Dunkirk

Dunkirk non racconta la storia di una sfolgorante vittoria alleata; non celebrare gesta eroiche o momenti che hanno segnato la Seconda Guerra Mondiale. Niente di tutto questo. Dunkirk racconta la storia di quattrocentomila soldati (inglesi per lo di più!) assiepati su un lembo di spiaggia francese (Dunkerque) che scappano da un’oppressione nazista apparentemente inarrestabile. Vedono le loro coste da quella spiaggia, vedono casa loro. Non c’è una guerra da combattere su quella spiaggia, ma delle vite da portare in salvo, le proprie vite. Questo è Dunkirk, l’ultimo lungometraggio di Christopher Nolan: un film di sopravvivenza.

Il cinema all’ennesima potenza

Dunkirk non rappresenta una prova di maturità per il regista inglese, ma la sua definitiva consacrazione. Il lungometraggio che abbiamo avuto la fortuna di vedere in anteprima è la summa di tutto quello che il suo cinema può regalarci. Nolan mantiene gli elementi cardine di molte sue pellicole, gestendo il tutto in maniera pressoché perfetta. Centosette minuti che iniziano con dei ticchettii di orologio, una presenza ingombrante, ansiogena, che scandisce quelle storie raccontate in maniera perfetta. Tre storie per raccontare un solo grande film, ognuna in grado di scandire con meticolosità gli avvenimenti. Abbiamo i soldati sulla spiaggia, un pilota della RAF a bordo del suo Spitfire  e i civili inglesi pronti a portare in salvo i loro soldati, perché è “la cosa giusta”. Tre archi narrativi dalla differente durata che andranno ad intrecciarsi tra loro.

Tempi diversi, che Nolan sfrutta per creare una pellicola perfettamente bilanciata nel ritmo, che non ha mai un attimo di calo e che spinge lo spettatore a immedesimarsi in quei soldati sull’orlo della disperazione. Si è detto che Nolan abbia riscritto il genere bellico con Dunkirk, ma la verità, probabilmente, è che come altri registi prima di lui, ne ha semplicemente dato la sua personale visione.

>

Una visione che non cerca di regalare un background ai soldati protagonisti della vicenda, ma solo dei volti in cui lo spettatore, volente o nolente, si trova ad immedesimarsi (complice anche l’utilizzo di molti attori esordienti). Una visione che abbandona le verbose spiegazioni “nolaniane" per lasciarle parlare le gesta e le immagini - grazie anche ad una splendida visione in iMax 70mm, che consigliamo a tutti -, in un film con pochissime battute, ma una fotografia di Hoyte Van Hoytema da pelle d’oca. Ma soprattutto, una visione che parla sì di guerra, ma lo fa raccontando la lotta che ognuno di quei soldati ha dovuto combattere contro se stesso per salvarsi; tant’è che il vero nemico, sullo schermo, non appare praticamente quasi mai.

Un lungomentraggio che quindi “gioca” con i generi, sfociando quasi nel survival puro, con una punta di horror in alcuni momenti; una maturità tale da permettersi di mescolare quello stile hollywoodiano - ormai tanto caro al regista - ad una racconto quanto mai veritiero, lasciando alla veridicità dei momenti raccontati il senso di adrenalina trasmesso.

Nolan sceglie quindi una via particolare, complessa e per nulla scontata. Raccontare la disperazione, ma soprattutto una sconfitta, non è una cosa per nulla semplice. Lui però c'è riuscito, creano in quei centosette minuti, una vera e propria sensazione di impotenza emotiva, affiancata però da una straripante potenza audio/visiva. Il sottofondo musicale - sempre accompagnato da ticchetti di orologio e battiti di cuore - scandisce quel tempo tanto caro al regista, portandoci verso un epilogo, in parte scontato (soprattutto per chi conosce la storia), ma non per questo meno adrenalinico e coinvolgente. A porre la classica ciliegina sulla torta ci pensano volti noti e meno noti che prendono parte alla pellicola. Mark Rilance è pacatamente perfetto. L’irriconoscibile Tom Hardy regala sguardi glaciali. Il comandante Bolton interpretato da Kenneth Branagh è il simbolo della lucidità militare, al contrario di un Cillian Murphy completamente sotto shock. Menzione speciale per il giovane Fion Whitehead, di cui siamo certi sentiremo parlare.

Potremmo aggiungere molte altre parole, ma la verità è che non serve spenderne. Dunkirk è cinema allo stato dell'arte, senza troppi giri di parole.

> The Ultimate Driver Journey