Speak No Evil: la recensione del thriller danese di Prime Video

Paesaggi suggestivi, personaggi che impariamo a conoscere, un uso inquietante della colonna sonora e una storia che difficilmente riuscirete a dimenticare. Ecco la recensione di Speak No Evil, su Prime Video

di Chiara Poli

Uno splendido agriturismo in Toscana. Tante famiglie che pranzano e cenano insieme, all’aperto, a una grande tavola. Una famiglia danese e una olandese, con i figli della stessa età. Un’amicizia di quelle che nascono normalmente in vacanza. E poi l’invito, e l’inizio di un incubo.

Speak No Evil, scritto e diretto da Christian Tafdrup (Carmen Curlers) insieme a Mads Tafdrup (Parterapi), è un film co-prodotto da Danimarca e Paesi Bassi distribuito in Italia da Prime Video. 1 ora e 37 minuti che, da un certo punto in poi, inizieranno a scorrere più velocemente di quanto vi sareste aspettati.

La trama di Speak No Evil


Conosciutesi in vacanza in Toscana, due famiglie straniere stringono amicizia. Gli olandesi - Patrick (Fedja van Huêt, Character bastardo eccellente) e Karin (Karina Smulders, Le imperatrici della notte) invitano i danesi Bjørn (Morten Burian, Un marito fedele) e Louise (Sidsel Siem Koch, Doggystyle) ad andare a trovarli.

Mesi dopo la vacanza, l’invito si ripropone sotto forma di cartolina e la famiglia danese decide di accettare l’invito. Partono per il lungo viaggio e raggiungono la casa dei loro nuovi amici, che non è come ce l’aspettavamo. Siamo ai giorni nostri, ma la casa - incluso l’arredamento - sembrano usciti dritti dagli anni ’70. Il piccolo Abel (Marius Damslev) non è molto socievole, per usare un eufemismo, e la figlia dei danesi - Agnes (Liva Forsberg) - s’impegna molto per legare con lui. Col passare delle ore Patrick e Karen diventano sempre più strani, sempre più inquietanti. Sempre più “sconvenienti”. Fino a che Bjørn e Louise si rendono conto di aver commesso grave errore ad accettare l’invito.

La recensione di Speak No Evil: un thriller sulle frustrazioni dell’era contemporanea


Ci sono due aspetti particolarmente interessanti di questo film, un thriller che funziona perché riesce nell’intento - pienamente voluto - di disturbare lo spettatore, più che spaventarlo.

Il primo è l’uso della colonna sonora. Per tutto il film, fin dall’inizio, i momenti spensierati e positivi - come la recita scolastica o il viaggio - vengono accompagnati da musica inquietante. La colonna sonora è piena di brani strumentali tipici dei thriller e degli horror nelle scene più drammatiche. In Speak No Evil, condiscono ogni genere di scena. Perfino la più serena. In questo modo, lo spettatore viene preparato ad aspettarsi qualcosa di terribile fin da subito, a vivere quel senso di disturbo e di inquietudine che vivono anche i protagonisti sullo schermo. I protagonisti che interpretano la famiglia danese, s’intende.

Il secondo aspetto è più complesso. Meno immediato, ma arriva comunque a colpirci dritti in faccia alla fine del film. Mi riferisco a ciò che spinge Bjorn e Louise ad addentrarsi sempre di più nell’incubo. E si tratta di un mix tanto semplice quanto strano da trovare in un film di questo genere: un mix di educazione e frustrazione.

Fra loro parlano in inglese: quando parlano nelle rispettive lingue, gli altri non capiscono. Nella versione italiana, tutti questi dialoghi sono stati tradotti in italiano. Ci sono, però, anche diverse scene in cui Patrick e Karin parlano in olandese. Quelle sono state lasciate esattamente come sono, ovvero incomprensibili per Bjørn e Louise e per noi, che siamo esattamente come la coppia: in balia dei loro ospiti.

Bjørn è un uomo perbene, Patrick lo intuisce subito. Come chiunque altro. Un uomo pacato, devoto alla famiglia,  educato e gentile, un uomo che sorride sempre. Il classico bonaccione da cui non ti aspetteresti mai un colpo di testa. E proprio per questo - Patrick lo sa come sa che il suo nuovo amico è una brava persona - è frustrato. Perché è stanco di sorridere sempre.

Come qualunque altra persona nel mondo, sente il peso delle proprie responsabilità e si lascia andare a uno sfogo con Patrick, stringendo un legame con lui. Bjørn in un certo senso lo ammira: invidia la sua libertà, la sua capacità di lasciarsi andare, perfino i suoi eccessi. La sua reazione di fronte ai comportamenti di Patrick è molto diversa da quella di Louise, e Patrick se lo aspetta perché ha una grande capacità di capire le persone.

A sua volta, però, Louise non riesce ad andare oltre quella vocina che le dice di andarsene senza voltarsi indietro, seguendola. Se Bjørn è frustrato, e affascinato dalla personalità di Patrick, Louise è troppo educata. Se qualcuno ti chiede una seconda chance, soprattutto dopo che è stato così gentile da ospitarti in casa sua, le persone come Louise si sentono in dovere di concedergliela. Sono le regola basilari dell’educazione. Le regole primarie di una società civile: si dialoga, ci si confronta, si cerca di venirsi incontro. Si evitano i conflitti.

Ed è in seguito a questo modo di fare, quell’unione di educazione e frustrazione, che arriva la risposta più agghiacciante possibile alla domanda “Perché ci fate questo?”. Una domanda che tutte le vittime, nei thriller e negli horror, fanno ai loro carnefici. Una domanda ricorrente. Ma la risposta non è quasi mai la stessa che Patrick dà a Bjørn e Louise.

La sua risposta va oltre la sincerità: colpevolizza le vittime. La cosa più politicamente scorretta - ma sincera fino a far male, a noi e ai Bjørn e Louise, in questo caso - che si possa fare.

Le brave persone obbediscono agli ordini. Le brave persone accettano le scuse. Le brave persone trovano una soluzione senza drammi, confrontandosi con il dialogo. Le brave persone educano i loro figli come sono state educate a loro volta dai genitori. Le brave persone non parlano di certe cose. Le brave persone sono sempre quelle che fanno una brutta fine.

In questo mondo ingiusto, spietato, violento e mostruoso, le brave persone sono le vittime ideali. Perché fanno sempre ciò che viene loro detto. A prescindere dalla situazione.

Lo vediamo ogni giorno, al telegiornale. Truffe, furti, rapine, raggi, omicidi. Le vittime sono quasi sempre - salvo rare eccezioni di scontri fra delinquenti - brave persone. Eppure, nonostante tutto, le brave persone continuano a essere come sono. Perché credono nel dialogo, nelle seconde occasioni, nel confronto costruttivo. Anche quando vivono in un mondo che, a loro, non offre nessuna di queste cose quando li mette sulla strada di chi non è una brava persona.