Il sol dell’avvenire, recensione: essere Nanni Moretti all’epoca Netflix

Non è facile invecchiare rimanendo fedeli ai propri ideali in un mondo che sembra cambiare in direzione opposta: Il sol dell’avvenire è la prova che, con fatica, Moretti ci sta riuscendo.

di Elisa Giudici

Il sol dell’avvenire è quel genere di film su cui si potrebbero scrivere una decina di recensioni: tutte concordi sul fatto che sia una pellicola riuscita e che si fa ricordare, ciascuna concentrata su un diverso spunto che il film offre ed esplora.

C’è tantissimo da dire su un film che, pur facendo ridere parecchio, ha come centro tematico “la fine del cinema, della politica, del comunismo, delle relazioni: la morte di tutto”, per citare la produttrice coreana che salverà in extremis il film dentro al film. Nanni a un passo dall’Apocalisse, insomma, che si tiene in equilbrio sul precipizio, lanciando frecciate e facendo battute, ripetendo per chi lo incontra in sala per la prima volta l’alfabeto del suo cinema e della sua etica.

Forse non sta morendo proprio tutto, ma il mondo in cui Nanni Moretti ha formato la sua morale e in cui ha radicato le sue relazioni umani e le sue passioni politiche e culturali sembra in fin di vita.

Dato che in questo periodo di sofferenza del cinema nel senso tradizionale del termine tanti autori hanno sentito il bisogno di raccontare cosa sia la Nona arte per loro, voglio partire proprio da qui, da quello che Moretti pensa e dice del cinema di oggi. Non mandandole troppo a dire, facendo quasi sempre nomi e cognomi.

Continua a leggere la recensione di Il sol dell’avvenire:

Di cosa parla Il sol dell’avvenire

Il sol dell’avvenire contiene in sé due film. Nanni Moretti interpreta Giovanni, un regista affermato e fa “un film ogni cinque anni” ed è alle prese con la produzione di un nuovo lungometraggio. Il film nel film ha per protagonisti Barbora Bobulova e Silvio Orlando nei panni di una coppia di militanti comunisti nell’Italia del 1954.

Il film che Giovanni sta girando è un’aspra critica alle posizioni del PCI all’epoca delle rivolte in Ungheria. Senza che se ne accorga però dentro la pellicola filtra sia la sua crisi personale sia quella del suo matrimonio con Paola (Margherita Buy).

Giovanni è così cieco al disagio della moglie e produttrice che, quando lei lo lascia dopo “30 anni e 13 film girati insieme”, lui non riesce nemmeno a realizzare cosa stia succedendo. Sarà l’attrice protagonista del film nel film, che lui detesta perché indossa sabot e lo contraddice di continuo, a spiegargli che quello che sta girando è anche il film sulla crisi di un amore.

Nel mentre Giovanni sogna già il film successivo e accarezza l’idea che coltiva da una vita di girare “un bel film con tante canzoni italiane su una coppia sposata da tanti anni”. A suon di Tenco, Noemi, Franco Battiato e De André, Il sol dell’avvenire si rivelerà essere proprio il film che il Nanni fittizio sogna di fare.

Ormai anziano e disincantato, ma ancora visceralmente legato alle sue convinzioni e ai suoi rituali, Moretti si ritrova a fare i conti con la sua morte, tanto che a un certo punto infila la testa in cappio, ma siamo su un set. Come molti registi prima di lui, usa il film fittizio dentro al film per mostrare e provare per davvero ossessioni, demoni e tormenti che lo attraversano, per confessare (”sono dipendente da farmaci e ansiolici da anni…ma come fai senza crema viso?”) e attaccare.

Dopo aver visto negli ultimi anni film come Empire of Light, Babylon, The Fabelmans e il loro disperato tentativo di ricordare cosa sia stato il cinema per chi li ha diretti e cosa non sia più per gli spettatori oggi, non stupisce che Moretti segua lo stesso sentiero, a modo suo. Con orgoglio Giovanni dichiara che “quando giro un film non penso mai al pubblico”, ma poco dopo ammette “non so se è vero”. Più tardi, sconsolato, lamenta che “a nessuno importa di questo film”. Sbagliato: a lui importa, eccome, perché crede nel potere di un cinema che per lui ha avuto un valore e una morale.

Per questo le invettive peggiori sono destinate a chi quel cinema lo sta cambiando sì, ma per scopi non così nobili: Netflix e il nuovo modo d’intendere l’intrattenimento.


Nanni Moretti contro Netflix e il cinema di oggi

Da anni Moretti è alfiere di un cinema morale, talvolta un filo moralizzante. Un cinema che è maestro e pensatore, che è puro, persino pudico. Qui Margherita Buy nei panni di Paola dice al suo psicanalista che non vuole parlare di sesso. L’intimità platonica, la comunanza di pensiero è l’unica forma d’amore in questo film.

