Killers of the Flower Moon, recensione: il western di Scorsese racconta il cuore nero petrolio d’America

Scorsese trasforma il genocidio degli indiani di Osage in un western dal sapore gangster dove convivono orrendi omicidi e una storia d’amore sinistra e tossica. La recensione.

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Killers of the Flower Moon si apre con un funerale nativo e la scoperta di un pozzo di petrolio: la morte e l’oro nero sono di due poli attorno a cui ruoterà questo lunghissimo, spossante tour de force di 3 ore e 26 minuti, che lascia dietro di sé la sensazione di essere a propria volta assediati da una fine inevitabile e imminente, dalla mancanza di una legge o una giustizia a cui appellarsi. La frontiera ormai civilizzata, ma rimasta di fondo selvaggia e violentissima. 

Scorsese qui racconta la storia di un genocidio statunitense, legandola alle fondamenta della stessa nazione: il denaro, il petrolio, l’avidità dei bianchi che vedono chiunque altro come indegno di ogni ricchezza o fortuna economica derivante dalla “loro” terra.

Non a caso quanto avviene agli indiani di Osage negli anni '20 viene connesso nel film agli attacchi alla comunità afroamericana di Tulsa e all’ascesa del KKK. Killers of the Flower Moon è una storia tragica ed esemplare di un genocidio, che Scorsese tramuta nel suo western di violenze insite nella costruzione stessa della società a stelle e strisce.

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Un po’ come fatto da Almodóvar in Strange Way of Life, visto pochi giorni fa in Croisette, Scorsese fa suo il genere ma tramutandolo nel tipo di pellicola che gli riesce meglio: una storia familiare di logiche da gangster e amori tossici.

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Di cosa parla Killers of the Flower Moon

Basato sul saggio Gli assassini della terra rossa, il nuovo film di Scorsese racconta il tentativo di genocidio perpetrato da un manipolo di affaristi bianchi ai danni dei nativi americani di Osage. Cacciati dalla loro terra natia sempre più a Ovest, nel pieno dell’epoca della frontiera gli Osage si ritrovano in Oklahoma. Viene loro assegnata una landa desolata, in apparenza ricca solo di fame e carestia. Il caso vuole che si riveli essere una porzione di terra ricchissima di petrolio, rendendo tutti gli indiani purosangue lì confinati improvvisamente ricchissimi, in virtù degli accordi stretti con le compagnie petrolifere per l'estrazione dell'oro nero.

Questa ricchezza attira come mosche ronzanti tutta una serie di faccendieri ed esimi affaristi bianchi, intenzionati a mettere le mani sul denaro dei nativi, che circuiscono e raggirano in maniere non meno violente dei loro antenati arrivati nel Nuovo Mondo, solo che più sottili, sudbdole.

A capo di questo gruppo organizzato di sciacalli con le facce bianche per bene c’è King William Hale, il personaggio di Robert De Niro, zio di Ernest, interpretato da Leonardo Di Caprio.

Quest’ultimo è il protagonista della storia, nei panni di un personaggio un po’ differente dal solito. Ernest infatti è il peggior tipo di inetto: uno sciocco che non sa di esserlo, che anzi si sente intelligente e, pur essendo carnefice, è al contempo oggetto dei raggiri dello zio.

Killers of the Flower Moon, recensione: il western di Scorsese racconta il cuore nero petrolio d’America

William Hale è di fatto un padrino, un uomo d’affari che si presenta come benefattore della comunità nativa, che ne conosce lingua e costumi, ma al contempo intesse un intricato sistema di violenza, raggiri e omicidi per mettere le mani sul denaro indiano. Guiderà il nipote al matrimonio con Mollie Burkhart (Lily Gladstone), nativa dal carattere volitivo e dalla fortuna immensa, consapevole della pericolosità dello “zio” Hale ma convinta di avere nel marito affettuoso e amorevole un alleato.

Il film racconta il progressivo consumarsi della comunità di Osage, percorsa da una serie infinita di morti inspiegabili, focalizzandosi sull’accerchiamento di Mollie, la cui famiglia viene devastata da lutti senza fine, circondata dagli uomini di Hale, ingannata e indebolita.

Cosa funziona e cosa no in Killers of the Flower Moon

Rispetto al libro, il cambiamento principale è la centralità data la personaggio di Mollie. Una scelta vincente: Lily Gladstone dà un’interpretazione davvero memorabile e straziante di una donna che vive circondata da nemici e consumata dal tradimento dell’unica mano che pensa esserle amica.

Complesso e affascinante è anche il personaggio di Leonardo Di Caprio, che qui non ricorre al suo solito carisma. Il suo Ernest è un inetto la cui unica abilità e convincersi che, nonostante quello che sta facendo alla sua famiglia, sia tutto sommato un buon uomo, un bravo padre e un marito esemplare. 

Killers of the Flower Moon, recensione: il western di Scorsese racconta il cuore nero petrolio d’America

Il suo duettare con De Niro da vita all’ironia nera del film, basata appunto sulla dabbenagine di un uomo che non capisce di essere una pedina tanto quanto gli indiani che raggira perché avido e pigro.

C’è ben poco da ridere però in un film che si rivela volutamente un tour de force, un’odissea di lutti e dolore che ricorda quanto la gloriosa nazione americana sia basata sull’aver sottratto agli altri, sfruttando un sistema in cui “è più facile condannare un uomo per aver ucciso un cane che per aver ammazzato un indiano”.

Sulla regia di Scorsese, sulla sua capacità di creare movimenti di cinepresa e immagini potenti è rimasto ben poco da dire: si conferma anche qui con grande maestro. Stavolta la sua visione chiara e potente è al servizio di una storia che fa sentire in trappola anche lo spettatore, tanto a lungo si fa attendere un barlume di speranza (che, amara ironia finale, arriva dall’FBI di Hoover).

A proposito di lunghezza: nella parte centrale il film alterna picchi di pura maestria a parte ben fatte ma accessorie, volte quasi per ripetizione e angosciante vuoto a vessare ancora di più lo spettatore. Si poteva un po’ tagliare, ma come si chiede una cosa del genere a uno come Scorsese?

Nonostante i dettagli gore di un film dove abbondano cadaveri e resti umani trattati senza alcuna dignità, la parte più straziante e violenta del film è l’angosciante crescendo di gaslighting che Ernest adopera sulla moglie, costretta a consumarsi lentamente senza vedere il nemico, che si professa tenero marito e amante.

Mollie è comunque un personaggio che soffre un po’ troppo una penna e una visione maschile, ma Gladstone riesce a rendere credibile la sua monumentale dignità, conquistando lo spettatore con il suo rigore, la sua nobilità. Una grande performance, che viene da pronosticare rivedremo agli Oscar.

Killers of the Flower Moon, recensione: il western di Scorsese racconta il cuore nero petrolio d’America

Killers of the Flower Moon

Nazione: USA

8

Voto

Redazione

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Killers of the Flower Moon

Straniante, spossante, ma volutamente tale: Martin Scorsese vuole farci toccare con mano lo sconfinato dolore delle vittime di un genocidio che ci ricorda come alla base ci sia la stessa logica capitalistica e avida alla base dell’ideale statunitense. Di Caprio e De Niro si danno da fare, ma il viso sofferente e dignitoso di Gladstone sarà ciò che ricorderemo di questa pellicola.