Mother's Instinct, recensione: Chastain e Hathaway non bastano a salvare Hollywood dai suoi peggiori istinti

Un cast pregiato di celebrità hollywoodiane rifà un film belga torbido e tagliente, rendendo dolorosamente evidenti i limiti del sistema statunitense: la recensione di Mothers' Instinct.

di Elisa Giudici

In una realtà contemporanea di piattaforme, sottotitoli, pirateria e servizi streaming, Hollywood non ha ancora perso il vizietto del “remake americano”. Lo prova l’uscita di Mothers' Instinct oggi nelle sale. L’esordio alla regia del direttore della fotografia francese Benoît Delhomme (un habitué di Hollywood e dintorni) è infatti il rifacimento della premiatissima pellicola belga del 2018 Doppio sospetto di Olivier Masset-Depasse.

Dopo anni spesi a fotografare film anglofoni e creare connessimi, Benoît Delhomme ha conquistato la possibilità di esordire alla regia. Niente di strano, niente di male: un passaggio dietro alla cinepresa non si nega a nessuno. Meno semplice è capire perché un esordiente che si mette alla prova decida di misurarsi con un thriller familiare di grande successo in libreria, trasposto con grande efficacia e notevole successo al cinema dal collega più navigato Masset-Depasse.

Hollywood è piena di sceneggiature bloccate nel limbo, alla ricerca di qualcuno che le porti su schermo. Non è così difficile trovare una buona storia che attende da anni di essere trasporta, magari consentendo anche a uno sceneggiatore di avere una possibilità di mettersi in luce. Il ragionamento però va ribaltato: Delhomme si misura con Mothers' Instinct perché ha già le prove che è una storia che funziona, che avvince il pubblico e, soprattutto, è fornita di due parti femminili così complesse, così affascinanti da attirare con facilità attrici di talento e fama alla ricerca di qualcosa di livello con cui misurarsi.

Amiche, nemiche ma soprattutto: madri

Siamo nell’America pettinata, incipriata, agiata, rigida degli anni ‘60. Un tripudio di cappellini, vestiti dai ricami intricati, palette pastello, unghie smaltate, acconciature raccolte a puntino e tacchi che affondano nel terreno del giardino durante le feste di compleanno dei bambini. Céline e Alice sono vicine di casa, sono amiche e confidenti, capaci di navigare insieme le tensioni dei reciproci matrimoni, si sostenersi senza invidia di fronte ai piccoli buchi neri della loro vita perfetta. Entrambe hanno un marito che le ama, una bella macchina nel vialetto di casa, un bambino che cresce giocando in giardino con il figlio della vicina di casa.

Il film si apre con una sequenza apparentemente sinistra: Alice (Jessica Chastain) s’introduce di soppiatto nella casa di Céline (Anne Hathaway), usando la chiave di scorta che la vicina le ha lasciato. La tensione però è data più dalla musica tesa platealmente posizionata a dare questa sensazione che dall’uso sapiente di regia, montaggio e inquadrature. La prima scena di Mothers' Instinct, con il suo modo banale e plateale di gestire una scena facilmente prevedibile nel suo risultato ma che invece dovrebbe tenerci sulle spine, è già la summa di tutti i limiti di questo film.

Benoît Delhomme dimostra al suo esordio da regista di non essere un regista, di non avere la stoffa, l’estro, la visione necessaria per misurarsi con il collega belga o in generale con il livello medio-alto degli stranieri a cui Hollywood dà una chance. Ovviamente succede un fatto tragico, ovviamente il rapporto tra le due protagoniste inizia a deteriorarsi, ovviamente il loro istinto materno diventa la caratteristica dirimente e ossessiva del loro carattere (ce lo ricorda anche il titolo, non fosse stato abbastanza chiaro).

È tutto ovvio non perché l’intreccio raccontato sia banale o prevedibile, ma perché il film lo rende tale, utilizzando il lessico e la grammatica registica e cinematografica in modo elementare e scontato. Se Mothers' Instinct non è un completo disastro è perché ha alla sua un ottimo cast attoriale, confermando il problema di queste produzioni: per esordire a Hollywood hai bisogno di nomi di rilievo, le star si muovono per progetti interessanti ma sicuri, restie a prendersi dei rischi.

Perché un film come Mothers' Instict non funziona a Hollywood

Nel caso specifico, ammantate di splendidi costumi anni ‘60, Jessica Chastain e Anne Hathaway fanno il loro con grande professionalità. Hathaway in particolare è davvero ispirata: si sente che il ruolo le piace, la sua ambiguità la stuzzica e oltre a essere brava è magnetica. È la salvezza di un film che, quando è chiamato a scoprire le sue carte, si rivela un bluff senza assi nella manica a giocare, ma solo scartine. Merita un plauso anche Joss Charles, che riesce a farsi notare anche in un ruolo tanto risibile: peccato che, dopo la storica uscita di scena da The Good Wife, non abbia più trovato un ruolo all’altezza del suo potenziale.

Se Mothers’ Instict non funziona però la colpa non è solo di Benoît Delhomme. A incrinare la tensione di superficie necessaria a far funzionare questo thriller c’è in fatto che la pellicola si muova entro il perimetro morale del cinema statunitense. Certi passaggi sono prevedibili perché una madre, ancorché ansiosa, ancorché ossessiva, ancorché pazza, in un film Hollywood si comporta in un certo modo. Quando una donna è codificata come madre, lì rimane mentre Mothers’ Instict vive e muore di possibilità narrative più ampie. La sua storia occhieggia a quando lo sconfinato amore materno si fa istinto di possesso e mezzo di ricatto, esplorando i territori oscuri e negativi della maternità. Non quelli dettati dal “troppo amore” o dal “amore sbagliato” ma quelli dettati dagli istinti peggiori e davvero poco materni.

Sono territori che il cinema europeo e francofono esplora sovente, con il gusto un po’ perverso di sbucciare gli esseri umani delle loro migliori intenzioni e attitudini alla ricerca dei loro istinti e desideri peggiori. Non sono territori che è agevole esplorare senza una certa attitudine o sensibilità. Figurarsi quando sei imbrigliato in un certo codice, con star che vogliano misurarsi con ruoli “oscuri” sì, ma che deragliano dal consono perché hanno “troppo” di qualcosa di teoricamente positivo, non perché dentro, in fondo, il marcio era già lì.