Tron: Ares non ha niente da dire, ma con un design e una musica da urlo
La terza incarnazione di Tron mantiene e talvolta supera l’alto livello di messa in scena e stilizzazione del estetica cyberpunk dei capitoli precedenti, ma non ha davvero nulla da dire.

È davvero uno strano franchise quello incarnato da Tron, che con Ares raggiunge l’invidiabile status di trilogia a oltre quarant’anni dal suo capitolo fondativo ma che si fatica a definire un vero e proprio franchise. Non tanto perché i tre film di Tron non abbiano un’estetica e una costruzione del mondo fantascientifico in cui è ambientata la storia coerente e riconoscibile: anzi, è esattamente l’opposto. Ares per esempio non solo riparte da dove gli aveva lasciato il testimone Tron: Legacy nel 2010, rendendo il design dei suoi veicoli e del Grid ancora più stiloso, ancora più seduttivo e rifinito (c’è dietro un lavoro monumentale degli effetti visivi, come testimoniano gli infiniti titoli di coda). Il film riesce anche a riconnettersi e aggiornare l’estetica del primo Tron del 1982, tornando alla dimensione dei bite, delle linee squadrate, dei colori neon anni ‘80, lontani dal duopolio nero in contrapposizione con i rossi e i blu laser degli anni ‘10 della sua rinascita. Dal punto di vista produttivo, Tron: Ares insomma sfrutta appieno i suoi 180 milioni di dollari di budget (stando a quanto riportato da Variety), presentando al suo spettatore un risultato che spesso per effettistica si avvicina allo stato dell’arte del settore, infinitamente migliore di tanti altri blockbuster ben più blasonati e persino più costosi.

Il franchise di Tron esiste veramente?
Eppure Tron: Ares fatica a rafforzare l’idea che esista un franchise di Tron e che a qualcuno importi qualcosa in merito, dando invece l'impressione che venga rispolverato come un programma salvato su un vecchio floppy disk ogni qual volta ce ne sia bisogno, ma per ragioni pratiche, senza vere e proprie motivazioni narrative, ma soprattutto senza il minimo trasporto emotivo. A partire da chi Ares lo produce, finanzia e distribuisce, non si sente passione dietro il progetto, se non in linea teorica. In sé non è un difetto, anzi: in questi anni l'evoluzione di registi, sceneggiatori e produttori in appassionati in controllo creativo ha fatto parecchi danni. Ares però manca di linfa vitale, di urgenze comunicative, lasciando dietro di sé nella mente dello spettatore una scia luminosa che svanisce all'uscita della sala.
Tron: Ares si ritrova anche a dover rispolverare ricordi molto impolverati: arriva quindici anni dopo il precedente, a cui fa riferimento nel lungo riassuntone iniziale e nella scena mid credit finale, concentrandosi poi su personaggi nuovi di zecca a partire dall’eroina Greta Lee, sospesa tra il ruolo di CEO lungimirante, hacker capace e potenziale eroina action. È lei a capo dell’ENCOM quando l’azienda sta per mettere a punto una tecnologia rivoluzionaria, che porta dentro il mondo di Tron non un sogno futuristico videoludico, ma le ansie tecnologiche del presente: l’intelligenza artificiale e la potenzialità che possa diventare senziente e venire trasformata in un’arma da parte di qualche azienda senza scrupoli. A incarnare un software di difesa di nome Ares è Jared Leto, a suo modo perfetto con la sua persona e il suo aspetto mai incrinato dal passare del tempo per interpretare un software divenuto corporeo, entrato nel mondo reale.

È questo il ribaltamento su cui si basa la principale novità di Tron: stavolta è il mondo del Grid che colonizza la realtà, che taglia veloce a bordo delle sue futuristiche moto mentre sfreccian per la città le loro scie luminose. A girare queste lunghe corse notturne per le strade di una metropoli statunitense è il norvegese Joachim Rønning, che cita l’immancabile scivolata laterale della motociclette di Akira, che omaggia il primo Tron e in generale regala sequenze di un’eleganza fantascientifica innegabile, ma vuote.
I problemi sono due: i personaggi sono come software, ben programmati per eseguire le funzioni di una storia minima e molto pretestuosa, ma del tutto incapaci di emozioni complesse. Per giunta il film soffre di quell’effetto Pacific Rim in cui costruire una tensione romantica tra i suoi protagonisti, salvo poi ignorarla del tutto lasciandoli lì sospesi nel finale a guardi e interrogarsi se forse… Con l’aggravante poi che questo rapporto tanto suggerito ma mai esplorato sarebbe per giunta una svolta interessante di trama di cui il film ha palesemente bisogno: una programmatrice umana che si innamora di un software sviluppato dall'azienda rivale. Invece no, Tron: Ares prosegue in una direzione che si muove da distopia a utopia, senza impatto emotivo, senza impatto alcuno a ben vedere, affidandosi totalmente al fatto di essere bellissimo, non curandosi però di essere vuoto.
Una bellezza di superficie formata di tanti elementi di grande qualità che è a volte si rivela un’arma a doppio taglio: basta pensare alla tanto pubblicizzata colonna sonora firmata dai NIN. Non stupisce che la suddetta sia trascinante e capace di amplificare le atmosfere del film, ma un beat così trascinante, così protagonista non è semplice da gestire. Non tutti insomma hanno la personalità e il carisma di un Luca Guadagnino, capace di tenere testa a una colonna sonora strepitosa come quella di Challengers (firmata dagli stessi autori, divenuta già cult), di sfruttarne la forza ma piegarla alla sua volontà. Joachim Rønning spesso subisce il protagonismo della colonna sonora, il cui carisma musicale si mangia vive molte scene d’inseguimenti e d’azione, come depotenziandole, rallentandone.

Rating: TBA
Durata: 0'
Nazione: USA
Voto
Redazione

Tron 3
Quella di Tron: Ares è una bellezza algida, perfetta, apparentemente seducente ma che non allunga mai la mano verso lo spettatore tentando di coinvolgerlo emotivamente. La si ammira come una scultura perfetta esposta in un museo, ma cava, prima di testo, contesto, senso. È difficile immaginare qualcuno che si appassioni alle intricate vicende tra il fantascientifico e il corporate di questa storia, che ha per le mani un cast interessante e perfino comprimari del calibro di Hasan Minhaj e Gillian Anderson e non dà loro assolutamente nulla da fare.
Tron: Ares non smentisce ma anzi rafforza l’impressione di essere una storia sullo scaffale Disney a cui nessuno è veramente legato, rispolverata ogni dieci o quindici anni quando ce n’è bisogno, in maniera puramente funzionale, senza qualcosa di davvero importante da farci o dire in merito.


