The Ugly Stepsister conferma che il miglior body horror oggi lo fanno le registe
The Substance, Raw, Titane e ora The Ugly Stepsister: il body horror è più vivo che mai grazie a una pletora di registe che conoscono bene l’orrore d’inseguire la bellezza a tutti i costi.
Quello di The Ugly Stepsister non è il retelling (ovvero la riscrittura di una storia già nota come un mito, una fiaba, un classico della letteratura da una prospettiva o in chiave differente) della versione disneyana di Cenerentola, né di quella del francese Charles Perrault. Si rifà piuttosto alla versione particolarmente cruda, almeno per la sensibilità contemporanea, dei fratelli Grimm. Una visione che si sposa perfettamente con la corrente horror contemporanea norvegese e con una certa vena del folklore nordico che può apparire persino sadica a chi nell’Europa del Sud è abituato al ben più accomodante Basile.
Niente in questa operazione è davvero sorprendente, perché tutto è estremamente attuale, capace di tenere il polso del momento cinematografico e sociale: The Ugly Stepsister è davvero figlio del suo tempo, dal tema che tratta a come lo fa. I retelling “oscuri” delle fiabe in libreria sono un fenomeno rodatissimo e anche a Hollywood c’è stato un periodo in cui, tra Biancaneve e Cenerentola, si è tentata un’attualizzazione di queste storie “tradizionali” in chiave femminista e progressista. Nemmeno usare la cornice di una storia tradizionale per raccontare l’eterna lotta delle giovani donne per aderire a un ideale di bellezza così canonizzato da richiedere loro quasi d sfiorare l’incorporeità è una novità: non a caso in moltissimi hanno citato The Substance in relazione a questo film, insieme a Titane di Julia Ducournau.
Elvira: più ingenua che brutta
Il punto è che siamo di fronte a un’altra regista - la norvegese Emilie Kristine Blichfeldt - che sceglie il gore, il disgusto e la violenza nei confronti del corpo per parlare dell’eterna rincorsa delle donne a un ideale estetico loro precluso per questioni genetiche, naturali e sociali. In The Substance era l’avanzare del tempo a mettere la protagonista di fronte alla sfida impossibile di rimanere uguale alla giovane sé stessa. La sfida che affronta Elvira in The Ugly Sister è, se possibile, ancora più impossibile: sin dall’avvio della pellicola, quando posa gli occhi sulla sorellastra Agnes, sa che se il principe del regno la vedrà sceglierà lei in sposa. Giovanissima e nel pieno della sua bellezza adolescenziale, è già una scommessa persa: troppo grassa, troppo brutta, troppo sgraziata, con un naso lievemente imperfetto.
Il fatto che la protagonista Lea Myren (i cui grandi occhi azzurri spalancati per lo stupore, l'orrore o il dolore fanno metà del lavoro) non sia nessuna di queste cose non fa che rendere ancora più grottesca la visione del film. Questa rielaborazione della fiaba di Cenerentola è narrata dal punto di vista di una sorellastra perdutamente innamorata non del principe, bensì dell’immagine che il nobiluomo dà di sé attraverso le sue pretenziose, sdolcinate poesie pubblicate in tutto il regno. Dopo essersi imparentata con la famiglia di Agnes, si ritrova in a doversi sposare per aiutare la madre e la sorella di sangue, ma rimanere decisa a tutto pur di conquistarlo quando il principe indice un ballo per cercare la sua sposa.
Il suo vero peccato capitale di Elvira per cui viene punita più e più volte nel film non è la supposta bruttezza, la crudeltà che talvolta esprime nei confronti della sorellastra né l'ambizione, quanto piuttosto la sua l’ingenuità. La protagonista mantiene infatti una certa purezza di fanciulla che nulla sa delle cose del mondo, che invece Agnes/Cenerentola (Thea Sofie Loch Næss) sembra conoscere già a menadito: più adulta, più convenzionalmente bella, ma soprattutto più cinica, pragmatica e disincantata, è pronta ad affrontare il mondo in un modo che Elvira non è. Non a caso solo una delle due conosce già biblicamente gli uomini e sa cosa aspettarsi precisamente da loro.