Un altro grande assente nel cinema di Moretti è un certo tipo d’eccesso come forma d’intrattenimento. Non è la prima volta che Moretti ribadisce questo punto. In Aprile per esempio si struggeva passando la notte in bianco per aver portato il figlio a vedere Strange Days di Kathryn Bigelow.

In Il sol dell’avvenire Giovanni si trova sul set di un giovane collega di nome Giuseppe, il cui film viene prodotto da sua moglie Paola. A sprazzi Giovanni ha già intuito che è un film violento, ma quando vede come si posizionano gli attori per girare la scena finale - un’esecuzione - ha un’esplosione di nannimorettismo così violenta da inchiodare la produzione per tutta la notte.

Tira fuori Apocalypse Now e John Cassavetes, fa una tirata micidiale a tutti i presenti su come la violenza sia faticosa, insostenibile allo sguardo, gravosa sull’anima. Il crescendo della sua invettiva ricorda il miglior Jep Gambardella in La grande bellezza, i monologhi più fulminanti dei personaggi di Quentin Tarantino, che per certi versi più invecchia più diventa il Nanni Moretti americano. Moretti arriva a inserire un trio fultiminante di camei a sorpresa per demolire quell’esecuzione. Viene da chiedersi chi ci sia dietro Giovanni l’alto regista con il tono di voce urlato e un film alle spalle intitolato “Orchi”.

Non c’è risposta sull’identità, ma l’accusa è chiarissima: quella scena è “violenza come forma d’intrattenimento” e quel che è peggio, chiosa Nanni a Giuseppe, “è che a te diverte”. All’alba arrivano i cornetti e Moretti si allontana, camminando sconsolato in primo piano mentre sullo sfondo vediamo la scena girata esattamente come lui ha stigmatizzato per ore.

Poco dopo sarà il suo film a finire in difficoltà finanziarie. Portato via dalla finanza, il produttore francese (Mathieu Amalric) gli ricordache ha un appuntamento con Netflix che può salvare il film. Il meeting tra Nanni e Netflix ha la magnitudo di uno scontro tra titani in cui il Kraken e l’attitudine passivo-aggressiva con cui Nanni replica alle richieste di Netflix.

Come automi i due dirigenti fanno la biopsia del suo film sul comunismo dicendogli che “manca l’incidente scatenantenei primi due minuti”. Gli utenti scelgono nei primi due minuti cosa vedere, spiegano. Manca anche il momento what the fuck, d’altronde. Giovanni nella scena si limita a rispondere ai vertici Netflix ripetendo allibito le loro parole, sottolineando una costruzione algoritmica e senz’anima del cinema, che controlla se al minuto 32 c’è quest’emozione, se entro i primi 60 secondi c’è quell’amo narrativo a cui far abboccare il pesce, pardon, lo spettatore.

Siamo in 192 paesi, ripetono come un mantra i vertici Netflix. Chiunque abbia mai visto una presentazione di Netflix sa che questo passaggio è chiaramente basato sulla realtà: un numero totemico, dietro cui c’è tutto o niente, ci sono milioni di persone che scelgono cosa vedere sulla base di 120 secondi d’incidente narrativo. È un cinema di numeri e numeridietro cui non ci sono né messaggi né persone, forse nemmeno intrattenimento.

Sicuramente non c’è Nanni Moretti, che rispetto al precedente e davvero fallimentare Tre piani è tornato coerente con sé stesso, ma anche capace di vedere i suoi limiti. Nel film Giovanni sostiene che “solo al cinema le persone cambiano”. Dopo tanti anni è quasi catartico vedere il personaggio, l’avatar di Margherita Buy dire a quello di Moretti: “tu non hai bisogno di me, io ti servo”. C’è persino una scena in cui Moretti immagina il suo film con tante canzoni italiane e imbocca la versione giovanile della moglie Paola con un discorso su tutto quello che vorrebbe dire al sé stesso giovane, tutta la trascuratezza con cui tratta i suoi personaggi femminili, tutta la sua incapacità di vedere la felicità, il narcisismo lamentoso di un regista capace di fare un film solo quando è triste.

Nanni Moretti insomma, pur odiando i sabot e le pantofole, concede il punto della vittoria al cast femminile del film.Non è una vuota presa di posizione “politicamente corretta”, ma un guardare al passato e al presente, tenere il punto su ciò che è importante, concedere la resa su ciò che non si è ciecamente visto. Moretti forse non cambierà, ma il suo cinema è riuscito a farlo in questi dettagli e non è una mossa da poco, soprattutto per un cineasta di lunga esperienza.

Il sol dell’avvenire è un film umoristico che riesce a scherzare nel mezzo di un’oscurità morale globale, a fare cinema e poetica tra le macerie di ciò che il suo creatore ha amato per tutta la vita. Una resurrezione malinconica dopo un disastro come Tre piani, che ci aveva fatto credere di aver perso Moretti. Nanni invece è qui, col suo pubblico parla eccome, senza rinunciare ai suoi ideali, ma ammettendo quanta fatica e quanti compromessi costi tenerli in vita.