai valori cristiani (con tanto di scena del pranzo di Natale) ben inserita nella comunità in cui si scontrato e si esaltano i caratteri singoli di almeno tre “piccole donne” in crescita, ognuna delle quali troverà poi la sua strada.

Vermiglio, recensione: se Piccole donne fosse ambientato tra le montagne trentine

Vermiglio é la montagna che diventa regia

A livello visivo Vermiglio - a dispetto dal nome - è un tripudio di toni celesti, dai titoli di testa alle coperte di lana sui letti dei bambini, fino al cielo blu sopra le montagne onnipresenti. L’impressione è quasi quella dell’incanto di un presepe, complice la scelta di Delpero di creare uno stacco visivo importante tra scene familiari - intime, tutte primi piani e girate negli interni - e comunitarie. Quest’ultime sono girate sempre con campi lunghissimi, quasi sempre in esterna, amplificando quell’effetto di quadro romantico con le piccole figurine umane da cercare aguzzando la vista. Il tutto sovrastato dalle montagne, che imprimono alla regia una certa solennità con una camera quasi fissa, l’inquadratura perennemente inondata dal cielo.

Vermiglio però, a dispetto della sua cornice incantevole e quasi onirica, è un film concreto e capace di dare parecchi punto alla visione un po’ bacchettona di Louisa May Alcott. È un racconto in cui si percepisce con chiarezza il vissuto di una comunità il cui modo di vivere immutato da secoli alla fine viene raggiunto dalla modernità che la costringe giocoforza cambiare. È il tipo di racconto che tanti nonni e bisnonni ancora fanno e Delpero dimostra da subito la sua anima montanara e documentaristica nel suo sforzo di metterlo su pellicola così com’era - senza abbellimenti, giustificazioni, ingentilimenti, giudizi di sorta. Una sorta di testimonianza, raccolta agli sgoccioli, senza sentimentalismi, di un mondo che non c’è quasi più e non ci sarà ancora per molto nelle sue ultime propaggini, nel bene e nel male.

Difficile non pensare anche a Le otto montagne per come Vermiglio racconti, da parte di chi la conosce bene, la vita di montagna che isola, dà e toglie moltissimo a chi la vive, spesso senza che se ne renda conto. Delpero d’altronde in quei luoghi è nata e vissuta, ha girato lì per mesi, arruolando nel suo cast persone che vivono l’eredità di quei luoghi e quelle tradizioni.

Vermiglio, recensione: se Piccole donne fosse ambientato tra le montagne trentine

Vermiglio è la storia della famiglia di Delpero

Dentro Vermiglio c’è anche la sua famiglia. Il film è ispirato a un sogno in cui ha rivisto il padre da bambino giocare nella casa dove è cresciuto, poco tempo dopo la sua morte. Più che il padre di Delpero, nel film c’è dentro un certo concetto di paternità in Vermiglio. Tommaso Ragno interpreta e incarna il padre monarca assoluto e padrone, il capo di famiglia che prende decisioni per tutti: quando deve bere il figlio grande il primo bicchiere di vino, quale figlia deve studiare, chi si può maritare e quando. La scrittura però è acuta, documenta anche i limiti e le debolezze di uomo che ha studiato e fa il maestro di scuola - quindi è rispettatissimo dalla comunità - ma al contempo rimane un umile insegnante di campagna. Dentro Vermiglio c’è anche tutta la sua frustrazione di uomo dal fine intelletto che si ritrova circondato da persone a cui si sente superiore, a partire dai suoi familiari, rimanendo cieco alla sua stessa ingenuità e all’acume di altri personaggi che invece Delpero cattura. Intrigante per esempio è la figlia trascurata dal papà che incarna, dall’inizio alla fine, un rapporto con la spiritualità fuori dalla convenzioni, unito a una sensualità a una voglia di esplorare i propri limiti e i propri desideri che fanno impallidire per rigidità i riferimenti sopracitati.

Vermiglio è un film corale che accosta continuamente contrasti in maniera fluida: la Storia della seconda guerra mondiale che si risolve quando scoppia il casus belli della storia della famiglia protagonista, il continuo dialogo plurigenerazionale che sfocia nel conflitto, la comunità familiare detro la comunità di Vermiglio, isolata sulle montagne eppure permeabile alle spinte di un’Italia in corso di costruzione, ma ancora lontana dall’essere nazione. Non manca poi il contrasto tra la natura e la città (anch’essa mai mostrata ma sempre minacciosamente presente) che a poco a poco inghiotte e reclama vari personaggi. Centrale è poi il dittico formato da paternità e maternità, quest’ultima tematica sempre molto cara alla regista di Maternal (2019).

Vermiglio, recensione: se Piccole donne fosse ambientato tra le montagne trentine

Sulla carta Vermiglio sembra muoversi in un territorio quasi sovrapponibile a quello del cinema bucolico e radicale di Alice Rohrwacher, ma Delpero trova una quadra meno autoriale, ma infinitamente più accogliente, che sa arrivare subito al cuore dello spettatore e farsi ricordare con piacere. C’è dentro un passato che innerva il nostro presente, un racconto personale a metà strada tra ultima testimonianza e narrazine riflessiva: il tutto tenuto insieme da Delpero con un equilibrio straordinario, che crea con semplicità e immediatezza un dialogo tra il film e lo spettatore. Vermiglio è un piccolo gioiello che, per fortuna, non è passato inosservato.

Vermiglio è un film che racconta cosa sia l’Italianità in periferia, in montagna, in un momento specifico del tempo ormai lontana ma ancora rilevantissimo per capire il nostro presente, in un modo che piacerà anche al pubblico internazionale - che ci troverà dentro un certo tipo d’Italia che vuole sentirsi raccontare - ma che non cede mai né alle fascinazioni “da cartolina” né a una visione passatista, novecentesca, scollata dal presente. Vermiglio è un film speciale, sicuramente uno dei titoli italiani da non perdere nel 2024.

Vermiglio

Durata: 119'

Nazione: Italia

7.5

Voto

Redazione

TISCALItestatapng

Vermiglio

Vermiglio è un film che racconta cosa sia l’Italianità in periferia, in montagna, in un momento specifico del tempo ormai lontana ma ancora rilevantissimo per capire il nostro presente, in un modo che piacerà anche al pubblico internazionale - che ci troverà dentro un certo tipo d’Italia che vuole sentirsi raccontare - ma che non cede mai né alle fascinazioni “da cartolina” né a una visione passatista, novecentesca, scollata dal presente. Vermiglio è un film speciale, sicuramente uno dei titoli italiani da non perdere nel 2024.