Shelby Oaks - Il covo del male: un horror derivativo che scade nei cliché
Parte come un mockumentary ma si avvia poi su sentieri tradizionali l'esordio dello YouTuber Chris Stuckmann, tra misteri e paure convenzionali.
Un inizio che prende il via con un'impostazione da mockumentary, atta a introdurre la sparizione del gruppo Paranormal Paranoids, YouTuber specializzati in investigazioni paranormali, scomparsi da dodici anni nella città fantasma di Shelby Oaks, in Ohio. Per tre di loro vennero rinvenuti i corpi, ma della giovane Riley Brennan non se ne è mai saputo più nulla.
In Shelby Oaks - Il covo del male, i produttori del documentario dedicato a quest'evento misterioso intervistano Mia, la sorella dell'unica dispersa che anche a distanza di così tanto tempo non ha mai perso la speranza di ritrovarla. Quando strani eventi cominciano a verificarsi nei pressi di casa sua e della piccola comunità dove vive, Mia si convince che la consanguinea potrebbe essere ancora viva e decide di recarsi personalmente a Shelby Oaks, nonostante il parere contrario del marito Robert. Quello che scoprirà la porterà a confrontarsi con qualcosa di inaspettato e sempre più pericoloso...
Shelby Oaks: non svegliare il can che dorme
Il celebre critico YouTuber Chris Stuckmann realizza il suo primo lungometraggio dopo una campagna Kickstarter da record, ma il risultato è inferiore a quello che i suoi fan si sarebbero potuti attendere. Il progetto si pone come una sorta di continuazione/evoluzione della serie da lui stesso pubblicata online, ma le cose non sono andate come sperato. Con Shelby Oaks - Il covo del male ci troviamo infatti davanti ad un pastiche derivativo, che dimostra sicuramente una conoscenza notevole del genere ma che si ferma lì alla teoria, senza una reale comprensione cinematografica e di messa in scena.
La presenza di Mike Flanagan, uno dei guru dell'horror contemporaneo, come produttore esecutivo non aveva fatto altro che alzare l'asticella e forse anche per questo il prodotto fatto e finito appare ancor più immeritevole del previsto. L'ora e mezza, scarsa, di visione ci mostra infatti un'opera profondamente problematica, che mixa toni e generi senza il necessario equilibrio, lasciando che le suggestioni prendano il sopravvento su una storia che non fa altro che ripetere un lungo elenco di cliché.
Il problema principale è evidente fin dai primi minuti: il film non è altro che un coscienzioso, estremamente ragionato, esercizio di stile che fa un certosino quanto anemico lavoro di taglio e cucito, senza mai trovare una voce propria. L'ispirazione dichiarata a Lake Mungo (2008) è palese nella struttura mockumentary iniziale, con reminiscenze ovviamente dal sempiterno The Blair Witch Project (1999), ma Stuckmann non riesce a replicare la gelida efficacia dei prototipi. Quando il film abbandona dopo diciassette minuti lo stile del finto documentario per passare a una narrazione e rappresentazione tradizionali, l'operazione perde completamente la tensione accumulata e si trasforma in un catalogo di citazioni, utilizzate non come omaggi consapevoli bensì a mò di scorciatoie narrative, manifestando una mancanza di stile e di idee.
Essere o non essere
La sceneggiatura, scritta a quattro mani dallo stesso Stuckmann con la moglie Samantha Elizabeth, sfrutta il found footage, il mistero della sorella scomparsa, la possessione demoniaca, il folk horror e così via, con tanto di inquietanti cani infernali che nel cuore della notte minacciano una protagonista sempre più tramortita da eventi inquietanti in serie. Ma manca la suspense, manca la motivazione, manca il cuore primigenio del terrore: tutto appare telefonato, incluso quell'epilogo che apre a una progenie malefica forse spunto per ipotetici sequel.
Ma è soprattutto nel drastico cambio di linguaggio visivo dopo il primo atto che Shelby Oaks - Il covo del male paga maggiormente dazio, con il gioco del vedo / non vedo e la visuale coperta dalle riprese in prima persona che si trasforma in una resa dei conti più prevedibile, dove il pubblico ha maggior campo visivo e il ricorso a facili jump-scare non spaventa più nessuno. Probabilmente se il film avesse proseguito nel suo istinto primario, con il POV a dominare le logiche narrative, ci saremmo trovati a parlarne in toni ben meno drastici: una scelta della quale l'esordiente regista speriamo faccia tesoro per il futuro.