La "substance" visiva viene prima dello sviluppo narrativo anche per Emilie Kristine Blichfeldt
The Ugly Stepsister rielabora la storia della fiaba guardando al cult di Sofia Coppola Marie Antoniette, ovvero con un tocco giocoso di anacronismo musicale e storico, mescolato a un’abbondante dose d’orrore verso un corpo sempre in eccesso. C'è un chirurgo estetico un po' scienziato pazzo un po' "fata madrina" di Elvira che tenta di farle un make over, ma ci sono anche scene raccapriccianti che non sono altro che farina del sacco dei cari e vecchi fratelli Grimm, che nel body horror ci sguazzavano. Inizialmente Elvira è "solo" vittima inerme del tentativo della madre di trasformarla in merce di pregio per i ricchi nobiluomini del regno. Quando per esempio si sottopone a una dolorosissima rinoplastica d'epoca non è nemmeno lei a scegliere la forma del naso rifatto, bensì sua madre.
L’unica consapevolezza che acquisisce nel film è ancor più spaventosa: è quella di poter scegliere da sé come bristrattare il proprio corpo per diventare più bella, cioè più magra e più simile a una versione farsesca di Agnes, fin nel gran finale a affrontare attivamente la trasformazione più grottesca e dolorosa del suo corpo per adattarlo a proporzioni non sue. La vera tragedia di Elvira e la sua dannazione è quella di vedere con chiarezza i suoi limiti ma non quelli degli altri. La generazione a cui questo film sembra rivolgersi la definirebbe “delulu” per come incontra il principe, che si rivela una persona gretta e spregevole, ma questa rivelazione non cambi di una virgola il suo obiettivo. Viziata e talvolta crudele, ma anche sola e sfruttata da chi dovrebbe proteggerla, è per giunta intrappolata in un rapporto a volta deliziosamente ambiguo a volte piuttosto confuso con la sorella Alma (Flo Fagerli) e con Agnes. The Ugly Stepsister la mette di fronte all’esito più crudele: ottenere ciò che vuole e scoprire che comunque aveva ragione: comunque non era abbastanza.
Il film è pieno di intuizioni stilistiche d’effetto che combinano un’estetica da bomboniera e film in costume a scene gore davvero disgustose e degne della denominazione body horror. Ha anche dei guizzi non da poco, come una certa vena voyeuristica che permea entrambe le sorelle, o l’incasellare Agnes come una persona tutto sommato prigioniera di certe logiche classiste, tanto da non ribellarsi al suo essere relegata a fare la serva. D’altronde il film è tutto costruito sul binomio prostituta/vergine, principessa/serva, non dando alle protagoniste modo di pensarsi in modo differente.
Peccato dunque che certi spunti rimangano tali e la risoluzione finale della storia di Elvira e delle altre giovani protagoniste giunga un po’ a ciel sereno: il film scrive bene la sua protagonista, ma spreca la possibilità di avere con Alma e Agnes un terzetto di personaggi femminili memorabili, così come lascia molto in sospeso la generazione delle madri e delle tutrici che educano le ragazze a comportarsi così e che mal reagiscono alla loro ribellione. La priorità e la predilezione di Emilie Kristine Blichfeldt sta nella dimensione visiva (ovvero quello stesso limite riscontrato in The Substance). Sacrifica volentieri l'evoluzione delle sue protagoniste per rendere visivamente raccapricciante in una memorabile scena quando sia difficile sradicare da dentro di sé la smania di essere diverse per compiacere gli altri. Va bene così, per un film indie che, pur facendo tutto ciò che è di tendenza oggi in letteratura, al cinema e sui social, riesce a divertire e graffiare.