La recensione di Damsel, la favola moderna tutta al femminile con Millie Bobby Brown

Damsel è una favola moderna che ci dà esattamente ciò che promette

di Chiara Poli

Castelli in cima alle montagne, cavalieri, draghi, spade nelle rocce, re e principesse. C’è proprio tutto ciò che serve per fare di Damsel una favola classica. Ma, come ci racconta la voce della protagonista prima dell’inizio, questa non è una favola classica.

Non è un caso che Damsel, il film di Netflix con Millie Bobby Brown - la Undici di Stranger Things - sia uscito proprio oggi, l’8 marzo.

Con un cast importante - Robin Wright, Ray Winstone, Angela Bassett - e una riuscita rivisitazione in chiave moderna di una favola classica.

La trama di Damsel


Una fanciulla viene data in sposa al principe di un regno prospero e ricco, come il regno da cui viene la ragazza, Elodie (Mille Bobby Brown), non è mai stato. Il popolo muore di fame ed Elodie accetta di buon grado il volere del padre, Lord Bayford (Ray Winstone), un matrimonio che garantirà che il popolo della sua terra non muoia più di fame.

Sebbene la matrigna di Elodie, Lady Bayford (Angela Bassett) esprima delle preoccupazioni dopo aver incontrato la regina Isabelle (Robin Wright), il matrimonio fra Elodie e il principe Henry (Rick Robinson) viene celebrato. Subito dopo, però la novella sposa scoprirà di essere lei, il prezzo da pagare per la prosperità del regno di Isabelle: un tributo offerto al terribile drago che vive nelle caverne sulla montagna che sovrasta il castello…

Una favola moderna con un impianto classico


Damsel: damigella. Si chiama così, questa storia, perché nasce come il più classico dei racconti delle favole. E perché nelle favole c’è sempre una damigella che finisce nei guai, e che viene salvata da un principe.

Stavolta, però, la damigella è fermamente decisa a salvarsi da sola. Perché il principe è un pezzo di reale sterco.

Precipitata in un buco infernale, che altro non è se non la tana del drago, una femmina - l’ultima della sua specie - la neo principessa scopre di essere lei, in persona, il prezzo da pagare per la prosperità del regno di suo marito.

Un regno che, al contrario di quello da cui proviene Elodie, sembra un paradiso.

La morale della favola, stavolta è proprio il caso di dirlo, è fin troppo esplicita: diffidare delle apparenze e, soprattutto, evitare di aspettare che qualcuno venga a salvarti. Metaforicamente parlando, oppure no.

Al grido del buon vecchio aiutati, che il ciel t’aiuta, Elodie mette in pratica tutte le cose che ha imparato in una vita passata a cavarsela da sola, a tagliare la legna e a raccogliere il cibo e le erbe, a curarsi con la natura, a rispettare ogni creatura vivente, a preoccuparsi per gli altri e a condividere.

Una vita di lavoro che l’ha resa forte, come nessun’altra fanciulla di sangue reale abituata a essere servita e riverita sarebbe potuta essere. E infatti, il sangue reale che scorre nelle vene delle spose del regno è un’illusione.

Il privilegio è una favola, fino a quando non arriva il momento di pagarne il prezzo. E le tradizioni si rispettano finché non arriva il momento di romperle. Un messaggio chiaro e forte, a noi, proprio ora, che ancora tanto fatichiamo a ribellarci a tradizioni nocive per noi e per la nostra gente, per la Terra e tutti i suoi abitanti.

Elodie è la protagonista assoluta di una storia di riscatto, di resilienza e di coraggio che spinge a mettersi in gioco perfino di fronte alle sfide più impegnative e terrificanti.

Quando chi dovrebbe proteggerti ti vende in cambio di tanto oro da salvare tutto il tuo popolo, resti sola. Ma non porti rancore. Perché il rancore, questo lo chiariscono a più riprese, è ben diverso dalla giustizia.

Ma Elodie trae la sua forza dal coraggio che la contraddistingue. Il coraggio di fare giustizia, appunto, oltre che di salvare se stessa e tutti quelli che può salvare.

Nelle favole, il concetto di giustizia non lascia spazio alle mezze misure: i cattivi devono sparire. Per sempre.

E in questa storia tutta al femminile, ci sono un drago femmina, una madre che ha visto sterminare le proprie figlie e con loro la sua intera specie, una regina crudele che tradisce il patto fatto molto tempo prima e una ragazza qualunque, una popolana - come la definisce con disprezzo la regina - che porta giustizia ed equità, prosperità e futuro. Al suo popolo, ma non solo.

Un team che mantiene le promesse


Juan Carlos Fresnadillo, il regista di Damsel, sa bene come creare la tensione. 28 settimane dopo è, forse, ancora più spaventoso del primo capitolo della saga. La sceneggiatura di Dan Mazeau, che ha all’attivo solo un paio di titoli non brillantissimi, riesce nell’intento di ricreare l’atmosfera e l’intento didattico di una favola.

Millie Bobby Brown firma il film anche come produttrice esecutiva, dichiarandosi fiera del lavoro fatto per le scenografie, con la creazione delle caverne sotterranee in modo realistico, complesso e dettagliato.

Gli effetti speciali di Damsel sono all’altezza di ciò che ci si aspetta, così come l’intero cast.

La voce del drago nella versione originale è di Shohreh Aghdashloo, l’indimenticabile Dina Araz di 24.

Il film ci dà esattamente ciò che promette, con una cura per la fotografia che stupisce in qualità.

Damsel è una favola 2.0, in cui, ad affrontare il drago, è una ragazza e non un cavaliere.

E, come in ogni favola che si rispetti, il simbolismo si spreca. Dal color oro del vestito da principessa, simbolo dell’opulenza pagata con il sangue, al vero oro massiccio della corona che cola, imprigionando chi si è dedicato all’odio per ottenerlo. Dal fuoco che purifica, vendicando un terribile misfatto, al drago simbolo di buona fortuna (appunto) ma anche di saggezza.

In puro stile favola… Con ciò che il pubblico vuole vedere oggi. Combattimenti intelligenti, determinazione, capacità di battere l’avversario con la sua stessa arma e, naturalmente, di sorprendere un regno intero.